Inizia così il libro la cui lettura è piuttosto sconvolgente, perché documenta La lotta senza quartiere condotta nel secolo precedente dai servizi segreti inglesi (e da ambienti di governo) per
controllare, indirizzare, deviare il corso della politica e della storia italiana.
Secondo alcuni documenti storici, non fu Mussolini a ordinare l’omicidio di Giacomo Matteotti
La politica imperiale inglese e i suoi cascami, a partire dal secondo dopoguerra – ma anche da prima –
non potevano consentire che la posizione geostrategica italiana sfuggisse al controllo. Fosse stato
per i governanti inglesi avremmo ancora un re e, se possibile, un’Italia demidiata, con una Sicilia
indipendente e sotto l’influenza diretta della Gran Bretagna, parti del suo territorio assegnati ad altri
Paesi e un governo nel suo complesso sottomesso agli interessi britannici. Eppure, era stata proprio
la Gran Bretagna a aiutare nell’Ottocento, come si sa, l’unificazione italiana. Già, ma allora si stava
aprendo il Canale di Suez e per il controllo dei traffici serviva una stabilità statale unificata e meglio
controllabile di un territorio che si proiettava al centro del Mediterraneo. E ciò senza nulla togliere
alla generosità di un’opinione pubblica londinese del tempo, in gran parte schierata dalla parte di
Mazzini, di Garibaldi e dei tentativi risorgimentali.
Ma nei decenni successivi arrivò l’era del petrolio, mentre l’Italia cercava “di crescere e di
ritagliarsi un proprio spazio vitale”. Il controllo delle vie di accesso ai pozzi mediorientali e la
difesa di un ruolo egemone nell’area divenne vitale per la Gran Bretagna. Attivando tutti i mezzi e
le risorse necessarie (massoneria, politici e pubblicisti pagati, propaganda, interventi economici,
intrighi e strumentalizzazioni).
Si cominciò con il delitto Matteotti di cui non rimane comunque chiaro, nemmeno nel libro,
il collegamento con ambienti inglesi, se non il fatto che sia l’assassino, Dumini, sia il suo capo
diretto De Bono erano legati alla massoneria di Londra. Qualche giorno prima del suo intervento in
Parlamento, che gli sarebbe costato la vita, Matteotti era stato a Londra e ne era ritornato con
documenti scottanti riguardanti il fascismo ma, sembra, anche ambienti di governo inglesi, forse
relativi al fatto che prima e durante la guerra Mussolini era stato prezzolato dai britannici e a
sporche manovre attorno alla questione petrolifera. I documenti nella borsa di Matteotti sparirono,
come decenni più tardi quelli che Mussolini portava con sé. L’ombra dei servizi inglesi si allunga su
tutti e due gli episodi.
Si continua con la seconda guerra, con gli strani rapporti tra settori non di sinistra dei
partigiani e esponenti dei repubblichini, promossi e finanziati dagli inglesi per conservare capacità
militari segrete e di intervento contro i comunisti e i governi che di lì a poco avrebbero preso vita.
Fu grazie agli americani che le decisioni britanniche riguardanti lo “smontaggio” territoriale e
politico del nostro Paese non andarono in porto, superando le resistenze di Churchill a considerare
l’Italia liberata cobelligerante e non solo nemico vinto. Cose che già si sapevano, mentre non era
ben documentato che quella base logistica eversiva mista di ex fascisti e di anticomunisti viscerali
rimase non solo attiva durante tutto il corso della storia repubblicana italiana, ma ebbe un ruolo
diretto e indiretto (coperto) in tentativi di colpo di Stato come quello del generale De Lorenzo del
1964 (apertura del centro-sinistra e Piano Solo) e successivamente di Borghese (1970).
Quest’ultimo bloccato a golpe già iniziato da un intervento americano, ma dapprima favorito da
ambienti di governo americani e inglesi (anche italiani?) Per non parlare della vasta rete di
fiancheggiatori anglofili che cercarono in tutto il dopoguerra di orientare l’opinione pubblica,
specialmente sulle scelte energetiche, in senso favorevole agli interessi strategici e petroliferi
britannici.
Dagli stessi documenti inglesi emerge ben più di qualche sospetto sul ruolo svolto dai loro
servizi nell’accertato sabotaggio dell’aereo che fece precipitare Enrico Mattei, Presidente dell’ENI,reo di aver cambiato i tradizionali rapporti ineguali tra la British Petroleum (e le altre multinazionali petrolifere) e i paesi produttori e di aver dotato l’Italia di una politica energetica indipendente.
Poi si arriva al “ caso Moro”, preceduto nel 1974 dalla manovre per un “golpe bianco”, in
cui erano compromessi ufficiali dell’esercito, la P2 di Gelli e ambienti politici, spaventati
dall’avanzata del PCI.
Edgardo Sogno rivelerà anni dopo la lista già pronta dei ministri. Quasi tutti
anglofili. Nel 1978 si arriva all’assassinio di Aldo Moro, reo di continuare sulla politica energetica
la linea di Mattei, di perseguire una politica estera indipendente e una strategia di compiuta
democrazia in Italia, attraverso quello che Berlinguer aveva definito il “compromesso storico”, che
non era “una scorciatoia per arrivare al governo”, ma la definizione di un patto costituzionale reale
“basato sulla condivisione di regole interne e di principi ben precisi nell’ambito della politica
estera”. “L’Italia sta per emanciparsi definitivamente dalla sua condizione di paese sconfitto in
guerra” – scrivono gli autori. Sull’esecuzione di Moro hanno giocato un ruolo diversi servizi
segreti, anche di opposti schieramenti.
Nel 1976 Londra aveva alla fine “quasi” scartato l’ipotesi di
un colpo di Stato di destra, scegliendo quella di “un’azione sovversiva”, esplicitamente prevista, tra altre, in un rapporto dello staff del Ministero degli esteri britannico. “Dal punto di vista delle conseguenze, la morte di Moro ha avuto lo stesso effetto di un golpe. Anzi di più: ha provocato gli
stessi danni di una guerra devastante” – concludono gli autori. In effetti basti pensare al vuoto politico che si è creato e alle sue tremende conseguenze per l’Italia, oggi ridotta in uno stato minoritario
Fonte : Documenti Storici V
Il Circolaccio