Mauro De Mauro: un grande giornalista che non ripudiò mai di aver sostenuto il fascismo fino alle leggi razziali. Un uomo che fece il suo lavoro con grande coraggio in un giornale comunista. Fu il primo giornalista siciliano a parlare dei rapporti tra la mafia e parte della DC.
Come se non fosse mai esistito. De Nauro, fu il primo a pubblicare i verbali del primo pentito di mafia del 900 il castelvetranese , dott. Allegra. De Mauro è scomparso negli anni 70
Il cronista del giornale “L’Ora”, Mauro De Mauro, nasce a Foggia nel 1921, muore – o per meglio dire scompare per sempre – per mano di Cosa Nostra il 16 settembre 1970. Dopo molti anni, il 16 settembre qualcuno, in Viale delle Magnolie a Palermo, depone una corona di fiori in sua memoria. È li, che la sua vita venne bruscamente interrotta.De Mauro era un uomo di destra che aveva pure sostenuto il fascismo. Era un uomo di validi principi ed era contro la mafia e il potere che ci girava attorno.E, ironia della sorte, scriveva per un quotidiano rosso. Con il Giornale di Sicilia non ebbe mai rapporti
La sera del 16 settembre 1970, Mauro De Mauro aveva appena posteggiato la sua auto, una BMW blu scuro, accanto al portone d’ingresso del palazzo in cui abitava; l’ultima a vederlo sarà la figlia Franca, che scorge il padre mentre s’infila di nuovo in auto scortato da tre uomini, che scoprirà poi essere i suoi assassini. “Amuninni ca’ un babbiamu”, grida uno di loro, “andiamo che non stiamo scherzando”.
La BMW sarebbe stata ritrovata poche ore dopo, a qualche chilometro di distanza, in Via Pietro d’Asaro. Ma di De Mauro nessuna traccia. C’erano ancora i giornali e le sigarette sul sedile posteriore. Iniziarono le ricerche. Otto giorni dopo il giornale “L’Ora” usciva col titolo “Aiutateci”. Due giorni dopo arrivava un nastro alla Squadra Mobile. Una voce roca, quasi incomprensibile, diceva: “Il De Mauro è vivo, non gli facciamo del male, vogliamo chiacchirerargli bene”. Fu Boris Giuliano, eccelso poliziotto, che si occupava del caso, a portare l’audio alla moglie del giornalista. Alzando il volume, Elda riconobbe la voce del marito. Capì che doveva essere stato malmenato dal modo in cui parlava. Non c’era solo la Polizia sul caso. Anche l’allora comandante dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa batté a tappeto le campagne palermitane. Senza successo.
Anni dopo molte voci e molti collaboratori di giustizia hanno provato a raccontare cosa fosse successo a De Mauro.
Il pentito Francesco Marino Mannoia rivelerà che i resti del giornalista erano stati sepolti per diversi anni sotto un ponte del fiume Oreto e che successivamente i capimafia della zona decisero di rimuovere le ossa, sciogliendole in un fusto pieno d’acido. Così, nell’acido, cancellarono le tracce del giornalista e della sua ultima inchiesta, di cui oggi ci rimane una ricostruzione soltanto parziale, fatta di un coro a più voci e di uno spettro variegato di mandanti e collaboratori.
Dopo la morte di De Mauro l’iter giudiziario fu lungo e difficoltoso, furono setacciate diverse piste, tra cui anche quella sul Golpe Borghese, legata in un certo modo alle vicende personali del cronista.
Il giornalista, infatti, in gioventù era stato un sostenitore del Fascismo e durante la Seconda Guerra Mondiale aveva militato nella “X Flottiglia MAS” di Junio Valerio Borghese, a cui doveva il nome della sua seconda figlia, Junia. C’era forse la possibilità che il giornalista, conoscitore di quegli ambienti, fosse venuto a conoscenza del Golpe (fallito poi tre mesi dopo, tra il 7 e l’8 dicembre del 1970). In un taccuino recuperato nel suo studio, De Mauro aveva annotato: “Colpo di Stato. Colpo di Stato continuato – uomini mediocri ma di rottura – la guerra è un anacronismo”.
È a Palermo in effetti che comincia il suo personale percorso di riscatto civile e morale. È qui che inizia a lavorare insieme al fratello Tullio presso i giornali “Il Tempo di Sicilia”, “Il mattino di Sicilia” e “L’Ora”, e in breve tempo diviene uno dei più importanti cronisti italiani.
