Si affacciano uno dopo l’altro, il naso tra le sbarre del cancello che chiude l’ingresso al paese. Turisti, visitatori, gente di passaggio. «Si può?». Oltre, sotto un cielo azzurro irreale, si intravedono i palazzotti barocchi, il rettilineo della strada principale con la chiesa e la scuola, la piazza sullo sfondo. Ma è tutto deserto e disabitato. Questa era Poggioreale, spazzata via cinquant’anni fa, nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968 dal terremoto del Belìce, una ghost town rimasta in piedi – seppur diruta – che conserva la memoria dei suoi quattromila abitanti.
Nelle case ci sono ancora tavoli e credenze, nella scuola i vecchi banchi, nella chiesa brandelli di affreschi. Restaurata e di nuovo intatta la «Fonte Cannoli», vecchio abbeveratoio degli animali accanto alla quale si trova una vasca circolare che il sindaco, Lorenzo Pagliaroli, 38 anni, chiama scherzosamente il «lavamuli».
«Si tornava dalla campagna – racconta – e si immergevano qui gli animali in modo che arrivassero a casa puliti, pronti a entrare al pianterreno delle palazzine, i garage di allora. Gli animali sotto, i cristiani sopra». Arrivano in tanti, tanto più adesso che si avvicina l’anniversario del terremoto, celebrato anche dall’arrivo del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ma di ufficialmente percorribile ci sono soltanto i primi venti metri della strada principale, quelli che consentono l’ingresso a Palazzo Agosta, uno dei pochi edifici messi in sicurezza, dove l’associazione «Poggioreale antica» ha realizzato un museo della memoria con le fotografie e gli oggetti raccolti nelle case abbandonate. Scarpe, riviste degli Anni Cinquanta, quaderni di scuola, zappe e bottiglioni dell’olio: il racconto di una vita quotidiana spezzata, quel che resta di un paese contadino. Ci sono le fotografie, quelle del «prima», con la chiesa sullo sfondo, i palazzetti patronali con i fiori sui balconi, il prete con la tonaca nera e i bambini che giocano. E quelle del dopo: ruderi, rovine, barelle.
Molti entrano tagliando le reti, pochi autorizzati vengono condotti su un percorso di sicurezza dall’associazione che da mezzo secolo non si arrende all’abbandono. «Per tanto tempo – dice il sindaco, che amministra il paese nuovo sorto quattro chilometri più in là – si è sognato di riportare in vita questa città fantasma, di ricostruire le case, di realizzare strutture turistiche. Ma i soldi non bastano neanche a far fronte ai bisogni della città nuova, che dopo cinquant’anni mostra sempre di più gli errori della costruzione: le tubature si rompono, gli alberi spezzano i marciapiedi con le radici».
Eppure un piccolo miracolo sta per accadere. Un miracolo che arriva da lontano, da quella Sydney dove vivono oltre cinquemila emigrati da Poggioreale. Quasi il quadruplo dei 1494 abitanti che oggi conta il paese nuovo. Oriundi raccolti intorno all’associazione Sant’Antonio da Padova, il patrono, che anno dopo anno, con i soldi raccolti nelle feste religiose, ha costruito una casa di riposo per anziani. E che ha deciso di destinare due milioni di euro alla ricostruzione della chiesa di Sant’Antonio che svetta al centro della ghost town, un’impalcatura a sorreggere la facciata, niente più cupola. Il primo tassello della rinascita. Lo «zio d’Australia» si chiama Peter Maniscalchi, grande imprenditore nel settore della ceramica, doppia cittadinanza. Poco più in là c’è il campo allestito dal Nucleo cinofili dei Vigili del fuoco. I cani utilizzati nei cataclismi d’Italia si allenano qui, tra le macerie vere, perché questo fa la differenza. All’ultima esercitazione hanno battuto colleghi a quattro zampe venuti da mezzo mondo. «Questione di naso – spiega il sindaco – qui c’è ancora l’odore delle rovine».
Fonte : La Stampa
Il Circolaccio