La confraternita dell’antimafia ,le tante falsità sulle stragi e la gogna mediatica inutile
Fiammetta Borsellino e lo scandalo Contrada
Due batoste all’antimafia forcaiola
Comincia a scricchiolare quella trave su cui molti hanno costruito carriere e opportunità, sciacquandosi la bocca con l’antimafia e facendo solo, alla fine, gli interessi di chi deve fare carriera e sostenendo le segreterie di certa politica. Di lotta alla mafia molto poca e di gogna mediatica e visibilità molta
C’è un vento nuovo che soffia nel campo dell’antimafia, ribaltando i luoghi comuni di un’epoca ormai cristallizzata. Gli esempi e le scosse sono immediatamente percettibili.
Primo esempio: Fiammetta Borsellino, in occasione del venticinquesimo anniversario della strage di via D’Amelio, ha pronunciato parole talmente inaudite da lasciare il segno al cospetto dell’antimafia dei miti: “Questo abbiamo avuto, un balordo della Guadagna come pentito fasullo e una Procura massonica guidata all’epoca da Gianni Tinebra che è morto, ma dove c’erano Annamaria Palma, Carmelo Petralia, Nino Di Matteo, altri…”. Dov’è la novità? Nel chiedere che sia fatta luce, la figlia di Paolo Borsellino non ha lesinato critiche, scansando le consuete prudenze. Anzi, ha citato, nel suo giudizio fermo, un nome – quello di Nino Di Matteo – fino a quel momento non detto e indicibile.
A torto o a ragione? Il punto è un altro e riguarda proprio la mitologia dell’antimafia. Nessuno può essere immune da rilievi, anche se si tratta di un pm che gode di indubbia stima, di consenso e di ammirazione. Discutere di tutto e di tutti è necessario, con la massima disponibilità al confronto, senza che questo significhi togliere ossigeno a chi in buonafede – come il dottore Di Matteo e tanti altri – si adopera nella sua missione di ricerca. Ecco la lezione del 19 luglio scorso.
Ma Fiammetta ha fatto perfino di più, abbattendo il piedistallo dell’antimafia dei parenti a senso unico, considerati infallibili solo se in cammino sul sentiero di affermazioni complottistiche senza una traccia di riscontro. La figlia di Paolo ha chiesto conto di circostanze e passaggi già consumati, di cose verificabili, non di labili suggestioni. Un’eresia che solo un cognome venerato ha protetto dal mascariamento di rito, riservato ad altri in casi analoghi. Del resto, non c’era chi avrebbe potuto demolire la voce limpida e familiare di Fiammetta Borsellino. Allora ci si è accontentati di dissimulare, di sopire, di troncare, con pelosissimi comunicati di solidarietà.
Secondo esempio. Ieri – sempre sul ‘Corriere’ – Pierluigi Battista, da noi ripreso, scrivendo sul caso Contrada e sull’ultima perquisizione, ha demolito l”antimafia dei fatti’, secondo cui i tribunali e i giudici non servirebbero ad accertare eventuali responsabilità penali, ma sarebbero, piuttosto, sentinelle di una ‘verità’ che guarda oltre la noia dei codici e dei commi. Per i corifei di un simile teorema, non è il reato a rendere colpevoli, ma, appunto, quella stessa verità dal retrogusto mistico.
Ha scritto, Battista: “Sembra che per Contrada lo Stato italiano abbia decretato un suo crudele, persecutorio, feroce, umiliante trattamento da infliggere all’infinito. Dopo essere stato scagionato dalla Cassazione, Contrada, malato, 86 anni di cui 10 passati in un carcere in cui non doveva nemmeno entrare, ha subito l’irruzione in casa delle forze dell’ordine per una vicenda oramai lontana di anni e anni. Alle quattro di notte, come esige la sceneggiatura del terrore messa a punto dagli scherani della polizia segreta al tempo delle purghe staliniane e oggi replicata in forme farsesche. Come se lo Stato sentisse un bisogno vendicativo, la voglia di rivalersi su una sentenza che ha stabilito l’innocenza di Contrada, reduce da anni di carcere senza aver commesso un reato”.
Solo una lievissima sottolineatura, un tratto di matita a margine davanti a un editoriale che rappresenta – anch’esso – un cambio di paradigma. Non è lo Stato, casomai, a coltivare un sentimento di rivalsa nei confronti del dottore Contrada.
Qui entra in gioco una minoranza che è diventata gruppo di pressione, con i suoi media, con i suoi convegni e con i suoi rituali. Qui risalta una lettura della storia recente che vede, appunto, nello Stato il nido di ogni mafia. Lo Stato-mafia col trattino piccolo piccolo.
Un’altra affermazione apodittica che non cerca riscontri, che non distingue avvenimenti e fattispecie, né coltiva dubbi. Una corrente di pensiero che unisce magistrati, giornalisti, protagonisti e comparse, riuniti in perenne assise, tra Palermo e Reggio Calabria. Così il nostro Riccardo Lo Verso l’ha definita: “Il sodalizio che gira in lungo e in largo l’Italia, sostenendo di avere le prove dell’esistenza della trattativa Stato-mafia. E le porta nei processi dove finora le teorizzazioni si sono scontrate con la realtà, ben diversa, delle assoluzioni. Non importa, il sodalizio va avanti contro tutto e tutti. Soprattutto contro gli eretici che criticano, ma sono nemici della verità e per loro non c’è posto nella Confraternita della Trattativa”.
E chissà se, accanto alle ragioni che si danno per scontate e opportune in ogni indagine, non ci sia – nella vicenda di Contrada, come altrove – un riverbero della suddetta Confraternita. Un riflesso della parola d’ordine indimostrata e indimostrabile: lo Stato è il nido di ogni mafia. E poiché Contrada ha rappresentato quello Stato va sempre e comunque punito, al di là dei codici e delle sentenze. Fine gogna mai.
Fonte :Live Sicilia