Antonio D’Alì, il testimone: “Gli uomini di Messina Denaro erano alla festa per l’elezione del senatore di Forza Italia”
Il Fatto, in articolo a firma di Marco Bova giornalista trapanese annuncia le rivelazioni di Giovanni Ingrasciotta, l’ex poliziotto che doveva essere ucciso per ordine di Matteo Messina Denaro. Ingrasciotta, riuscì a farla franca nell’agguato organizzato dal boss latitante ,ed eseguito dall’ex consigliere provinciale della DC, Vito Panicola, padre di Vincenzo, marito di Patrizia Messina Denaro perse la vita il figlio di Don Vito. L’agguato si svolse nelle ore serali e Vito Panicola che si doveva incontrare con Ingrasciotta per ammazzarlo sbagliò bersaglio e uccise il proprio figlio.
Secondo Ingrasciotta, alla festa dell’elezione a senatore di d’Alì, c’erano diversi parenti di don Ciccio e Matteo.
Relazioni tra d’Alì e la famiglia Messina Denaro erano state annunciate anche dall’ex moglie del senatore, proprio nell’intervista al Fatto.
Quello che non si narra nell’articolo che i componenti della famiglia Messina Denaro avevano anche relazioni politiche con altri personaggi castelvetranesi . le relazioni investigative ” dimenticate” da certe procure , in quegli anni evidenziarono le frequenze in città di Filippo Guttadauro e Saro Allegra con ex sindaci ed ex consiglieri di Castelvetrano. Frequenze anche di tavoli da gioco.
Comincia il secondo processo d’appello ordinato dalla corte di Cassazione per l’ex sottosegretario che a gennaio ha annullato con rinvio la sentenza emessa nel dicembre 2016. In primo grado il politico era stato prescritto per i reati commessi fino al 1994 e assolto per quelli degli anni successivi. Ora il pg Gozzo chiede l’audizione di nuovi testimoni: a cominciare da Giovanni Ingrasciotta, collaboratore di giustizia poi uscito dal programma di protezione
Il cerchio magico del latitante Matteo Messina Denaro “si recò alla festa di Antonio D’Alì” dopo la sua prima elezione al Senato nel marzo 1994. “C’erano Filippo Guttadauro, Giuseppe Grigoli, i fratelli Filardo (cugini di Matteo), Vito e Vincenzo Panicola e Saro Allegra”. A dirlo è Giovanni Ingrasciotta uno dei testimoni che la procura generale di Palermo ha chiesto di ascoltare nel processo in cui l’ex sottosegretario all’Interno di Forza Italia è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.
È il secondo processo d’appello ordinato dalla corte di Cassazioneche a gennaio ha annullato con rinvio la sentenza emessa nel dicembre 2016. In primo grado D’Alì era stato prescritto per i reati commessi fino al 1994 e assolto per quelli degli anni successivi.In secondo poi i giudici avevano negato la riapertura dell’istruttoria e l’audizione di alcuni testimoni indicati dalla procura generale. Una scelta “immotivata” secondo la Cassazione. Per questo il pg Nico Gozzo – alla luce di quanto scritto dagli ermellini – è tornato a chiedere la testimonianza in aula di venti persone e l’acquisizione di informative e sentenze passate in giudicato.
A partire da Ingrasciotta, collaboratore di giustizia poi uscito dal programma di protezione, cugino dei Panicola (famiglia di Castelvetrano imparentata con i Messina Denaro) da cui ha raccolto le confidenze. Nel 2012 alla procura di Trapani- oltre all’aneddoto sui festeggiamenti di D’Alì dopo l’elezione al Senato – ha raccontato la genesi del politico trapanese. Ci sono le “cene organizzate alla fine delle vendemmie in contrada Zangara” con Messina Denaro e il suo cerchio magico, il suo intervento a favore del giovane Matteo per “numerosi sub-appalti”. Poi c’è il sostegno elettorale alle elezioni politiche del 1994. Panicola gli aveva detto: “Salendo lui si risolvono tanti problemi, perchè lui è un uomo che appartiene a noi”. A quelle elezioni D’Alì venne eletto con 51.987 voti.
Secondo l’accusa, poi, la mafia trapanese tentò di far fallire laCalcestruzzi Ericina e il politico – secondo la Procura Generale – avrebbe garantito la “messa a disposizione della associazione mafiosa del ruolo istituzionale di senatore e di sottosegretario di Stato”. Per questo il pg chiede di ascoltare il collaboratore Nino Birrittella e un confronto in aula con gli amministratori giudiziari dell’epoca. D’Alì lamentava al prefetto Fulvio Sodano (poi trasferito) “un’alterazione del libero mercato”. I clan poi, avrebbero convinto Tommaso Billeci della Loria Spedialieri (già condannato per mafia e turbativa d’asta) a rescindere un contratto con la Calcestruzzi. L’intera vicenda ora sarà valutata dai giudici a cui viene chiesto di ascoltare Billeci e alcuni dipendenti dell’azienda.
Redazione : Il Circolaccio
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