Il Barone Di Stefano e Il grande summit mafioso del 1957 al Grand Hotel delle Palme
Nel 1957 la visita di Joe Bananas a Palermo segna una svolta epocale nella storia della mafia: mafiosi siciliani e americani si incontrano al Grand Hotel et del Palmes dove si discuterà del traffico di eroina e non solo
I misteri, gli intrighi e i segreti dell’Hotel delle Palme sono tanti.
Quel summit fu decisivo per gli equilibri politico-mafiosi che dovevano coprire molte attività economiche degli americani nel Mediterraneo e dovevano assicurare il controllo del territorio contro il tentativo sovietico di trovare spazi nel Mediterraneo attraverso il PCI che, come dimostrato da molti documenti prese molti soldi da Stalin , da Kruscioff e dai suoi successori.
In molti dicono che quel summit si fece per il traffico della droga. Non era il solo motivo dell’incontro
Era necessario organizzare le truppe mafiose e la borghesia vicina agli americani e orientale con intelligenza strategie anti comuniste. Gli americani non temevano le masse popolari. Temevano i dirigenti comunisti che rapportavano ogni cosa a Stalin il sanguinario.
La borghesia mafiosa di Castelvetrano entrò a far parte di questo ristretto circuito
A quella riunione era presente il Barone Sciacca che rappresentava l’accordo tutto castelvetranese con i De Simone ( padrini di Francesco Messina Denaro e in ottimi rapporti con don Pino Rizzo e Salvatore Zizzo di Salemi) e altre famiglie potenti del Belice
L’ Italia del boom economico , favorito dal piano Marshall era un mercato che faceva gola ai boss d’oltreoceano. I boss cercano affari ma Luciano doveva fare anche politica. l’accordo con il generale Patton e il presidente Roosevelt era questo.
Serviva una strategia . Aiutati dal “prestigio” dei siciliani don Calò Vizzini e Giuseppe Genco Russo molto sentito anche negli States, come ha ricordato Gabriello Montemagno sulla Repubblica di Palermo nel 2007 , si doveva dare il via all’azione. Il vero interesse dei mafiosi “nostrani” erano i soldi.
La politica la controllavano già. Non avevano capito i boss che gli affari sporchi non erano sufficienti. C’era bisogno di un azione politica pronta ad intervenire con strategica intelligenza. Compito che non poteva essere affidato al primo coglione mafioso di turno. Da quel summit , si scrivono i nuovi livelli di appartenenza. I ranghi a cui un boss , un politico o un borghese era degno di appartenere
UN “PICURARO” seppur spertu e con la pistola facile, all’ Hotel delle Palme non poteva entrare.
Come si dice: i soldi fannu veniri la vista all’orbi. L’accordo sta stretto a qualcuno
La droga entra e aumentano gli scontri tra famiglie, che negli anni ‘50 contò 211 vittime e il cui culmine arriverà solo a inizio anni ‘60, con la prima guerra di mafia. La regolazione di conti interna apriva così a nuove “frontiere” . Si assiste alla prima vera differenziazione tra mafiosi. Il summit viene rispettato ma con alcune condizioni. La mafia delle campagne vorrà avere maggiore peso nelle decisioni imponendo ai “colletti bianchi” di non scassare troppo “la minchia” . Il rischio era quello di finire crivellato da gente con pochi scrupoli. Dietro a questo meccanismo c’era anche la spinta di qualche nobile incazzato
Il summit impone nuove regole: finisce la sudditanza dei ricchi verso i mafiosi poveri
Al summit parteciparano : Giuseppe Genco Russo, Angelo La Barbera, Gaetano Badalamenti, Calcedonio Di Pisa, Cesare Manzella e Tommaso Buscetta.
I boss americani: Lucky Luciano( che si faceva chimare Salvatore Lucania) , Santo Sorge, John Di Bella, Vito Vitale
Il ruolo del Barone di Castelvetrano
ll famoso Hotel di Palermo dove per 50 anni , nella Stanza 204 ,visse per quasi 50 anni il Barone Di Stefano di Castelvetrano è stato luogo di incontri storici e luogo d’ incontro di varie consorterie. Di Stefano, per molti anni fu “testimone” di summit e occasioni di particolare mondanità. Non fu mai chiaro perché Barone Di Stefano avesse scelto questa specie di esilio dorato. Anche se tutto sembrò essere nato da qualcosa che suscitò le ire di un tribunale mafioso che aveva sentenziato proprio l’esilio per il Barone, ovviamente in alternativa alla cassa da morto! Il Barone Di Stefano era sempre presente nei saloni dorati dell’Albergo. Tutti lo conoscevano e ritenevano un onore conversare con Lui. Il suo “esilio ” ebbe inizio nel 1946 per concludersi nel 1998. Un esilio scontato in un luogo ritenuto sicuro dai grandi mafiosi della terra
Erano gli anni ruggenti e selvaggi della delinquenza mafiosa incontrastata. Tanto incontrastata e padrona del campo da poter tenere a Palermo quasi alla luce del sole convegni di boss siculo-americani, politici e borghesi e massoni .
