
Mafia boss Charles 'Lucky' Luciano (third right, 1897-1962) walking with his henchmen in Sicily, Italy, 31 December 1948. (Photo by Slim Aarons/Getty Images)
Il Summit dell’Hotel delle Palme, quando mafia italiana e americana fecero “pace”
Quando l’alta borghesia mafiosa di Castelvetrano si prestò al lavoro di riconciliazione tra la mafia americana e quella palermitana
Un accordo di ferro che fu raggiunto negli anni 50 all’Hotel delle Palme.
A quella riunione erano presenti potenti uomini d’affari di Castelvetrano e il Barone Di Stefano che alloggiava nell’albergo. Quella riunione finì anche tra le carte dei servizi segreti sovietici che dopo la strage di portella della Ginestra e la mafia che per ordine degli americani uccidevano sindacalisti e comunisti considerò la Sicilia zona operativa contro gli interessi sovietici
In molti hanno sempre creduto che il Barone fu “condannato” all’esilio dalla mafia rurale di Castelvetrano , per avere ucciso a causa di un errore il figlio di un boss. Fu davvero questo il motivo? Un Barone che fugge per paura di “quattru picurara ?“
Un Barone ricco e facoltoso che si avvaleva dell’amicizia di boss come , Joe Bonanno, Sam Giancana(originario di Partanna) e Lucky Luciano non scappa di certo per paura di mafiosi di mezza scaccia. Anche in questo caso la capacità di depistare dei castelvetranesi si dimostrerebbe di alto livello
A leggere i documenti storici con attenzione affiora qualche dubbio sull’esilio del Barone per motivi mafiosi. Dubbio che viene evidenziato da un rapporto segreto dei servizi sovietici che indicavano l’Hotel delle Palme di Palermo come la location segreta dei servizi americani e inglesi. Fu definita “l’ambasciata segreta americana” .
In quell’albergo si sono decise le sorti di tanti uomini del dopo guerra . Gli stalinisti che avevano distrutto insieme agli USA, l’asse Mussolini -Hitler non erano disposti a lasciare la Sicilia in mano agli anglo-americani.
La Sicilia ha una posizione strategica nel Mediterraneo . Dal canale di Sicilia, passano le navi con il petrolio arabo. inoltre, è una base militare naturale . Il controllo delle fortezze militari siciliane diventavano strategiche per i vincitori . L’URSS, in Europa, era molto più forte degli americani . Il rischio era la generazione di un nuovo conflitto proprio per il controllo del Mediterraneo. Gli stalinisti sapevano che gli Usa avevano già un piano per la nascita dello Stato di Israele . Infatti, il 29 novembre del 1947 a New York verrà fatto l’annuncio della nascita dello Stato Ebraico. Gli ebrei americani, ricchi e potenti, restituirono il favore finanziando il piano Marshall. Ad un certo punto della storia di quei giorni, i cannoni non sparano più. Tutto si gioca con l’intelligence . Gli americani non intendono perdere la Sicilia che pure gli inglesi tentarono di acchiappare. A questo punto, visto il rischio serio di perdere il controllo sull’Isola, gli americani calano l’asso della mafia. Nessuno può conquistare la Sicilia senza l’appoggio mafioso disse il Generale Patton.
Scatta il piano “Lucky Luciano” e la mafia si erge a intelligence. Mossa scaltra ,già preparata da Charles Poletti ,uno stratega di prim’ordine, capo della vecchia struttura di servizi segreti che poi si chiamò CIA.
Con il grado di Tenente colonnello , Poletti fu inviato in Italia nel luglio 1943 al seguito delle truppe di occupazione, e per la sua esperienza amministrativa fu capo degli Affari Civili della VII armata americana. In quell’incarico fu preferito a Fiorello La Guardia. Inizialmente assegnato alla ricostruzione dell’amministrazione civile della città di Palermo, per l’amministrazione militare alleata guidata dal maggior generale inglese Francis Rennell Rodd fu il responsabile civile della Sicilia (Region I), fino al febbraio 1944 .Nonostante parlasse correntemente l’italiano, a Napoli ebbe quale aiutante e interprete ufficiale Vito Genovese, luogotenente di Lucky Luciano.