Il suo contributo alla lotta contro la criminalità organizzata è enorme: nel 1960 vince il “Premiolino” per la sua inchiesta sul fenomeno del crimine organizzato in Sicilia. Nel 1962 pubblica sulle pagine de “L’Ora” un verbale di polizia del 1937, in cui il medico militare Melchiorre Allegra,originario di Castelvetrano, affiliato alla mafia dal 1916 e pentito dal 1933, descrive la struttura del vertice mafioso.
Nel 1962 muore il presidente dell’Eni, Enrico Mattei, presumibilmente per mano mafiosa: e sarà proprio il “caso Mattei”, a decretare la morte di De Mauro. Scartata infatti l’ipotesi del “Golpe Borghese”, apparve evidente, in base alle fonti e alle testimonianze, che fu l’indagine principiata da De Mauro sulla morte di Enrico Mattei a scatenare la rappresaglia dei vertici mafiosi.Dietro l’omicidio MATTEi c’erano i servizi segreti americani
Scrivono i giudici nella sentenza:“La causa scatenante della decisione di procedere senza indugio al sequestro e all’uccisione di Mauro De Mauro fu costituita dal pericolo incombente che egli stesse per divulgare quanto aveva scoperto sulla natura dolosa delle cause dell’incidente aereo di Bascapè”.
Lo stesso Tommasso Buscetta avrebbe dichiarato davanti a Giovanni Falcone: “De Mauro era un cadavere che camminava. Costa Nostra era stata costretta a perdonare il giornalista perché la sua morte avrebbe destato troppi sospetti, ma alla prima occasione utile avrebbe pagato anche per quello scoop. La sentenza di morte era stata solo temporaneamente sospesa». De Mauro aveva iniziato a prendersi carico del caso intensivamente nel settembre 1970, per aiutare il regista Francesco Rosi, che avrebbe presentato un film sul “caso Mattei”.
De Mauro doveva ricostruire gli ultimi giorni di vita di Mattei in Sicilia, in particolare il giorno del suo omicidio, avvenuto il 27 ottobre 1962.
A questo scopo si muoveva sul campo, intervistando e contattando le persone che il presidente dell’Eni aveva incontrato a Gela e a Gagliano Castelferrato anni prima.
Inseriva tutto ciò che raccoglieva in una busta gialla, che avrebbe dovuto contenere materiale prezioso per la futura sceneggiatura.
Ma questa busta conteneva anche qualcosa di molto scottante: la rivelazione dell’attentato a Mattei, congegnato con la complicità di apparati italiani (forse persino con il supporto della Cia), che avrebbe avuto “effetti devastanti per i precari equilibri politici generali”.
Per questo i boss mafiosi avrebbero deliberato la morte del cronista. In base alle ricostruzioni, nella sua indagine De Mauro sarebbe riuscito a dimostrare il coinvolgimento nell’attentato a Mattei, di personaggi quali Vito Guarrasi,( il famoso avvocato alcamese presente all’armistizio di Cassibile e legato ad Angelo Siino e ai Bertolino) e Graziano Verzotto, nonché a fornire i nomi delle persone che erano al corrente dell’orario di partenza del volo di rientro di Mattei (all’epoca tenuto segretissimo per ragioni di sicurezza).
Vito Guarrasi, era molto potente,( amico anche del famoso Barone Di Stefano di Castelvetrano), braccio destro del presidente dell’Eni Eugenio Cefis, che prese il posto di Mattei, presente alla firma dell’armistizio con gli Alleati il 3 settembre del 1943. È Guarrasi colui che i giornali chiamano il “Mister x” al centro dell’inchiesta nata dopo la scomparsa di De Mauro.
Graziano Verzotto, invece, era un pezzo da novanta della Democrazia Cristiana. Nato in provincia di Padova, era stato spedito in Sicilia a guidare l’Ente Minerario Siciliano. Legato ai servizi segreti francesi, fu coinvolto nell’inchiesta sui fondi neri delle banche di Michele Sindona. Risultò anche amico del boss Giuseppe Di Cristina.
