L’efebo il “pezzo ” pregiato più conosciuto nel mirino della mafia. Quanti altri reperti sono stati sottratti al territorio e venduti all’estero?
La storia dell’Efebo di Selinunte passa per il centro del mondo. La preziosa statuetta di bronzo, rinvenuta a Ponte Galera nel 1882, ha percorso chilometri ed è passata di mano in mano prima di ritornare nel museo civico di Castelvetrano, dove la riporta negli anni 90 l’ex sindaco Beppe Bongiorno
E proprio a Foligno venne recuperata il 13 marzo del 1968 grazie ad una brillante operazione di polizia. Dietro all’Efebo, pregevole esempio della scuola plastica selinuntina, si intrecciano vicende e nomi come quello di Francesco Messina Denaro, Ugo Macera, Rodolfo Siviero, Giuseppe Fongoli e Nazzareno Brodoloni tutti protagonisti a vario titolo nella storia moderna dell’Efebo. Andiamo con ordine e partiamo dal primo nome: quello di Francesco Messina Denaro, capomafia della provincia di Trapani e padre di Matteo, l’inafferrabile boss di Cosa Nostra. Fu proprio lui nel 1962 a rubare l’Efebo. Francesco Messina Denaro era l’unico a conoscere il valore della statuetta, ribattezzata “u pupu” che si trovava nell’anticamera dell’ufficio del sindaco e veniva usata per appoggiare il cappello.
Dopo il furto, sono iniziate le peregrinazioni dell’Efebo. Prima negli Stati Uniti dove pare che la statuetta venne offerta addirittura a Jean Paul Getty, il miliardario americano, noto collezionista di opere d’arte che oggi si possono ammirare nel museo di Los Angeles che porta il suo nome. Getty rifiutò capendo che si trattava di un pezzo molto importante, ma anche pericoloso. L’Efebo allora fu riportata in Europa, in Svizzera, prima di far ritorno in Sicilia dove venne nascosto in una casa di Gibellina. Scampata poi al terremoto del 1968, la statuetta venne recuperata il 13 marzo dello stesso anno a Foligno. Ed ecco che entrano in gioco gli altri protagonisti. Il ministro plenipotenziario, Rodolfo Siviero, agente segreto e storico dell’arte, famoso per la sua importante attività di recupero delle opere d’arte trafugate in Italia nel periodo della seconda guerra mondiale. Proprio lui, con l’aiuto dell’amico Ugo Macera, il questore di Agrigento che ha legato il suo nome ai casi più clamorosi della cronaca degli anni Cinquanta come l’omicidio di Maria Martirano, riuscì a recuperare a Foligno “u pupu” con una brillante operazione di intelligence. Le cronache raccontano che Ugo Macera era riuscito a stabilire un contatto tra Attilio Sciabica, uno dei ricettatori, ed il ministro Siviero che si era spacciato per un antiquario interessato all’acquisto.
Dopo giorni di trattative, Siviero conclude offrendo 30 milioni e fissa anche il luogo dello scambio: Foligno. La tranquilla città umbra viene scelta per la sua centralità, ma soprattutto perché è di Foligno Giuseppe Fongoli, amico di Siviero, è uno degli antiquari più famosi d’Italia. Siviero, a questo punto, tende la trappola. Una volta a Foligno, affitta una casa in via Feliciano Scarpellini e utilizza proprio il laboratorio di Fongoli. Ugo Macera alloggia invece all’Hotel Umbria, pronto ad avvisare telefonicamente il ministro dell’arrivo dei ricettatori. Macera è insieme al vice questore di Palermo, Aldo Arcuri, al commissario Giovanni Console ed ai brigadieri Salvatore Urso e Calogero Salamone. I poliziotti si nascondono in una stanza attigua al laboratorio. Restano lì per un giorno intero perché i ricettatori arrivano in ritardo. Sono in cinque: Attilio Sciabica, che ha condotto la trattativa, Vincenzo Ragona, Salvatore Nuccio, Leonardo Bonafede e Gregorio Gullo. Alle 17 Sciabica arriva al laboratorio e controlla i 30 milioni e, come racconta Francesco Saverio Calcara nel suo “L’Efebo di Selinunte. Una storia a lieto fine”, morde le mazzette per riconoscerle al momento dello scambio. Poi ritorna con gli altri.
A questo punto entra in gioco Nazzareno Brodoloni. Sciabica e gli altri entrano nella famosa pasticceria e american bar di via XX Settembre di Bruno Brodoloni, detto “Sparafucile” e ordinano un aperitivo. Appena entrati, Bruno bisbiglia qualcosa all’orecchio di Nazzareno, quasi prevedendo quanto sarebbe accaduto da lì a poco: “Questi so mafiosi, io li conosco ho fatto il militare a Palermo”. Nazza prepara gli aperitivi e li serve. I cinque hanno una borsa che sistemano sotto al tavolo. Dopo l’aperitivo, pagano ed escono dirigendosi verso via Scarpellini. Dimenticano però la borsa e Nazzareno si affretta a riconsegnarla. I 5 malviventi poi arrivano al laboratorio e Siviero, infastidito, riesce abilmente a farne allontanare tre e fa entrare solo Sciabica e un altro nel laboratorio. Apre la valigia, rovista tra la biancheria e prende la statuetta. La osserva, ne accerta l’autenticità, consegna il denaro e si toglie il cappello. Questo è il segnale. I poliziotti nascosti fanno irruzione e immobilizzano i due. Intanto anche un terzo ricettatore viene immobilizzato mentre gli altri due complici aprono allora il fuoco terrorizzando i passanti che affollano via XX Settembre, ma la reazione immediata dei poliziotti li mette in fuga. Nella sparatoria rimangono lievemente feriti Arcuri e Urso e a farne le spese è anche la Mini Morris del professor Mario Giampaoli, parcheggiata lì vicino. L’Efebo è finalmente recuperato e nei giorni seguenti Foligno viene invasa dalle troupe televisive e da tanti giornalisti in cerca di testimoni e particolari della sparatoria. Nazzareno, ribattezzato l’uomo con il farfallino, viene intervistato così come suo fratello Duilio che, nonostante quel giorno fosse stato a Roma, mostra comunque i segni delle pallottole sul muro.Dopo essere stato sottoposto a un secondo restauro a Roma, l’Efebo fu esposto per anni al museo Salinas di Palermo, per essere finalmente restituito a Castelvetrano, dove fece ritorno il 20 marzo 1997, ospitato nel nuovo museo selinuntino di Palazzo Maio.
Fonte : Corriere Umbria
Il Circolaccio