Questa strana alleanza tra mafia e Us Navy è nel pieno della sua attività quando, nel 1943, gli Alleati decidono di sbarcare in Sicilia.
Si rendono conto di avere gravissime carenze nell’intelligence: sul terreno non c’è nemmeno un agente, né americano né britannico. L’unica fonte d’informazione è rappresentata dalle lettere scritte dai familiari ai prigionieri di guerra italiani originari dell’isola. Troppo poco.
Luciano chiede di essere messo in contatto con un altro mafioso, Joseph Adonis, boss di Brooklyn che si impegna a reclutare italo-americani con collegamenti in Sicilia. Quel che si sa per certo, invece, è che alla vigilia dello sbarco il comandante della squadra americana, l’ammiraglio Kent H. Hewitt, scopre di non avere nemmeno un ufficiale in grado di parlare italiano. Ne raccattano sei in fretta e furia, quattro sono originari di New York, e glieli mandano. Sbarcano tra Gela e Licata, con la prima ondata del primo giorno.
Hanno con loro un elenco di persone da contattare, gentilmente messo insieme dai mafiosi di New York: si tratta di malavitosi, per lo più espulsi dagli Stati Uniti. Tra questi risulta un certo DE Simone.
Uno di questi ufficiali, il tenente Paul A. Alfieri, in seguito dichiarerà: «Furono molto disponibili a cooperare e di grande utilità perché parlavano sia il dialetto della regione sia un po’ d’inglese».
Ancora una volta non si sa come siano andate esattamente le cose. Si dice che un agente americano abbia consegnato un fazzoletto di Lucky Luciano a Calogero Vizzini, il capo della mafia siciliana, e che l’Oss – l’antenato della Cia – abbia liberato i mafiosi messi in carcere da Mussolini.
Venne riconosciuto il ruolo avuto da alcune famiglie alto borghesi di Castelvetrano e del trapanese durante la guerra di liberazione. Alcune famiglie come i De Simone e Taormina (Don Ciccio Messina Denaro, da giovane lavorò per la famiglia De Simone per diversi anni per poi passare nella proprietà D’alì) erano molto stretti con la mafia d’oltreoceano. Addirittura , alcuni rampolli di queste famiglie ,furono espulsi dagli Usa negli anni 30 per i legami con i boss USA e fecero ritorno a Castelvetrano. Di questo periodo storico ,parla in modo chiaro, il primo pentito di mafia di Castelvetrano, il medico Giardina, nel 1937
Gli americani erano davvero scoperti come servizi segreti operativi in Sicilia. Il fascismo li aveva fiaccati. Dovevano fidarsi dei mafiosi italo-americani che avevano già favorito lo sbarco alleato ed erano radicati bene anche nella medio -alta borghesia. Non servivano solo i boss delle campagne ,occorreva altro. Roosevelt venne a Castelvetrano l’8 dicembre del 1943 per definire accordi militari e di contro spionaggio. E secondo fonti storiche, incontrò esponenti di una facoltosa famiglia castelvetranese. Cosa si dissero rimane un mistero
Il presidente americano, da una valutazione storica complessiva considerò Castelvetrano un luogo sicuro dove poter decidere le strategie concordate per lo sbarco con le famiglie mafiose americane. l’incontro di Castelvetrano avviene nella massima riservatezza. Il rischio di finire sotto le bombe tedesche era altissimo. Lui venne lo stesso. Quell’accordo durò fino alla vittoria contro i tedeschi. Nel 1945 inizia una nuova partita. Rimaneva il bottino da spartire. La Sicilia doveva essere americana
Lo sbarco in Sicilia avviene nel luglio dello stesso anno
Dopo la vittoria alleata in Africa settentrionale del 1942-43, Roosevelt e Churchill decisero a Casablanca che i tempi per l’invasione del territorio europeo governato dall’Asse fossero ormai maturi. Il ponte per il cuore del vecchio continente era certamente l’Italia, considerata il “ventre molle” d’Europa.L’invasione della penisola avrebbe determinato in tempi brevi la caduta del fascismo e assicurato il controllo pressoché totale delle operazioni nel Mediterraneo.
