Le interdittive prefettizie antimafia: inutili, punitive e antieconomiche
di ANDREA CUZZOCREA
Non capita spesso che qualcuno abbia l’ardire di organizzare un convegno sul tema delle interdittive prefettizie antimafia. A questo argomento sono stati dedicati i lavori dell’ultima sessione delle “Giornate Repubblicane”, evento organizzato dal partito dell’edera a Reggio Calabria con l’ambizioso appellativo “Il tempo della politica responsabile”.
Da uditore mi è sembrato, però, che sia rimasto sottotraccia proprio il tema del limite di un istituto che, lungi dal raggiungere l’obiettivo per cui è stato pensato, è ormai da ritenere, a mio avviso, una delle principali cause della drammatica condizione economica in cui versa la provincia di Reggio Calabria.
Tutti i relatori hanno meritoriamente denunciato le conseguenze estremamente negative che hanno sotto il profilo economico certi modi di applicare determinate misure di prevenzione antimafia senza, peraltro, contribuire in termini di efficacia sul versante repressivo. Ed è emerso in tutta la sua evidenza un grande paradosso: l’interesse generale ad affrontare la questione è inversamente proporzionale all’incidenza che essa ha in termini di soffocamento di legittime iniziative imprenditoriali.
Certo, il dibattito avrebbe potuto fornire gli elementi sostanziali per la comprensione della misura delle interdittive prefettizie in relazione alla loro genesi fondativa, alla loro originaria funzione e, soprattutto, in relazione all’evoluzione che nel tempo la misura ha subito stravolgendone gli obiettivi.
A partire da un principio che la dottrina e la giurisprudenza che nel tempo si sono occupate della materia non hanno mai perso l’occasione di ribadire: l’informativa prefettizia non dovendo dimostrare l’intervenuta infiltrazione, essendo sufficiente la sussistenza di elementi dai quali sia desumibile un semplice tentativo di ingerenza, deve sempre essere orientata al mantenimento di un giusto equilibrio tra due interessi contrapposti.
Da un lato la presunzione di innocenza ( art. 17 della Cost.) e soprattutto la libertà di impresa ( Art. 41 Cost.) e dall’altro un’efficace
SI PUÒ TOLLERARE CHE UNA MISURA COSÌ RESTRITTIVA DI LIBERTÀ FONDAMENTALI DELL’IMPRENDITORE, SIA LASCIATA AD UNA DECISIONE ARBITRARIA CHE NON PREVIENE?
repressione della criminalità organizzata.
E’ la continua ricerca del contemperamento di queste due esigenze, la continua ricerca di un punto di equilibrio, che dovrebbe guidare la mano degli attori chiamati a pronunciarsi sulla delicata materia.
A questo punto la domanda sorge spontanea: di questo equilibrio si tiene conto nella prassi applicativa? È essa improntata a principi di cautela? O i fatti dimostrano che lo strumento, lungi dall’essere preventivo, per come era stato pensato, si è nel tempo trasformato in uno strumento esclusivamente punitivo?
Basta guardare in faccia con approccio laico e principio di realtà cosa è successo in questi anni. Nella prassi applicativa, peraltro per nulla omogenea, i presupposti valorizzati dalle Prefetture per comminare la misura interdittiva si sono via via allargati fino al punto che oggi la giurisprudenza del Consiglio di Stato li definisce un “catalogo aperto”. Non solo, mentre un tempo, le “libere indagini” svolte da un Prefetto dovevano quantomeno fare riferimento ad un quadro indiziario composito oggi, ( si badi bene, a legislazione invariata) è sufficiente persino un solo elemento, anche risalente nel tempo, soggettivamente interpretato in perfetto stile inquisitorio, senza contraddittorio, ad essere giudicato sintomatico di un “tentativo” di infiltrazione mafiosa. Tentativo che potrebbe persino essere ordito alle spalle dell’imprenditore. Al punto che ormai siamo in regime di assoluta indeterminatezza delle condizioni che possono consentire al Prefetto, che gode di discrezionalità pressoché arbitraria, di emettere le interdittive. Ed in numero talmente elevato da apparire davvero poco sostenibile in un ordinamento democratico che rifugga da antichi spettri di diritto di Polizia e di pene del sospetto.
D’altronde basta guardare i numeri resi ( per la prima volta) pubblici dalla relazione che la Dia ogni anno trasmette al Parlamento; 197 interdittive in Calabria nel corso dell’anno 2017 a fronte delle 60 della Campania presa come metro di paragone per la presunzione di analoga pervasività delle organizzazioni mafiose. Parametrando il valore assoluto al numero di abitanti delle due Regioni è come se in Calabria ci fossero state il 900% in più di interdittive rispetto alla Campania a definitiva dimostrazione, da un lato, della totale discrezionalità che avvolge la materia, dall’altro, di quanto sia influente, sul thema decidendum, la retorica narrazione antimafia che prevale nel dibattito dalle nostre parti.
Con la nefasta conseguenza che il destinatario del provvedimento prefettizio finisce con l’essere esposto all’arbitrio dell’organo amministrativo competente a rilasciare la informativa correndo il rischio di vedere dissolti in un istante sulla base di una decisione potestativa unilaterale i sacrifici di una vita.
Ed ancora si può davvero tollerare che una misura così restrittiva di libertà fondamentali dell’imprenditore, così gravida di effetti devastanti sulla sua situazione economico patrimoniale, nonché sulla situazione occupazionale dei suoi dipendenti, sia lasciata ad una decisione arbitraria del Prefetto a causa di una disposizione di legge che non indica neanche sommariamente i presupposti e che lascia nelle sue mani poteri investigativi e poteri decisionali?
Ecco perché non è più procrastinabile una coraggiosa azione di sistema, con maggiore senso di consapevolezza e responsabilità. Ed ecco la necessità di sostenere con maggiore determinazione l’iniziativa del Partito Radicale e di “Mezzogiorno in Movimento” di raccolta firme per le otto proposte di Legge di iniziativa popolare tra cui le due che si propongono di modificare in senso più democratico e liberale le Leggi sulle interdittive antimafia e sullo scioglimento dei Comuni.
Fa davvero specie che in questo scenario non ci sia una forte e responsabile presa di posizione delle associazioni di categoria, dei sindacati, del Sindaco della città metropolitana.
E’ così complicato capire che impegnarsi tutti insieme per mettere fine a queste ingiustizie non significa affatto fare il gioco delle mafie quanto piuttosto impegnarsi nella costruzione di una società più giusta, più aderente ai principi costituzionali, persino più forte per combattere davvero ogni forma di illegalità e di criminalità?
* PRESIDENTE MEZZOGIORNO IN MOVIMENTO