Nel libro di Attilio Bolzoni “Il Padrino dell’Antimafia” la storia di Antonello Montante e degli intrighi intorno alle conversazioni tra l’ex capo dello Stato e l’ex ministro Nicola Mancino.
di ATTILIO BOLZONI
L’ultimo libro di Attilio Bolzoni ha per titolo “Il Padrino dell’Antimafia” e racconta la storia di Antonello Montante, un siciliano “nel cuore” di un boss di Cosa Nostra che dopo qualche anno diventa misteriosamente un simbolo italiano della Legalità. Sarà in libreria dal 15 marzo per “Zolfo Editore”, nuovo marchio milanese che inaugura così le sue pubblicazioni. Anticipiamo uno stralcio del capitolo dove affiora una macchinazione intorno alle telefonate fra l’ex presidente Napolitano e l’ex ministro Mancino, quelle quattro conversazioni agli atti del processo sulla trattativa Stato-mafia che la Corte Costituzionale aveva ordinato di distruggere.
Perché un colonnello dei servizi segreti è sempre in ansia per quelle conversazioni fra l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino e il Capo dello Stato Giorgio Napolitano? Solo perché qualcuno, il ministero della Giustizia, ha deciso di avviare un’indagine per accertare se ci sia una copia proibita delle quattro telefonate intercettate che circola ancora per l’Italia? O forse perché, il colonnello, sa dove sono finite?
È l’intrigo nell’intrigo intorno ad Antonello Montante: le telefonate del Presidente. Ufficialmente vengono distrutte il 22 aprile del 2013, nell’antico carcere dell’Ucciardone. (…)
Ma c’è il sospetto, il forte sospetto, che una riproduzione delle intercettazioni possa essere scivolata nelle mani di Montante. Forse custodita nelle pen drive frantumate da lui stesso il giorno del suo arresto nell’appartamento di Milano il 14 maggio 2018. O forse nascosta ancora in un luogo sicuro. Ben conservata per un ricatto di Stato. Tutte le carte giudiziarie inseguono indizi che portano a un convincimento da parte dei procuratori di Caltanissetta che indagano sui misteri del vicepresidente di Confindustria: qualcuno ha duplicato quelle telefonate per farne commercio e baratto.
Come poi le intercettazioni sarebbero finite in possesso di Montante è ipotizzato — e neanche troppo velatamente — nella trama che i magistrati ricostruiscono investigando sulla rete di protezione alzata intorno allo stesso Montante. Agli atti dell’inchiesta ci sono oltre cento pagine dedicate alla “forte preoccupazione” che prova Giuseppe “Pino” D’Agata, colonnello dell’Arma in forza al servizio segreto civile, quando il ministero della Giustizia chiede “spiegazioni” sulle telefonate del capo dello Stato. Il sospetto di chi indaga prende forma da una testimonianza.
È Marco Venturi, uno degli imprenditori che rivela dall’interno le relazioni più scabrose di Montante, a raccontare ai magistrati di una cena avvenuta «nella primavera del 2014».
È avvenuta al ristorante dell’hotel Porta Felice, un albergo di Palermo. Intorno a un tavolo c’è Venturi, ci sono Montante e la sua amica Linda Vancheri. Poi arriva il colonnello dei carabinieri D’Agata, in quel momento capo centro della Dia di Palermo che con quell’incarico ha seguito tutte le fasi dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. (…)
La testimonianza di Venturi: «Durante la cena ebbi modo di notare che D’Agata consegnava, in maniera furtiva e cercando di nasconderla alla vista, una pen drive al Montante.» (…)
La sua testimonianza viene “riscontrata”. Un’ulteriore conferma arriva anche dalle note contenute nel “diario segreto” ritrovato nel bunker di Montante, nella sua villa. (…)
Ma, più ancora delle investigazioni tecniche e più ancora del “diario”, sono le parole dello stesso D’Agata ad alimentare i sospetti che quelle telefonate del Presidente siano passate di mano in mano. L’ufficiale è dentro l’inchiesta Montante e viene ascoltato per mesi. Parla con la moglie, parla con i colleghi della Dia, parla con il suo superiore Arturo Esposito che è il capo del servizio segreto e che dal colonnello non viene mai chiamato per nome ma come “il numero uno della ditta” o semplicemente “Iddu”.
In una conversazione captata il 31 gennaio del 2016 D’Agata è molto inquieto, la moglie gli dice che non deve agitarsi «per la vicenda» e lui le comunica che è riuscito a «trovare l’articolo». L’articolo al quale fa riferimento è una cronaca datata 9 novembre 2015 sul quotidiano Libero intitolato “Ingroia e le telefonate di Napolitano… Vi svelerò il contenuto”, in cui l’ex procuratore annuncia che avrebbe scritto un libro dove sarebbe stato rivelato il testo delle conversazioni tra Mancino e Napolitano. (…)
Le preoccupazioni del colonnello continuano anche nei mesi successivi. A febbraio (siamo sempre nel 2016) D’Agata è frastornato, confessa alla moglie che la notte non riesce più a dormire. (…)
Arriviamo al mese di giugno, al 10. D’Agata e la moglie sono sulla loro auto che è “microfonata”. Il colonnello racconta alla donna di avere incontrato a Roma — a casa di un certo Claudio Ferlito — il tributarista palermitano Angelo Cuva e di avere parlato con lui della duplicazione delle intercettazioni fra Mancino e Napolitano. L’ufficiale dell’Arma rivela ancora alla moglie che Cuva gli avrebbe detto che lui — D’Agata — probabilmente sarebbe stato ascoltato sull’argomento dai magistrati. È il momento in cui il colonnello va nel panico. (…)
Tutti i protagonisti di questo giallo sono a conoscenza delle indagini che li coinvolgono. Montante cambia ancora una volta le schede del cellulare, D’Agata parla con il telefonino del suocero, Cuva comunica attraverso un’utenza intestata a un generale della Finanza, tutti si mettono in moto «per attingere notizie». (…)
Antonello Montante «con grande margine di probabilità» (così annotano i magistrati) ne parla con il generale Arturo Esposito, che a sua volta ne parla con l’ex Presidente del Senato Renato Schifani che — attraverso Cuva — fa giungere informazioni al colonnello D’Agata. Un giro di spioni che sta tremando. Nel frattempo il capo degli 007 Esposito si era dato da fare «per cercare di avere notizie anche per quanto riguardava l’altra vicenda che vedeva coinvolto il D’Agata sulla duplicazione delle intercettazioni Mancino-Napolitano». Sono sempre le famose telefonate del Colle a destare l’attenzione del capo dei servizi segreti. (…)
D’Agata, Schifani, il generale Esposito e Cuva, oggi sono tutti a processo per avere “veicolato” informazioni segrete a favore di Montante.
Fonte: repubblica.it
Il Circolaccio