Avveniva cinquant’anni fa, nell’ottobre del 1957, quando all’Hotel des Palmes si riunirono, come fosse un convegno scientifico, i capi di Cosa nostra americana e i capi della mafia siciliana. Palermo era la terra promessa, o se volete la Medina, fertile giardino che aveva prodotto i migliori frutti della delinquenza locale e d’oltre oceano. E quell’anno 1957 prometteva molto per la nuova strategia degli affari mafiosi.
Il “prestigio” di un don Calò Vizzini (che morirà l’anno seguente) o di un Giuseppe Genco Russo era molto sentito anche negli States. A Palermo, i mafiosi operavano a trecentossessanta gradi: si inserivano trionfalmente nell’edilizia, agevolata dallo sviluppo demografico (i residenti erano passati dai 411.000 del ’36 ai 580.000 del ’57), comportando un disordinato sviluppo urbanistico, il cosiddetto «sacco di Palermo» che prendeva il sopravvento sulla ricostruzione del centro storico; mantenevano il loro assoluto controllo sul mercato ortofrutticolo, sul contrabbando dei tabacchi e sugli agrumeti della Conca d’oro.
Intanto si cominciava a rendere più organici i rapporti tra politici e mafiosi. Nel corso degli anni Cinquanta, con il passaggio delle vecchie forze del blocco agrario (monarchici e liberali) alla Democrazia cristiana. Alla mafia locale venne dato il ruolo di copertura . LA DC era l’obiettivo ufficiale. Dovevano anche infiltrarsi tra le linee politiche di sinistra . . Per molti anni si parlò di opposizione costruttiva e spesso compiacente. La DC governava e i partiti d’opposizione la facevano governare avendone comunque sempre dei vantaggi. Chi si metteva contro a questo accordo finiva ammazzato .
Nella Dc palermitana prendeva il sopravvento un gruppo di giovani grintosi e determinati (“i giovani turchi”), guidati dai fanfaniani Gullotti e Gioia. La giunta comunale era formata (come alla Regione) da un tripartito Dc, Pli, Psdi, con l’appoggio esterno dei monarchici. Sindaco era l’ingegnere catanese Luciano Maugeri ( amico di Bernardo Mattarella), con due assessori di sicuro futuro: Salvo Lima ai Lavori pubblici, e Vito Ciancimino alle Aziende municipalizzate.
Ma intanto un nuovo business, quello degli stupefacenti (in Italia promosso e organizzato da Lucky Luciano) veniva a sconvolgere i tradizionali assetti del malaffare cittadino.
Il centro del traffico della droga era nella zona del porto e il trasferimento poi in questa zona del mercato ortofrutticolo, dall’inadeguato quartiere di via Guglielmo il Buono, dava il via ad un feroce scontro tra la vecchia e la giovane mafia a colpi di mitra e di lupara. Dei 211 morti ammazzati per le vie di Palermo fra il ’51 e il ’59, la maggior parte cadde proprio negli anni 1956 e ’57, vittime sia i manovali che i pezzi da novanta. Senza contare i numerosi morti e feriti all’interno dell’Ucciardone a causa di “caduta nelle scale”. I benpensanti commentavano questo incredibile scanna-scanna con una frase che era diventata un ritornello: «Lasciamo che si scannino fra di loro».
La grande mattanza del ’56 iniziò con l’omicidio di Carmelo Napoli, impresario di pompe funebri implicato in molti affari, che in via Maqueda fu inchiodato al muro da raffiche di mitra sparate da una 1100 nera. Poi il Napoli scivolò con le gambe larghe sul marciapiedi dove si sedette rantolando. Come scrissero i cronisti, avrebbe avuto il tempo di fare i nomi dei suoi uccisori, ma preferì tacere. La morte gli era stata annunciata una settimana prima con un pacco postale che conteneva la testa del suo cane lupo. Partì così la più terrificante catena di delitti che la cronaca della città ricordi.
