Singolare vicenda di un’azienda che chiude per la confusione che spesso regna nelle prefetture e spesso nelle informative non sempre fatte con attenzione
Il danno che si arreca alle persone e alle aziende è enorme.Non si può “sparare nel mucchio” e nessuno paga
– L’azienda è stata “marchiata”, cancellata dalla Camera di Commercio, depennata dall’albo degli operatori del suo settore, esclusa dalla “white list” delle società “pulite”. E ha quindi perso la possibilità di accedere ad appalti per servizi che aveva già svolto in passato. Tutto a causa di una “interdittiva antimafia” della Prefettura di Palermo che il Tar ha definito, sostanzialmente, infondata. Annullando quell’atto, insieme a tutti gli altri: “Non c’è pericolo di condizionamento della mafia”.
Un incubo, quello vissuto dalla No.ve.ma. Società difesa dagli avvocati Girolamo Rubino e Calogero Marino che ha presentato un ricorso al Tar, accolto dai giudici amministrativi, dal quale emerge una storia dai tratti persino paradossali.
L’inizio dell’incubo
Le disavventure dell’azienda iniziano il 18 luglio del 2016, quando la società è oggetto di una “interdittiva antimafia” della Prefettura di Palermo. Da lì, una serie di provvedimenti “a cascata”: la Novema viene esclusa dalla “white list” dei “fornitori prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa”; il Comune di Campofiorito revoca alla società l’affidamento del servizio di raccolta differenziata, trasporto e conferimento dei rifiuti; l’albo nazionale dei gestori ambientali cancella la società dall’albo; la Camera di commercio dispone di fatto la decadenza della società dal diritto a svolgere la propria attività.
L’avvocato Calogero Marino
“Il soggetto raggiunto da un informativa illegittimamente adottata dalla Prefettura – spiega l’avvocato Calogero Marino – non solo non può operare per conto della pubblica amministrazione ma addirittura non può più esercitare attività di impresa neanche nei confronti di privati, con la inevitabile conseguenza della cessazione della propria attività imprenditoriale”.
Un disastro. Che alla fine, secondo il Tar, sarà provocato da elementi non sufficientemente fondati. Quali? L’interdittiva si fondava intanto sui rapporti di parentela del socio unico e amministratore della società: Giuseppe Spinella, figlio di Ciro (che è anche dipendente della società dal 2014) il quale “ha piccoli precedenti per abusi edilizi” ed è stato “controllato il 9 settembre 2013″ con un soggetto che avrebbe avuto “legami di parentela con mafiosi ed è stato coinvolto in un’operazione di polizia insieme a molti soggetti controindicati che si è, però, conclusa con l’archiviazione”.
Le ombre sulla società
Secondo la Prefettura, poi, la Novema “avrebbe rapporti qualificati” con una società il cui amministratore era stato “considerato un soggetto controindicato”. Da cosa discenderebbero questi “rapporti qualificati”? Dal fatto che Giuseppe Spinella ha ricoperto la carica di consigliere di quella società “sino al 20 febbraio 2012” e che il padre ne è stato un dipendente fino a quell’anno. Inoltre, a gettare ombre sulla società il fatto di avere “svolto dal 2014 al 2016, con carattere di esclusività, il servizio di gestione dei rifiuti” per conto del Comune di Corleone, “sciolto per infiltrazioni mafiose”. Infine, registra la Prefettura, le due società avrebbero “lo stesso indirizzo”.
Il Tar: “Motivi non sufficienti”
Tutti motivi “smontati” dalla sentenza del Tar. A cominciare dai precedenti e dalle presunte frequentazioni del padre dell’amministratore unico della società: “I piccoli precedenti per reati edilizi e l’unico incontro – scrive il Tar – con un soggetto controindicato del padre convivente del socio e amministratore unico della società ricorrente debbono ritenersi irrilevanti per due considerazioni: in primo luogo, sono risalenti nel tempo; in secondo luogo, non appaiono significativi di una ‘vicinanza’ qualificata con organizzazioni criminali”.
