Primarie Pd, Cracolici chiede le dimissioni di Faraone
«Rimetta il mandato, ormai è una scelta inevitabile»
Zingaretti vince e sdogana Cracolici che non ha mai avuto buoni rapporti con Lupo e Crocetta. Cracolici era stato fatto fuori dai renziani. Adesso, il pallino nel Pd siciliano torna al vecchio amico di Capodicasa che faceva accordi con Cuffaro e Papania
«Mi pare che il dato emerso dai gazebo ci dica che il popolo del centrosinistra chiede altro rispetto a quello che è avvenuto negli ultimi mesi qui in Sicilia». È un Antonello Cracolici più sereno, quello che questa mattina risponde all’altro capo del filo. La vittoria netta di Nicola Zingaretti anche in Sicilia, con un dato ancora più eclatante a Palermo città (il 74,6 per cento dei voti) dà adesso la possibilità al dirigente dem di chiedere che «Davide Faraone rimetta il suo mandato da segretario regionale».
Qual è la strada da intraprendere adesso?
«Certamente è quella di essere realmente competitivi, abbandonando una prospettiva neo-inciucista. Perché questa traduzione del partito della nazione in salsa siciliana ha prodotto una serie di guasti che sono sotto gli occhi di tutti».
Il riferimento è alla riduzione dei gazebo?
«A quello, ma non soltanto a quello. E nonostante tutto i gazebo ci consegnano un mandato che non lascia spazio all’interpretazione. Soprattutto a Palermo città, dove era diretta l’influenza di Faraone e dove il dato è ancora più clamoroso che nel resto dell’Isola. Malgrado le traversie, insomma, c’è stato quasi un atto di eroismo da parte del popolo del centrosinistra».
LA PRIMA VOLTA DI UN EX COMUNISTA.
Quando i comunisti allearono con Cuffaro e Bartolo Pellegrino
Il ” teatrino” della politica, sul finire del 1998, sarà capace di mettere in scena inedite alleanze e nuovi assetti di potere in un clima assembleare contrassegnato da confusione e compromessi. Un folto drappello di deputati centristi, tra cui l’ onnipresente assessore all’Agricoltura Totò Cuffaro e il bizzoso Bartolo Pellegrino già PSI e poi diniano, abbandoneranno senza rimpianti l’alleanza con Forza Italia e gli ex missini di AN. Favoriranno la nascita di una nuova maggioranza e la formazione di un governo presieduto da un diessino, il quarantanovenne Angelo Capodicasa, nativo di Joppolo Giancaxio, esperto parlamentare in carica da tre legislature. Dopo mezzo secolo di autonomia regionale, un ex comunista, per la prima volta, siederà a Palazzo d’Orlèans. All’Ars si consumerà il cosiddetto ” ribaltone”, che manderà a casa la gracile compagine di centro- destra guidata da Giuseppe Drago. Diessini, Udeur già Cdu, Ccd, Ppi, diniani, un cossuttiano staccatosi da Rifondazione comunista, daranno vita al 52° governo della Regione in linea con le indicazioni romane ( provenienti dall’Udeur di Cossiga e Mastella e del leader dei comunisti italiani Armando Cossutta, sostenitori del governo D’Alema). L’elezione di Capodicasa ( novembre ’98) si rivelerà più travagliata del previsto. Capodicasa, secondo le malelingue , senza l’abbassamento del quorum, in seguito alla ” uscita” dall’Aula dei tre deputati di Rifondazione, difficilmente avrebbe centrato l’obiettivo. Il trasformismo dei centristi, invece, verrà duramente stigmatizzato da un furente Gianfranco Miccichè, coordinatore siciliano di FI. Anche fra i diessini si registrarono critiche e dissensi. Nondimeno la giunta risulterà composta da 8 assessori centristi ( fra cui i ben noti Castiglione, Cuffaro, Papania e Lo Giudice), i quali oltre ad avere la maggioranza in seno all’esecutivo guideranno importanti rami dell’amministrazione regionale. I diessini otterranno due assessori (Crisafulli e Battaglia), mentre a Franco Piro de ” La Rete” e al cossuttiano Salvatore Morinello verranno attribuite le deleghe, rispettivamente, del Bilancio e dei Beni Culturali. Capodicasa, inoltre, nei locali della Presidenza si avvarrà di un efficiente staff e dei consigli dell’ex presidente dell’Ars e suo sponsor Michelangelo Russo. I primi atti del governo riguarderanno il risanamento economico- finanziario della Regione e alcune riforme. Alla viglia di Natale del ‘ 98, l’Ars approverà l’importante legge di liquidazione dei fallimentari enti economici siciliani Espi, Ems ed Azasi ( paradossalmente dopo venti anni la procedura di liquidazione è ancora in itinere). Trascorsi due mesi, con 59 voti favorevoli su 64 votanti, l’Assemblea approverà il disegno di legge-voto per la riforma dello Statuto regionale ( fra le novità più importanti l’elezione a suffragio universale e diretto del presidente della regione). Il governo Capodicasa proseguirà il suo cammino, nonostante l’emergere di non poche difficoltà politiche. Per neutralizzarli, il presidente della Regione, ad un anno dal suo insediamento, imporrà un ” rimpasto”. Nel suo secondo governo non ci sarà posto per l’assessore Giuseppe Castiglione coinvolto in una vicenda giudiziaria. Il capogruppo del Prc, Francesco Forgione, annuncerà che il suo partito sosterrà il governo purché , prioritariamente, « fermi ogni ipotesi di sanatoria edilizia » caldeggiata dai centristi. Il governo godrà di un breve periodo di tranquillità. Poi affioreranno mugugni e prese di distanza. Capodicasa comprenderà che la sua maggioranza sta per sfaldarsi. Nel giugno 2000 i deputati Udeur, diniani e Ccd, ordiranno il cosiddetto ” controribaltone” e Capodicasa presenterà le dimissioni. Al suo posto verrà eletto il capogruppo dell’Udeur Vincenzo Leanza che guiderà, per la seconda volta, una giunta regionale di centro-destra fino alla conclusione della legislatura. Angelo Capodicasa , migliorista della corrente Macaluso- Napolitano, nel 2006 si candiderà e verrà eletto deputato nazionale per tre legislature consecutive. Nel governo Prodi ricoprirà l’incarico di vice ministro delle Infrastrutture e dei trasporti. Recentemente ha aderito, dopo essere uscito dal PD, a ” Liberi e Uguali” rinunciando, però, a candidarsi alle elezioni politiche del 4 marzo scorso.
Fonte : Meridione news