Riceviamo questa lettera che pubblichiamo ritenendo validi i motivi argomentati
Lo sport, spesso, rappresenta il momento che una società vive
Seguire un sabato sera su uno dei tanti canali di Youtube una partita di pallavolo femminile del campionato di B2 dei gironi meridionali e vedere atlete ultra trentenni e in qualche caso anche prossime ai quaranta, arrancare penosamente negli 81 mq del parqueet, con in carnet la miseria di quiei pochi punti, frutto delle “pallette” messe giù più per l’esperienza maturata nei lunghi anni di attività, che non per la reale prestanza atletica, ormai un lontano ricordo, è stato molto triste. Soprattutto se a fare da cornice c’erano in panchina ragazze nello splendore della propria età (vent’anni), a scalpitare speranzose di potere concedere al poco pubblico che ancora frequenta i palazzetti, lo spettacolo di un attacco fendente in diagonale stretta, di un murone a piene mani, di una difesa esaltante. Legittima prospettiva di lunghe e dure ore di allenamento in palestra, durante la settimana che le prepara alla partita. E invece no, l’allenatore (intoccabile deus-ex-machina del team) quasi se ne dimentica. Tanto è preso dall’unico pensiero che ronzola nella sua mente come le “pallette”: vincere comunque la partita, prendere quei punti e smuovere la classifica. Manco fossero dei tristi ragionieri, indaffarati con i conti dell’azienda. Dimenticando invece che lui, la società che lo ha ingaggiato, le anziane che si porta dietro come effimere vestali di un tempio dimenticato e a cui si affida con tutto il parentame, hanno già perso. Ha perso l’intero movimento sportivo (quale che sia: dal calcio a seguire). Hanno perso gli sponsor che, evidentemente non hanno un buon ritorno d’immagine da un triste spettacolo offerto dalle cosiddette “vecchie glorie”. Hanno perso gli appassionati ormai ridotti a poche decine di frequentatori del sabato pomeriggio. Hanno perso le “giovani speranze” che tali sono rimaste private di una reale prospettiva, dato che a loro hanno creduto le società nel solo mese di agosto quando dovevano costruire gli roster, riempendo i loro roboanti comunicati con: “Noi quest’anno abbiamo deciso di seguire la linea giovane…”; “Crediamo nei giovani che sono il nostro futuro….”; “Abbiamo scelto un allenatore che lavora solo con i giovani…”; “bla, bla, bla…”. Per negare poi ad un atleta quello per cui si sacrifica: la partita. Unica vera palestra per la crescita tecnica e sportiva. Direttori sportivi cui va il delicato compito di seguire e tenere unita la squadra che invece e sempre più spesso, fanno finta di non accorgersi che nel proprio spogliatoio è in corso una feroce guerra di “bande”, senza esclusione di colpi: le vecchie glorie, che non ci stanno a essere estromesse dalla prestanza delle giovani promesse. Guerra che in alcuni casi si spinge fino alla derisione personale o alla umiliazione di fronte alle compagne. Loro che invece dovrebbero essere li per puro spirito di sacrificio, di saggezza e a disposizione del gruppo. Finisce così di essere un gioco di squadra per diventare una esaltazione degli individualismi, dove invece di soccorrere una compagna in difficoltà presa di mira dell’avversario, la si lascia soccombere in campo, celando malamente una sadica smorfia di personale soddisfazione.
La realtà purtroppo molto spesso è questa. In Sicilia la Federazione Italiana Palla a Volo, quest’anno, dopo due mesi dall’elezione del suo governo è stata commissariata: il neo presidente eletto Antonio Lotronto, che rappresentava una speranza e una novità per l’intero movimento pallavolistico siciliano ha gettato la spugna in favore della restaurazione. Negli ultimi 5 anni l’intera federazione ha dimezzato il numero delle società (poco più che un centinaio quelle ancora in attività) e, ancora più drammatico, il numero dei praticanti è sceso al minimo storico. Nei soli campionati di B1 e B2 femminile, quest’anno sono iscritte in Sicilia 10 squadre con un fabbisogno di almeno 120 atlete. Bene, molte di queste società per allestire un roster minimo per affrontare decentemente un campionato con almeno 8/9 giocatrici, hanno dovuto ricorrere o ad atlete a fine carriera, o a riportare in campo addirittura qualcuno che aveva già deciso di fermarsi da tempo. Non ci sono più ragazze in giro, si sente più spesso dire nei corridoi delle Società. Non ci sono per svariati motivi. In pochi sono rimasti disposti a lavorare con serietà nelle scuole di pallavolo e soprattutto, questo mondo decadente attira sempre meno le ragazze.
Solo poche società hanno avuto il coraggio di guardare realmente al mondo giovane: la Pallavolo Sicilia di Catania è una di queste, che oltretutto per questo progetto ha scelto di affidarsi anche a un giovane tecnico, anche lui alla sua prima esperienza nella quarta serie nazionale: Gaspare Viselli.
Tutti gli altri? Preoccupati di conservare il blasone (Tecnici e Società) hanno preferito affidarsi al rito sicuro del “resume”, con buona pace dei tanti progetti “Giovani” sbandierati più per attrarre attenzione, che per un reale credo. Un po’ come ai tempi dei fenomeni da baraccone. Si perchè tale sta diventando la pallavolo in Sicilia se non si ha il coraggio di un radicale cambiamento.
Lettera firmata