Pubblichiamo questo articolo nel giorno dell’anniversario della sua morte avvenuta il 5 luglio del 1950
La storia d’Italia è costellata da tanti episodi mai veramente chiariti. La prima Repubblica ne ricorda tante: dalla strage di Piazza Fontana alle bombe della stazione di Bologna a quelle dei giudici Falcone e Borsellino. Tra le varie storie” complesse ” del dopoguerra vi è l di certo la morte del bandito Salvatore Giuliano. Su Turiddu si è detto e scritto di tutto. Purtroppo Castelvetrano divenne famosa nel mondo perchè qualche potente dell’epoca ha deciso di fare trovare il bandito ucciso, nel cortile di via Mannone a due passi della casa dell’avvocato Di Maria. Chi decise di portare il corpo a Castelvetrano? E perchè questa scelta?
Mafioso, fascista, colonnello dell’Evis (l’esercito del movimento separatista siciliano), capo di una brigata omicida, ma anche icona popolare. Chi fu, realmente, Salvatore Giuliano, e che ruolo giocò negli anni concitati dell’immediato Dopoguerra? Che pedina fu nello scacchiera della Guerra Fredda? Su uno dei criminali più celebri della storia italiana, il cui nome è legato soprattutto alla strage di Portella delle Ginestre, del 1° maggio 1947, sono stati scritti innumerevoli saggi, ma anche fumetti, novelle popolari, canzoni, poesie, film (tra tutti, quello di Francesco Rosi, del 1962), e perfino un musical.
A settant’anni dalla prima strage della Repubblica italiana, che rappresentò anche – secondo ciò che è emerso dai documenti angloamericani raccolti dallo storico Giuseppe Casarrubea – il primo tentativo di golpe delle forze eversive di destra nel nostro Paese, coadiuvate dai servizi segreti degli Stati Uniti, dalla mafia siciliana e italomericana, dai gruppi paramilitari e di terroristi fascisti appoggiati da monarchici e separatisti, Il bandito della guerra fredda di Pietro Orsatti (Imprimatur, pagg. 240, euro 16) ricostruisce la breve e fulminea carriera criminale di Giuliano. Una ricostruzione basata soprattutto su quegli stessi documenti in parte già pubblicati dallo stesso Casarrubea nel saggio Portella della Ginestra.
Microstoria di una strage di Stato (Franco Angeli, 1997) e via via sul suo sito internet, attivo fino alla recente scomparsa dello storico di Partinico, considerato che i fondi archivistici del processo di Viterbo sulla strage di Portella sono stati desecretati solo da pochi mesi, ma restano di fatto ancora inaccessibili a causa dei quasi insormontabili ostacoli tecnici e amministrativi che presenta la loro consultazione. Il libro di Orsatti, dunque, poco aggiunge alla complessa vicenda di Giuliano, ma ha il merito di risistemarne i vari tasselli, riproponendo alla nostra memoria un momento cruciale della vita della nostra Repubblica, focalizzato attorno alla parabola di un ragazzo siciliano che uccide un carabiniere nel 1943 per due sacchi di grano destinati alla borsa nera e pochi mesi dopo guida un gruppo armato che assalta armerie e organizza evasioni di massa. Dai documenti dei servizi segreti angloamericani emerge con chiarezza che Giuliano entrò in contatto precocemente con i gruppi fascisti legati al «principe nero» Valerio Pignatelli e si arruolò nella Decima Mas di Juno Valerio Borghese, per poi diventare prima comandante della «Brigata Giuliano» di fede fascista e infine Colonnello dell’esercito separatista Evis.
Orsatti conferma dunque nel suo libro il calibro criminale di Giuliano, smontandone l’aura di brigante ribelle: ribadisce i suoi legami con Cosa Nostra e soprattutto la sua natura di spietato assassino (centinaia gli omicidi compiuti dalla sua banda, soprattutto di uomini delle forze dell’ordine e militanti comunisti e dirigenti sindacali), fino al ruolo di leader nella strage di Portella delle Ginestre, dopo la quale Giuliano avrebbe dovuto organizzare l’evasione di Valerio Borghese da Procida per consentirgli di guidare il golpe che doveva scattare in conseguenza alla auspicata reazione comunista alla strage, che però, strategicamente, non avvenne, vanificando di fatto il progetto eversivo. Anche sulla morte di Giuliano, avvenuta a soli ventisette anni in circostanze controverse, Orsatti si limita a dar conto delle diverse versioni fornite negli anni (almeno cinque), tra cui quella dello stesso Casarrubea, il quale cercò di dimostrare come quel 5 luglio del 1950 il corpo ritrovato nel cortile di casa di un avvocato di Castelvetrano non fosse quello di Giuliano, ma di un suo sosia. Ipotesi dalla quale Orsatti prende le distanze, riproponendo la tesi della celebre inchiesta del giornalista Tommaso Besozzi, che smontò la versione ufficiale – annunciata dallo stesso ministro dell’Interno Mario Scelba – dello scontro a fuoco coi carabinieri. Versione smentita poi al processo di Viterbo anche da Gaspare Pisciotta, che si autoaccusò dell’omicidio di Giuliano, suo sodale, denunciando la collusione dei vertici dello Stato nella strage di Portella.
Fonte il Mattino