Agosto 1991, assassinio del giudice Scopelliti. Un delitto senza giustizia
Il giudice è quindi solo, solo con le menzogne cui ha creduto, le verità che gli sono sfuggite, solo con la fede cui si è spesso aggrappato come naufrago, solo con il pianto di un innocente e con la perfidia e la protervia dei malvagi. Ma il buon giudice, nella sua solitudine, deve essere libero, onesto e coraggioso. » |
(Antonino Scopelliti) |
A rappresentato, la pubblica accusa nel caso Moro, durante il primo processo, al sequestro dell’Achille Lauro, alla Strage di Piazza Fontana ed alla Strage del Rapido 904. Per quest’ultimo processo, che si concluse in Cassazione nel marzo del 1991, il procuratore Scopelliti aveva chiesto la conferma degli ergastoli inferti al boss della mafia Pippo Calò e a Guido Cercola, nonché l’annullamento delle assoluzioni di secondo grado per altri mafiosi. Il collegio giudicante della Prima sezione penale della Cassazione, presieduto da Corrado Carnevale, rigettò la richiesta della pubblica accusa, assolvendo Calò e rinviando tutto a nuovo giudizio.[1]
Il magistrato fu ucciso il 9 agosto 1991, mentre era in vacanza in Calabria, sua terra d’origine, in località Piale (frazione di Villa San Giovanni, sulla strada provinciale tra Villa San Giovanni e Campo Calabro).
Una vicenda poco valorizzata dai fanfaroni dell’antimafia di mestiere
Il 9 agosto 1991, ventisette anni fa, Antonino Scopelliti, Sostituto procuratore generale presso la Corte di Cassazione, mentre a bordo della propria Bmw, senza alcuna scorta, si accingeva a rientrare a Campo Calabro, dove si era recato per le vacanze, veniva affiancato da due killer in moto che esplodevano al suo indirizzo alcuni colpi di fucile calibro 12 uccidendolo. Durante la sua permanenza in Calabria, Scopelliti aveva manifestato a congiunti e conoscenti i suoi timori per i rischi che comportava la trattazione del maxiprocesso di Palermo nel quale avrebbe dovuto sostenere l’accusa in Cassazione.
In proposito osservavano i giudici della Corte di Assise di primo grado che se poteva apparire comprensibile, da parte del magistrato, tentare di tenere nascosti i particolari più inquietanti e la preoccupazione che lo attanagliava, ciò però non serviva a spiegare la sua mancata richiesta di aiuto alle varie istituzioni che pure avrebbero potuto proteggerlo. Ancora oggi non sono stati individuati gli autori dell’omicidio e numerosi punti oscuri rimangono su questo grave fatto di sangue anche se uno spiraglio di luce sembra essersi aperto con il rinvenimento del fucile che sarebbe stato usato per l’esecuzione dell’omicidio.
Nel corso della sua carriera Scopelliti si era occupato come pubblico ministero di importanti indagini rappresentando l’accusa al primo processo per il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro e si era occupato anche delle indagini sulla strage di Piazza Fontana e sulla strage del rapido 904. Al momento dell’uccisione, avrebbe dovuto rappresentare,come si è detto, in Cassazione, l’accusa nel maxiprocesso di Palermo.
Dell’omicidio Scopelliti hanno parlato numerosi pentiti sostenendo che tale omicidio era stato un favore che la n’drangheta aveva fatto a Cosa Nostra e in particolare a Totò Riina. Nessuno dei collaboratori tuttavia è stato in grado di indicare gli autori materiali.
I vertici di Cosa Nostra, in vista della trattazione in Cassazione del maxiprocesso, si rivolsero a politici romani per chiedere un loro intervento finalizzato ad “aggiustare il maxiprocesso” ponendo anche in essere, a tale scopo, tentativi di corruzione di alcuni settori delle istituzioni. Filippo Barreca, pentito della N’drangheta, dichiarò che prima della uccisione si tentò di raggiungere il magistrato attraverso l’avvocato Giorgio De Stefano cugino dei noti fratelli De Stefano, boss incontrastati del rione Archi. Altro collaboratore, Giacomo Lauro,affermò di avere saputo che i siciliani avevano chiesto di avvicinare ed uccidere, in caso di rifiuto, lo Scopelliti ai fini di un esito positivo del maxiprocesso.
Ed ancora, Mariano Pulito, anche egli collaboratore di giustizia, dichiarò di avere saputo da Nino Mammoliti, boss di Castellace di Oppido Mamertina, che si era tentato di raggiungere il giudice per ammorbidirlo sia promettendogli denaro che minacciandolo. Riusciti vani tali tentativi si decise di assassinare Antonio Scopelliti che, come si è detto, in qualità di Sostituto Procuratore Generale in Cassazione, avrebbe dovuto sostenere l’accusa, magistrato Scopelliti di cui erano note la professionalità, la determinazione e l’ incorruttibilità. Scopelliti venne ucciso quindi perchè non si piegò alle pressione della mafia. Osservano peraltro in sentenza i giudici della Corte di Assise di Reggio Calabria, che questa situazione pericolo da lui avvertita, Scopelliti avrebbe dovuto rappresentare alle forze dell’ordine o all’autorità giudiziaria per avere soccorso. Ed ipotizzano che ciò non sia avvenuto potendosi ritenere che egli pensasse di potere tenere a bada, contando esclusivamente sulle proprie forze, personaggi di tale risma.
Occorre tuttavia comprendere, alla luce di quanto si legge nella ordinanza del giudice dell’udienza preliminare Alberto Cisterna, con cui vennero rinviati a giudizio per l’omicidio, Totò Riina e altri tredici imputati, i rapporti del magistrato ucciso con determinati ambienti. Scrive infatti il magistrato : “ Il dibattimento dovrà verificare un coacervo indiziario equivoco perchè bisognerà chiarire le conoscenze del magistrato ucciso e i suoi rapporti con presunti ambienti massonici e con settori politici vicini alla corrente di Andreotti. Il magistrato,si sostiene nell’ordinanza citata, aveva confidato i suoi legami con ambienti massonici e con esponenti andreottiani, ad Antonietta Scopelliti,una sua carissima amica e non parente. A questa aveva riferito della sua conoscenza dell’ex ministro degli esteri Claudio Vitalone, suo compagno di liceo e del deputato Ombretta Fumagalli Carulli, tutti personaggi notoriamente gravitanti nell’area andreottiana. Lo stesso giudice Cisterna, poi, nella propria ordinanza, avanzava dei dubbi sulla causale dell’omicidio affermando che “le indagini non hanno fatto una convincente ricostruzione della causale del delitto”.
Come si è detto la mafia aveva posto in essere anche dei tentativi di corruzione nei confronti di Scopelliti che aveva scelto lui stesso di rappresentare l’accusa nel maxiprocesso. Il boss pentito Mariano Pulito riferì infatti che emissari della n’drangheta gli avevano offerto anche 5 miliardi. Né erano mancate minacce per indurlo a mutare il suo atteggiamento intransigente.
Fonte: Sicilia Informazioni
Alberto Di Pisa
Il Circolaccio