Sempre più, nelle carte storiche ,viene dimostrato un forte collegamento tra la mafia , la massoneria d’alto borgo di Palermo e Castelvetrano.
Altra singolare vicenda da evidenziare, rimane quella del Notaio di Castelvetrano, Pietro Ferraro vissuto per molti anni a Palermo.
Del Notaio Ferraro parla anche Rosy Bindi in Commissione Antimafia
Ferraro, amava frequentare i salotti buoni di Castelvetrano. Incontrava, spesso , anche al Circolo della Gioventù , amici politici e anche uomini d’affari . Politicamente era vicino a Calogero Mannino , fino a quando nel 1993 finisce sotto inchiesta.
A Castelvetrano sosteneva la corrente manniana della DC, allora molto potente
Tra la fine degli anni 80 e i primi anni 90 ,alcuni esponenti di spicco della politica locale, amici del Notaio e di Mannino ,ebbero brillanti carriere politiche , occupando posizioni di rilievo. Uno di loro fu pure sindaco. Alcuni testimoni dell’epoca ricordano che, il Notaio Ferraro riusciva ad influenzare la politica castelvetranese. Addirittura a determinare il sindaco della città con i suoi “pareri”.
Ferraro non era uno qualunque. Si vantava di poter avere una forte amicizia con Totò Riina allora capo indiscusso della mafia siciliana
“Io mi sono abbuttato di fare cortesie. Non ne faccio più. Mi muovo soltanto per Totò Riina. Solo a lui li posso fare certi favori, perché lo voglio bene come se fosse mio padre“.
Tranquillo, seduto sulla poltrona del suo elegante studio di viale della Libertà a Palermo, sopra il “Café Nobel”, il notaio Pietro Ferraro, massone, si incontrava con “fratelli” e “amici degli amici”, e parlava, parlava… Parlava dei suoi rapporti con il capo dei capi di Cosa nostra, dei “favori” che gli aveva fatto. Ma ad ascoltarlo non c’ erano soltanto “fratelli” ed “amici”. Il suo studio era infestato di “cimici”, di microspie piazzate dagli uomini della Criminalpol e della Squadra mobile di Trapani che registravano tutto. E da queste intercettazioni i magistrati hanno potuto delineare lo “spessore” del notaio, al quale hanno dedicato oltre dieci delle 52 pagine dell’ ordinanza di custodia cautelare dell’ operazione “Ghibli”. Fino a qualche tempo fa professionista “al di sopra di ogni sospetto”, il notaio Ferraro era stato gran “consigliere” politico dell’ ex ministro democristiano Calogero Mannino. E per suo conto, almeno così diceva, il notaio avrebbe “avvicinato” qualche giudice per “aggiustare” processi in cui erano imputati boss e picciotti di Cosa nostra. E per i magistrati che hanno condotto l’ operazione “Ghibli”, il notaio è un personaggio di primo piano “al centro di numerosi contatti con esponenti della massoneria e con esponenti mafiosi”.
Insomma, il noto professionista era “il terminale palermitano” della cosca mafiosa del Belice. Ed il primo a scoprire il “ruolo” del notaio Ferraro era stato il dirigente del commissariato di Mazara del Vallo, Ninni Germanà, che segnalò la sua “pericolosità”. Germanà aveva definito il notaio Ferraro come “personaggio influente in grado di aggiustare processi” o comunque convincere altri a farlo. E a Germanà spararono, per fortuna senza ucciderlo, nel settembre del ‘ 92: nel commissariato, i due poliziotti arrestati informavano le cosche sulle inchieste del loro dirigente.
Condannato a cinque anni per mafia
Si presentò a casa del presidente della Corte d’ assise d’ appello due giorni prima della sentenza per l’ omicidio del capitano Emanuele Basile. Si complimentò con il magistrato per la bella carriera, poi disse: «Vengo per conto di un politico dell’ area manniniana trombato». Spiegò che voleva solo assicurarsi che fosse persona «serena e tranquilla» e non il più «cattivo» della corte, «come si dice in giro». Il notaio Pietro Ferraro, ritenuto massone, stava tentando di «aggiustare» il processo. Ma il giudice, il presidente Salvatore Scaduti, non si fece intimidire. Per quell’ episodio Ferraro è stato condannato ieri a Caltanissetta a cinque anni di carcere, con l’ accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. A emettere il verdetto è stata la seconda sezione del Tribunale, presieduto da Patrizia Spina. Il tentativo di «aggiustamento» del processo Basile risale al febbraio del ‘ 92. Fra gli imputati di quel dibattimento c’ erano Totò Riina e Francesco Madonia. L’ inchiesta della Procura di Palermo, fondata sulle dichiarazioni di alcuni pentiti, portò all’ arresto del notaio a fine ‘ 93, nell’ ambito dell’ operazione denominata “Ghibli” su mafia e massoneria. Il professionista rimase in carcere per due anni. Durante quel periodo sua moglie scrisse una lettera aperta alle più alte cariche dello Stato per protestare contro il protrarsi della carcerazione preventiva. Il processo, iniziato nel ‘ 95 a Palermo, ha avuto un iter travagliato. Nel ‘ 97, tutti gli atti del dibattimento vennero annullati: i giudici accolsero l’ istanza dei legali di Ferraro che denunciavano la violazione del diritto al «giudice naturale» previsto dalla Costituzione. Ecco perché il trasferimento a Caltanissetta. Parallelamente al processo penale, Pietro Ferraro ha condotto un’ altra battaglia legale per essere riammesso nelle funzioni di notaio dopo la sospensione scattata con l’ arresto. Il caso è arrivato anche alla Corte costituzionale, interpellata dai difensori del professionista sulla norma che non fissa termini massimi per la sospensione dalle professioni. La Consulta ha rigettato però l’ istanza. Poi, nel 2001, Pietro Ferraro è stato riammesso con un provvedimento del Tribunale civile di Palermo. Resta il giallo sul «politico di area manniniana» cui faceva riferimento il notaio nel suo tentativo di «aggiustamento» del processo.
Secondo gli inquirenti, fu sempre il notaio Ferraro a far da intermediario coi giudici in odore di massoneria. Ma spesso anche alcuni 007. Intercettazione ambientale registrata a Mazara del Vallo qualche giorno dopo l’ arresto del funzionario del Sisde Bruno Contrada. Due mafiosi parlano di un processo da aggiustare. “In questo momento c’ è un poco di casino, ma fino a poco tempo fa i servizi segreti con questi erano ‘ attaccati’ ….”. Scrivono ancora i giudici nella loro ordinanza: “Inquietante è il riferimento ai servizi segreti e in particolare ai legami sussistenti tra questi ultimi, gli ambienti massonici e quelli giudiziari…”. Certi contatti li tenevano o li cercavano pure amici degli amici come l’ ex sindaco dc di Mazara Gaspare Bocina, anche lui massone. O come Giovanbattista Agate, fratello di Mariano e “fratello” di loggia pure lui. Anche loro sono entrati nell’ operazione “Ghibli”.
Fonte: la Repubblica
Il Circolaccio
Salvo Serra