I rapporti con l’altra società
Restano poi le contestazioni relative ai rapporti con l’altra società e col Comune di Corleone. Ma anche in questo caso, spiegano i giudici amministrativi, mancano i presupposti per un provvedimento così duro. A proposito dei rapporti con l’altra azienda, il Tar scrive: “La circostanza che il socio/amministratore unico della società ricorrente sia stato in precedenza componente del Consiglio di amministrazione di per sé non è conducente. Va rilevato – aggiunge – che l’interruzione dei rapporti con la società si è avuta già nel 2012, quando è stata costituita la NO.VE.MA di Spinella Giuseppe, alla quale è subentrata la NO.VE.MA. s.r.l. nel 2013. Tale circostanza non sembra essere stata adeguatamente considerata. Sotto questo profilo, non appare determinante – aggiunge il Tar – la vicinanza delle sedi le quali (come rappresentato dalla ricorrente) solo apparentemente hanno il medesimo indirizzo, in quanto sono ubicate ai due lati della trafficatissima strada statale di collegamento tra Agrigento e Palermo”.
Gli affidamenti diretti del Comune di Corleone
Infine, come detto, i rapporti di lavoro con un Comune come Corleone, sciolto per mafia. Rapporti frutto di “affidamenti diretti”. Che non vanno visti necessariamente, spiega il Tar, come un chiaro segno della volontà di favorire Cosa nostra, visto che si tratta, scrive nella sentenza, “di una femomenologia patologica riscontrabile, come rilevato dalla ricorrente, anche in altri Comuni siciliani di cui alcuni limitrofi a quello di Corleone (Cerda, Campofiorito, Roccapalumba, Lascari, San Cipirello, Villabate, Altofonte, Belmonte Mezzagno, Santa Cristina Gela, Cefalà Diana, Contessa Entellina); fenomenologia che, di per sé considerata, non sembra possa costituire adeguato indice sintomatico della volontà dell’Amministrazione di avvantaggiare la consorteria mafiosa. Non può, peraltro, non rilevarsi – aggiunge il Tar – che: l’affidamento è avvenuto per un periodo limitato (febbraio 2015/luglio 2016) e, comunque, a seguito di richiesta informale di più preventivi; la ricorrente è risultata destinataria di analoghi provvedimenti adottati dai Sindaci di Menfi, Santa Margherita Belice, Montevago, Trapani e Cefalù; identiche ordinanze continuano a essere adottate anche dalla gestione commissariale successivamente allo scioglimento per mafia”.
La società aveva denunciato il racket
Ma il paradosso emerge nella parte finale della sentenza. Non solo quegli elementi non erano sufficienti, per il Tar, per giungere alla conclusione che la società era stata oggetto di infiltrazioni mafiose, ma addirittura la Novema era stata “vittima di minacce estorsive e ha collaborato attivamente con le forze dell’ordine. In seguito alla denuncia di vari soggetti (tra cui il signor Ciro Spinella) è stato, in particolare, avviato un procedimento penale a carico di soggetti sospettati di appartenenza ad associazione mafiosa e, in particolare, al mandamento di Bagheria”. Indagine alla quale ha collaborato in prima persona proprio Ciro Spinella, il padre del socio unico della Novema, attraverso diverse segnalazioni.
“Riassumendo, – conclude il Tar – i provvedimenti prefettizi impugnati, pur motivatamente articolati e basati su di un complesso quadro investigativo, finiscono per fondarsi, in concreto, su elementi che, contrariamente a quanto ritenuto dall’Amministrazione, non appaiono essere tali da indicare, sul piano induttivo, un pericolo di condizionamento da parte delle consortiere mafiose. Ne deriva che gli stessi sono illegittimi”. Intanto, però, quella società per un anno ha dovuto chiudere i battenti. E perfino vendere i mezzi. Senza quelle commesse, non ha potuto reggere i costi di gestione. Una tragica beffa.
Fonte Live Sicilia