
Decise lo sorti di molti politici dal dopo guerra in poi
Era più potente di un mafioso
Vito Guarrasi nasce ad Alcamo il 22 aprile 1914; figlio di una agiata famiglia di possidenti introdotta negli ambienti nobiliari dell’isola, è stato un controverso avvocato e manager . Era un lontano cugino ddel potente banchiere amico di Giulio Andreotti, Enrico Cuccia(una zia di Guarrasi era sposata con uno zio di Cuccia).
Nel 1943, con il grado di sottotenente di complemento del servizio automobilistico fu presente alla firma dell’Armistizio di Cassibile assieme al generale Giuseppe Castellano, in qualità di suo aiutante di campo. In un rapporto del 27 novembre 1944 indirizzato al Segretario di Stato USA, il console generale americano a Palermo Alfred Nester affermò che Vito Guarrasi, assieme ad altre personalità dell’isola, fu presente ad una riunione con alti ufficiali americani in cui si discusse se la Sicilia dovesse separarsi dall’Italia e dichiarare l’indipendenza. Il rapporto del console è significativamente intitolato: Formation of group favoring autonomy of Sicily under direction of MAFIA. (formazione di un gruppo che favorisca l’autonomia della Sicilia sotto la direzione della Mafia).
Procedimenti giudiziari a suo carico
Il pentito Gioacchino Pennino ha affermato nel 2007 che Guarrasi svolse un ruolo nella morte del giornalista dell’Ora Mauro De Mauro, scomparso il 16 settembre 1970 e il cui corpo non è mai più stato ritrovato. All’epoca il giornalista stava raccogliendo informazioni sulla morte di Mattei e sul fallito golpe del principe Junio Valerio Borghese. Pennino ritiene che Guarrasi abbia riferito indirettamente le informazioni in possesso di De Mauro ad alcuni capimafia, che avrebbero così deciso di eliminarlo.
Si dice che il giornalista palermitano, poco prima di scomparire avrebbe incontrato tutta una serie di personalità e, tra queste, anche Guarrasi. L’ avvocato replica: I fatti parlano da soli. Io nell’ inchiesta De Mauro non ho ricevuto neanche una comunicazione giudiziaria.
Il 10 luglio 1971 Guarrasi è stato condannato a quattro anni di reclusione per bancarotta fraudolenta dalla 1ª Sezione Penale del Tribunale di Roma; verrà in seguito prosciolto.

Nel 1986 Guarrasi è risultato anche iscritto alla loggia della “Massoneria universale di rito scozzese antico e accettato. Supremo Consiglio d’Italia” di via Roma a Palermo, insieme all’esattore di Salemi Nino Salvo e al boss mafioso Salvatore Greco.
Guarrasi è stato interrogato nel 1998 come testimone al processo per mafia a carico di Giulio Andreotti. Morì un’anno dopo a Mondello. Guarrasi ha sempre avuto una particolare influenza sulle attività politiche ed economiche del trapanese. La sua roccaforte rimaneva Alcamo con collegamenti a Castellammare del Golfo dove ha sempre avuto ottime relazioni con i politici democristiani
LA VITA DI DON VITO GUARRASI
(IL VERO BOSS DEI BOSS)
(IL VERO BOSS DEI BOSS)
DIMENTICATE I RIINA E I PROVENZANO, BIECA MANOVALANZA DEL CRIMINE, LA MAFIA SI INCARNA IN DON VITO – PIÙ POTENTE DI CUCCIA, PIÙ INFLUENTE DI AGNELLI, PIÙ RICCO DI BERLUSCONI, PIÙ ASTUTO DI ANDREOTTI, PIÙ SEGRETO DI FATIMA
Piero Melati per “il Venerdì di Repubblica” definiva così Vito Guarrasi
Vito Guarrasi. Di lui si sussurrava che era più potente di Cuccia, più influente di Agnelli, più ricco di Berlusconi, più astuto di Andreotti, più segreto di Fatima.
Tra le sue mani di «consulente dei potenti» sono passati i misteri d’Italia: i retroscena dello sbarco degli americani in Sicilia, la morte di Mattei, la scomparsa di De Mauro, il golpe Borghese, l’ascesa di Cefis, l’affare Sindona, la morte di Calvi, gli omicidi politici, i rapporti tra Andreotti e la mafia.
In mezzo, nel crocevia del diavolo, sempre lui. Sempre Guarrasi. Eppure mai un processo, un concorso esterno, un favoreggiamento, un 41 bis. Mai nessuna visibilità, nessuna «esposizione». Sempre nell’ombra. Ha mandato all’opposizione in Sicilia la Dc di don Sturzo e Fanfani per dare forza ad Andreotti , Lima e Ciancimino
Fu capace di sottomettere boss di Cosa Nostra del calibro di Calogero Vizzini e Genco Russo
I capi della Cia in visita a Palermo andavano a trovarlo nello studio in via Segesta o nella villa di Mondello.
Guarrasi e i Salvo nasce l’asse Alcamo, Castellammare del Golfo – Salemi-Palermo
Era amico di Nino e Ignazio Salvo, i potenti esattori legati alla mafia, ma per cinque mesi fu anche consigliere di amministrazione dell’Ora, il quotidiano antimafia di Palermo.
Guarrasi sposa la bellissima Simonetta Biuso Greco, appena diciottenne, e sarà lei a fornirgli le chiavi di accesso allo studio del padre, l’avvocato più importante del Banco di Sicilia.