Sarebbe stato Verzotto la prima fonte di De Mauro sugli ultimi giorni di Mattei: quello di Verzotto pare però un doppio gioco sottilissimo. Da una parte infatti egli si preoccupa di strumentalizzare De Mauro in chiave “anti-Cefis”, dall’altra di utilizzarlo come “un osservatorio privilegiato per orientare la sua inchiesta e indirizzarla con opportuni suggerimenti, secondo la propria convenienza”.
Quando Guarrasi e Verzotto si rendono conto che De Mauro è vicino alla verità, si sarebbero preoccupati di decretarne l’esecuzione.
Il pentito Gioacchino Pennino ha affermato nel 2007 che Guarrasi svolse un ruolo nella morte del giornalista dell’Ora Mauro De Mauro
Scrive Pennino: “Il giornalista era giunto troppo vicino a scoprire la verità sul sabotaggio dell’aereo, ipotesi della quale era stato del resto sempre convinto e che, se provata, avrebbe avuto effetti devastanti per i precari equilibri politici generali in un Paese attanagliato da fermenti eversivi e un quadro politico asfittico, incapace di dare risposte alle esigenze di rinnovamento della società e in alcune sue parti tentato da velleità di svolte autoritarie”.
A causa delle prove insufficienti e degli insabbiamenti (come quello operato da Vito Miceli, all’epoca nominato al vertice del Sid, il servizio segreto militare, che arrivato a Palermo nell’ottobre del ‘70, ordinò l’archiviazione dell’inchiesta), né Guarrasi né Verzotto furono incriminati come i mandanti ufficiali dell’omicidio. Entrambi morirono di vecchiaia rispettivamente nel 1999 e nel 2010.
La Coorte d’Assise d’appello emise il verdetto di assoluzione anche nei confronti di Totò Riina. Per la Cassazione risultarono inaffidabili le dichiarazioni del collaboratore Francesco Di Carlo, che aveva cambiato la sua versione dei fatti, raccontando di un episodio in cui avrebbe assistito da dietro ad una porta: un incontro tra Riina e Bontade, in cui quest’ultimo avrebbe riferito l’ordine di esecuzione di De Mauro datogli da Di Cristina, Maletti e Miceli.
La Corte d’Appello mise in relazione questo “aggiustamento” delle dichiarazioni di De Carlo a un possibile interesse di natura economica, legato alla stesura di un libro sulla vicenda. Ufficialmente quindi, i boss mafiosi Di Cristina e Bontade vennero dichiarati i mandanti ufficiali della morte del cronista, i cui esecutori materiali sarebbero stati uomini di fiducia del Bontade: Emanuele d’Agostino, Girolamo Teresi, Antonino Grado.
Fine della storia? Per nulla. Perché il corpo di De Mauro non è mai stato trovato. Prima di scomparire per sempre, De Mauro si era recato al palazzo di giustizia. Lo ricordava ancora il giudice Cesare Terranova, mentre transitava lungo i corridoi. Il giornalista si sarebbe confidato col procuratore Pietro Scaglione. Il mistero De Mauro si infittisce. Scaglione morì l’anno dopo, nel 1971. E poi sarebbe iniziata una sorta di maledizione. Tutti coloro che avevano investigato sul caso De Mauro sarebbero stati uccisi: Boris Giuliano, Cesare Terranova, Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Mezzo secolo dopo, Mauro De Mauro, risulta ancora scomparso, morto sicuramente, per “lupara bianca”. Nel 1961, nove anni prima di sparire nel nulla, De Mauro scriveva sul giornale cosa fosse questo modo di morire: “La lupara bianca, silenziosa, terrorizza da un mese e mezzo l’entroterra mafioso palermitano. Non si rivolge contro innocenti ed estranei, colpisce solo entro un ben determinato “giro”, ma non per questo è meno perniciosa, barbara, inaccettabile. È la morte bianca che non lascia traccia, che non dà lavoro – o almeno non subito – a magistrati, a medici legali, a periti settori: la gente scompare,così da un giorno all’altro, non se ne sa più nulla”.
Una vicenda di chiaro-scuri e quesiti irrisolti, che reca con sé il segno gravoso di una costante: quella della morte di tutti quei giornalisti che vengono minacciati, calunniati, e infine uccisi per quello che fanno. Per ciò che hanno deciso di denunciare o proteggere, con la fragile e insieme robusta forza delle loro parole.
Valentina Nicole Savino
Fonte :Web fg
Il Circolaccio