Montante, il giallo delle talpe istituzionali. Ecco gli interrogatori dei poliziotti indagati
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Entrambi negano. Dice Cavacece: «Nel giugno 2016, in una circostanza del tutto casuale, il mio collega Blengini mi informò che aveva ricevuto dallo Sco della polizia una informazione che riguardava un’attenzione investigativa in territorio siciliano nei confronti del colonnello D’Agata (uno 007 molto amico di Montante, oggi anche lui ai domiciliari, ndr). Blengini mi disse che era stato il dottore Andrea Grassi a contattare un nostro dipendente dell’Aisi, a cui aveva appunto riferito che c’era un’attenzione investigativa su D’Agata, chiedendogli al contempo informazioni sullo stesso». Cavacece tiene a precisare: «Non ho mai parlato di Montante con D’Agata».
Pure Grassi si difende. Due anni fa era il direttore della prima divisione del Servizio centrale operativo, uno dei più brillanti investigatori della polizia, coordinava le attività delle squadre mobili sul territorio, dunque anche la squadra nissena che indagava su Montante, per questa ragione aveva saputo del fascicolo d’inchiesta. Grassi ammette di aver chiesto informazioni sull’ufficio dei servizi segreti in cui lavorava esattamente D’Agata.
«Domandai a un mio vecchio collaboratore dei tempi della Scientifica, passato all’Aisi», ma solo per «informare correttamente il direttore dello Sco e per il tramite di questi il capo della polizia Pansa sull’attività svolta, dall’altro per potere avere informazioni utili laddove ci fosse stato chiesto supporto dalla squadra mobile di Caltanissetta per la programmata attività di intercettazione».
Grassi precisa: «La persona a cui chiesi (fa il nome, ndr) mi disse che D’Agata era alle dipendenze di Cavacece. Ma non chiamai Cavacece, che poi mi avrebbe chiesto il motivo del mio interessamento». Tesi che però non ha convinto la procura. Il procuratore aggiunto Gabriele Paci, i sostituti Stefano Luciani e Maurizio Bonaccorso vogliono portare a giudizio sia Grassi che Cavacece, ritenendoli gli anelli iniziali della fuga di notizie. Poi, sono chiamati in causa l’ex capo del servizio segreto civile, il generale Arturo Esposito, che avrebbe passato la notizia dell’indagine all’ex presidente del Senato Renato Schifani. Da Schifani al professore universitario Angelo Cuva, quindi al colonnello D’Agata.