Operazione “Mincemeat”: i tedeschi credono al falso sbarco in Sardegna e Corsica. I servizi segreti americani con l’aiuto della mafia organizzano una mossa d’alta strategia bellica
La mafia non fa niente per niente. Gli americani firmeranno cambiali di altissimo valore
C’è una scena nel celebre film “Il Padrino” in cui i capi-famiglia mafiosi si ritrovano per discutere del mercato della droga. Seduti attorno a un tavolo, i boss decidono di mettere da parte i propri rancori che li dividono per trovare un accordo su a chi, come e dove venderla, gettando così una base per la “pace” tra cosche rivali. Don Vito Corleone riesce così a ristabilire l’equilibrio, scovando così anche i suoi nemici più pericolosi che hanno preso parte a quel summit: il periodo storico è tra la fine degli anni ‘40 e l’inizio dei ‘50, quando le autorità statunitensi iniziavano a ricevere segnali sempre più allarmanti sulle reti di spaccio.
Quella che è una ricostruzione cinematografica può essere comparata con ciò che realmente avvenne diversi anni più tardi, questa volta in Italia: tra il 12 e il 16 ottobre 1957, infatti, i capi di Cosa Nostra siciliana e quella americana si incontrarono a Palermo, in quello che è passato alla storia come il Summit del Grand Hotel et des Palmes, o Summit dell’Hotel delle Palme. Oggetto della discussione era appunto il ricucire i rapporti tra le due organizzazioni, divise dall’Oceano Atlantico e da percorsi diversi intrapresi fin dalla prima metà del secolo: l’anello di congiunzione era quindi il traffico di eroina, che partiva dal sud della Francia per arrivare via mare negli USA.
A quanto riporta, i rapporti tra italiani e americani non erano buoni, soprattutto per la scelta dei “mercati” in cui i secondi avevano deciso di puntare: “I mafiosi americani guardavano ai mafiosi siciliani dall’alto verso il basso e l’interruzione dei rapporti vi era stata in seguito alla decisione dei primi di entrare in traffici come lo sfruttamento della prostituzione, il prestito ad usura a membri dell’organizzazione e il fatto che ammettevano il divorzio, tutte cose contrarie ai valori originari di Cosa Nostra”. Ma i soldi provenienti da attività come il traffico di droga erano molto appetibili per le famiglie siciliane, già impegnate nel contrabbando di tabacchi nel Mediterraneo e nella speculazione edilizia in Sicilia: potevano quindi contare su una propria rete già presente.
La stessa Italia del boom economico era un mercato che faceva gola ai boss d’oltreoceano. I segnali per un riavvicinamento c’erano tutti allora, aiutati dal “prestigio” dei siciliani don Calò Vizzini e Giuseppe Genco Russo molto sentito anche negli States, come ha ricordato Gabriello Montemagno sulla Repubblica di Palermo nel 2007. Le cause dell’interesse dei mafiosi “nostrani” verso la droga erano anche date dall’acutizzarsi degli scontri tra famiglie, che negli anni ‘50 contò 211 vittime e il cui culmine arriverà solo a inizio anni ‘60, con la prima guerra di mafia. La regolazione di conti interna apriva così a nuove “frontiere” per la malavita, a discapito dei principi che fino ad allora avevano guidato le scelte dei capi siciliani.
In quell’albergo aveva facile ingresso il Barone Di Stefano. Secondo la versione ufficiale, dal 1946, il Barone abitò nella suite, per espiare la pena mafiosa ordinata da quattro scazzacani. Una copertura per non far capire il suo vero ruolo di ambasciatore delle famiglie mafiose aristocratiche e borghesi che si schierarono con gli anglo americani su preciso ordine dei boss d’oltreoceano? Una posizione di vantaggio per coprire altri ruoli? La verità dei fatti forse non la sapremo mai. Troppi segreti girano attorno a questa vicenda. L’unica cosa che resta da fare è collegare gli eventi e cercare di ricostruire con i fatti realmente accaduti. E’ difficile poter pensare che sia solo frutto della casualità la visita del presidente Roseveelt a Castelvetrano , la presenza del Barone nell’albergo in mano ai servizi segreti anglo-americani, il caso Giuliano e le accertate riunioni per le stragi del 92 e del 93 tenutesi a Castelvetrano ormai riscontrate anche nelle inchieste giudiziarie del processo sulla trattativa “Stato-Mafia”
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