Un periodo di grandi conflitti di tipo mafioso e politico. Intanto, un certo Giuseppe Bertolino, classe 1902, di Partinico che aveva un notevole interesse per l’alcool si muove con piede felpato. Non sappiamo da dove gli derivasse questo amore per l’alcol. Sappiamo che l’amore per l’alcol lo condividerà anche con la famiglia De Simone di Castelvetrano
Bertolino, si era dovuto recare negli Stati Uniti, dove il fascismo aveva mandato il suo compaesano Francesco Paolo Coppola, alias “Frank Tre dita”, diventato uno dei più grandi trafficanti di droga del mondo, al pari del suo corregionale Lucky Luciano. Coppola era collegato con Diego Plaia, Salvatore Greco e Giuseppe Corso, quest’ultimo partinicese doc pure lui.
Gli interessi per l’alcool del Bertolino vengono ammessi, durante il procedimento penale a carico dei Magaddino di Castellammare del Golfo, negli anni ’60, quando Manlio Rizzoni nella sua veste di funzionario del Banco di Sicilia a New York, conobbe, tra il 1946 e il 1958, Calogero Orlando e, appunto, Giuseppe Bertolino “già soci nel commercio dell’alcool”. Ma questo potrebbe non significare nulla se attorno al fondatore di quella che sarà la più grande distilleria d’Europa, non girassero fior fiori di personaggi che hanno fatto la storia di Cosa Nostra nel secolo scorso.
Ad esempio, quando nel Natale del 1962 alcuni colpi di lupara freddarono nella piazza Principe di Camporeale, a Palermo, il boss Calcedonio Di Pisa, grande trafficante di droga tra la Sicilia e gli Usa, addosso gli fu trovato un taccuino nel quale risultava scritto il nome di Giuseppe Bertolino, già noto alla Guardia di Finanza perché in contatto, con trafficanti di stupefacenti del calibro di Salvatore Zizzo di Salemi e amico dei Salvo. Zizzo era il trade iunion con le famiglie di Castelvetrano e molto vicino a Pino Rizzo e Francesco Messina Denaro
Comincia il salto di qualità delle imprese a servizio del crimine organizzato in Sicilia
La necessità di far girare montagne di soldi delle droga e di altri affari nasce in questo periodo
A luglio il gangster americano Francesco Garofalo, alias Frank, legato alla mafia di Castellammare del Golfo, aveva anticipato tutti, fissando la sua dimora a Palermo e nel paese di Gaspare Magaddino e Diego Plaia, con i quali, nei viaggi da e per gli Stati Uniti, aveva avuto frequenti contatti. Al summit, all’hotel delle Palme, aveva partecipato il ghota della Cosa nostra siculo-americana, sotto lo scettro indiscusso di Salvatore Lucania, alias Lucky Luciano.
In quest’epoca altri italo-americani fanno la loro comparsa: Vincent Martinez, amico di Garofalo, Calogero Orlando, alias Charles, collegato alla mafia americana di Detroit, Frank Tre Dita e Giuseppe Bertolino entrambi residenti negli Stati Uniti ed appartenenti all’organizzazione mafiosa di Giovanni Priziola, alias “Papa John”.
Il boss Giovanni Bonventre, in particolare, arrestato in Italia nel luglio 1957, si stabilisce a New York dove dal 1923 al 1931, in pieno proibizionismo, fa il piazzista di vino e birra, “rifornendo – come leggiamo negli atti antimafia – le fabbriche clandestine di alcool di prodotti chimici utilizzati per la distillazione degli alcolici”. In America conosce Joe Bonanno, alias Bananas.
Giuseppe Bertolino, dal canto suo, gode di speciali rapporti con Calogero Orlando, magnate del commercio di alimentari in tutti gli Stati Uniti e amico delle famiglie De Simone e Taormina di Castelvetrano che cominciano in quegli anni, fiorenti commerci con gli USA. I due si erano conosciuti, già dall’infanzia a Partinico, e si erano incontrati molte volte negli Usa, a Detroit fino al 1927, in Cleveland dal 1932 al 1934, e in Italia: una volta nel 1936, e molte altre volte nel dopoguerra, a Palermo. Ma, stando alle dichiarazioni del boss Giuseppe Martinez i due vanno a trovarlo nella sua casa di Marsala anche nel 1930, dopo che egli ha conosciuto il Bertolino nel 1926 negli Stati Uniti.
L’era del proibizionismo americano aprì molti canali tra la mafia siciliana delle campagne, i borghesi, l’aristocrazia dell’Isola e i fratelli d’oltreoceano. L’alcol fu , per molti anni il mercato più fiorente. Finito il proibizionismo, la mafia si trovò tanti soldi e senza un business prevalente. La Seconda guerra mondiale chiude quel ciclo e favorirà il mercato degli stupefacenti. Il Patto dell’HOTEL delle Palme aprirà il mercato dei soldi pubblici e degli appalti. Inizia l’era del boom economico, dei palazzi e delle grandi opere pubbliche
Fonte: Reubblica, Casarubbea, Tacus
Il Circolaccio