Sua moglie fu poi per sedici anni l’amante del suo migliore amico, Domenico La Cavera, detto Mimì, presidente degli industriali siciliani, conosciuto tra i banchi del Gonzaga, un’avventura politica condivisa (anche con il Pci di Emanuele Macaluso), quella del milazzismo. Poi Mimì sposò a sua volta la diva del cinema degli anni Sessanta Eleonora Rossi Drago, che aveva appena troncato una storia d’amore con Alfonso di Borbone, fratello del re di Spagna
Una squadra di figli di papà ancora al potere
Dal padre Raffaele (sposato con Luigia Dagnino) Guarrasi eredita l’azienda vinicola Rapitalà che si trova tra Alcamo e Camporeale. È amico per la pelle di Galvano Lanza Branciforti di Trabia, per conto del quale amministra il feudo di Villa Trabia. Dirà La Cavera: «Le Terre rosse di Villa Trabia erano un mito».
Guarrasi era davvero potente, ed era solito camminare con le mani basse dietro la schiena, come Enrico Cuccia, il patron di Mediobanca di cui era parente. «Per evitare che qualcuno me lo metta in quel posto».
Con quello stesso spirito affronta l’avventura di Silvio Milazzo: dal ‘58 al ‘60 l’ex deputato dc di Caltagirone mette insieme comunisti e fascisti e taglia fuori lo scudocrociato di Fanfani dal governo. Guarrasi è responsabile del piano di sviluppo.
I Salvo giovani e rampanti imprenditori appoggiano Milazzo, don Paolino Bontate (padre di Stefano, il «principe di Villagrazia» ucciso dai corleonesi nella successiva guerra di mafia) schiaffeggia personalmente i deputati monarchici dubbiosi. A diverso titolo, giocheranno un ruolo Bernardo Mattarella (padre di Piersanti, il presidente della Regione Sicilia ucciso dalla mafia nell’81 e dell’attuale presidente della Repubblica), Salvatore Orlando Cascio (padre del quattro volte sindaco di Palermo Leoluca), Giuseppe La Loggia (padre del leader del Pdl Enrico), Francesco Pignatone (padre del capo della Procura di Roma Giuseppe).
E ancora, Gerlando Miccichè, fratello del defunto Luigi, che fu segretario particolare di Mimì La Cavera, e padre dell’ex sottosegretario berlusconiano Gianfranco, del banchiere Gaetano, del manager del Palermo calcio Guglielmo. O Aldo Profumo, padre dell’ex presidente di Unicredit Alessandro, direttore, ai tempi in cui La Cavera era in auge, della Elettronica Sicula, collegata alle grandi imprese Usa, azienda che inventò i tubi catodici per le tv a colori. La Sicilia vola. Enrico Mattei, presidente dell’Eni, vuole industrializzare l’Isola. Usa i partiti come taxi, sfida le sette sorelle del petrolio. Ma muore in un incidente aereo a Bescapè (27 ottobre ‘62).
Un attentato? Gli succede Eugenio Cefis. Guarrasi è consulente di Mattei, lo resta anche di Cefis nei decenni successivi. Ma intanto, caduto Milazzo, fa approvare una legge che scarica sulla Regione i debiti mostruosi delle industrie minerarie. «Io non faccio le leggi. Le scrivo» dirà. Si cominciano a mangiare la Sicilia. Otto anni dopo scompare il cronista dell’Ora De Mauro, al tempo di Salò legato alla X Mas del principe nero Junio Valerio Borghese. De Mauro lavorava come consultente al film del regista Francesco Rosi sul giallo di Mattei. Il capo della squadra Mobile Boris Giuliano (ucciso dalla mafia nel ‘79) batte la pista che porta a batte la pista che porta a
Palermo scommette: stanno per futtiri Mister X. Lo definisce così, sull’Espresso, il questore dell’epoca, Angelo Mangano, lo sbirro che arrestò Luciano Liggio. Ma la palude inghiotte tutto. Qualche lume verrà 27 anni dopo. Un giudice a Pavia, Vincenzo Calia, riapre l’inchiesta. E ascolta il pm Ugo Saitto, che rivela: Boris Giuliano gli confidò di un summit nella panormita Villa Boscogrande, presieduto dal capo dei servizi, il piduista Vito Miceli. Qui, tra zagare, gelsomini e fette di cassata, si era deciso di insabbiare tutto. Poi ci si mette Graziano Verzotto, ex partigiano e braccio destro di Mattei, latitante per 16 anni, ad accusare Guarrasi.
Guarrasi morirà “fottendo ” tutti. Non ci sono dubbi che il suo potere ha condizionato diversi politici e imprenditori. Guarrasi sapeva gestire i rapporti con i “viddani” mafiosi , politici e l’alta finanza. Condizionò per molti anni le scelte politiche di alcuni territori tra cui Alcamo e Castellammare del Golfo. Secondo alcuni documenti fu Guarrasi a favorire alleanze politiche ai Salvo. Infatti, diversi politici trapanesi passarono con gli esattori. In particolare quelli di Alcamo dove lui aveva maggiore influenza. Non si poteva fare il sindaco per 20 anni come Vito Turano, se non eri simpatico all’avvocato potente. Quando soppiò la guerra di mafia a Palermo fece come Ponzio Pilato. Guarrasi sapeva di Gladio
Fonte: Documenti Italia mistero , blog
Il Circolaccio