“Borsellino avrebbe voluto
arrestare Giammanco”
Il diario di Falcone è esistito ma l’unico ad avere interesse a farlo sparire era prprio Giammanco a capo della Procura di Palermo quando Falcone fu fatto saltare in aria con sua moglie e la scorta.
Giammanco era in guerra con Falcone. Giammanco era vicino a chi voleva distruggere Falcone.
Il diario- si disse- non contiene nessuna informazione che possa aiutare le indagini. Nulla di “penalmente rilevante”,. non era vero. Chi aveva il potere lo ha tenuto nascosto
“Non gli riferite troppi particolari sulle indagini che state svolgendo. Non mi fido di lui”. “Di Lello? Sta assittato supra ‘ na cartedda ‘ e munnizza”. La prima frase è di Paolo Borsellino. Era rivolta ai colleghi della procura. L’ uomo di cui Borsellino non si fidava era Pietro Giammanco, il capo della procura. La seconda è di Giammanco. La urlò, battendo i pugni sul tavolo e bestemmiando, ai sostituti che, dopo la strage di Capaci, gli facevano notare come Giuseppe Di Lello, componente storico del pool antimafia, non fosse adeguatamente protetto.
Al di là di ogni considerazione, spunta ancora il nome di Giorgio Napolitano, amico di Giammanco.
Un amicizia da toni misteriosi tra un comunista e un procuratore contro Falcone
Il procuratore capo Pietro Giammanco che mise Giovanni Falcone nella condizione di non lavorare, lo costrinse, di fatto, a dover abbandonare la Procura e Palermo. Giammanco era il capo che piaceva a certi democristiani e a certi comunisti
Giammanco toglie al giudice assassinato la delega per le inchieste di mafia, alla comunicazione e al pool antimafia. Insomma lo isola
Dalla circostanza che in qualche occasione Falcone fu costretto anche ad attendere a lungo in piedi dinanzi alla porta di Giammanco prima di essere ricevuto (circostanza pregna di significati in una città, come Palermo, attentissima ai segnali di prestigio e in un Palazzo, come quello di Giustizia, occhiutissimo nello scorgere le mosse che legittimano e quelle che delegittimano) alla controversia che Falcone ingaggiò con Giammanco dopo che il nucleo speciale dei carabinieri consegnò in Procura il rapporto sulla mafia degli appalti, un lavoro certosino durato anni che raccontava come tutti gli appalti di Palermo passano attraverso la mediazione di Angelo Siino, titolare di una concessionaria d’ auto, uomo fidato dei Corleonesi. Falcone valutò il rapporto con grande attenzione. Giammanco e i suoi sostituti più fidati con scetticismo. Anzi, con scherno. “Tanta carta per nulla, in questo rapporto non c’ è scritto niente che merita di diventare inchiesta giudiziaria”, disse uno dei fedelissimi di Giammanco. Quel fedelissimo, secondo alcune indiscrezioni, oggi è a capo di un importante procura.
E ancora: perché un’ indagine delicatissima come la riapertura dell’ inchiesta sull’ omicidio del colonello Russo fu affidata alla giovanissima Vincenza Sabatino? E perché Giammanco ordinò che Falcone non si recasse solo negli archivi del Sismi, dopo lo scoppio del “caso Gladio?”
La memoria di Giovanni Falcone si conclude con una data: 12 marzo 1992. Quel giorno, nello studio di Giammanco, si tiene una riunione tesa, nervosa. “Estremamente nervosa”.
A scendere in campo al fianco di Giammanco , ad esempio, fu Cossiga, “padrino” di Marco Minniti , il quale, intervistato dal Gr1, ricordò che Falcone non volle candidarsi a procuratore capo di Palermo perchè “non avrebbe mai voluto scavalcare un magistrato molto valoroso come Giammanco, che gli aveva sempre dimostrato grande lealtà e solidarietà”.