Gli porremo qualche domanda sabato,16 settembre, a Ragusa Ibla, dove si parlerà di giornalismo d’inchiesta
da ItalyFlash
Ci sarà pure Salvo Palazzolo, oltre che il conduttore di Report Sigrifido Ranucci, al convegno che si terrà il 16 settembre prossimo dalle 9 alle 13 al teatro di Donnafugata di Ragusa Ibla dal titolo: ‘GIORNALISMO D’INCHIESTA’.
E chi è Salvo Palazzolo?
È il coautore del libro dal titolo ‘La cattura’, riguardante l’arresto avvenuto a gennaio scorso di Matteo Messina Denaro. È un pamphlet scritto a quattro mani, in maniera insolita e criticabile e ritenuta inopportuna, visto che le altre due mani per scrivere questo libro di inchiesta, sono quelle del magistrato che si sta occupando proprio dell’inchiesta, tuttora in corso. Stiamo parlando del più importante caso giudiziario italiano del momento gestito dal procuratore di Palermo Maurizio De Lucia.
Visto che le indagini sono ancora in corso forse sarebbe stato meglio che chi se ne sta continuando ad occupare, evitasse di darsi alla saggistica e che si concentrasse di più sulla trentennale latitanza del Messina Denaro.
Salvo Palazzolo, coautore del libro scritto assieme al Procuratore De Lucia, giova ricordarlo, è peraltro il giornalista che, seppur indirettamente, si è occupato di un fatto giudiziario particolare che ha riguardato proprio il De Lucia. Ci riferiamo ad un suo servizio giornalistico pubblicato dal quotidiano La Repubblica, contenente l’intercettazione delle telefonate del 2016 dell’allora numero due di Confindustria Nazionale, nonché ex paladino dell’antimafia, Antonello Montante, oggi caduto in disgrazia a seguito di una serie di processi e condanne, nonché un’inchiesta per mafia. Si trattava di due colloqui telefonici tra Montante ed il capo della Security di Confindustria, Di Simone Perricone.
L’ex poliziotto Diego Di Simone Perricone allora svolgeva il ruolo di emissario, di longa manus di Montante. Tentava di carpire notizie riservate sull’inchiesta per mafia a carico del suo dante causa, del suo datore di lavoro. Inchiesta peraltro ancora pendente. Nelle intercettazioni pubblicate da Palazzolo sul giornale La Repubblica si sentono a telefono le voci di Montante e di Di Simone, quando quest’ultimo, all’uscita dall’ufficio dentro la Procura Nazionale Antimafia, dove prestava allora servizio il procuratore che ha catturato l’ormai morente Matteo Messina Denaro, Maurizio De Lucia, rassicurava l’ex ‘apostolo dell’antimafia’ dicendogli che la sua inchiesta per mafia si stava mettendo bene.
Di Simone Perricone ed il De Lucia si sono incontrati tre volte presso la Procura Nazionale Antimafia. Sentito dalle Autorità Giudiziarie nissene, relativamente a questi incontri, stranamente il Di Simone Perricone negava di essersi incontrato col De Lucia a Roma. Ma il De Lucia, quando è stato indagato ed interrogato a Perugia per avere passato delle notizie riservate a Montante, tramite il Di Simone Perricone, ha dovuto smentire la versione di quest’ultimo ed ha ammesso di avere avuto con lui quei tre incontri.
I due, tra l’altro, si conoscevano da tempo.
Infatti il Di Simone Perricone, prima di dimettersi dalla polizia, nel 2009, per andare a fare il capo della Security di Confindustria, aveva lavorato a Palermo, proprio assieme al De Lucia.
Forse per tali ragioni, per questo loro antico rapporto, il Di Simone, in cuor suo, negando di avere avuto quei tre incontri, intendeva tutelare e salvaguardare la figura di un magistrato che lui e Montante stimavano tantissimo. E poco importava se la prova di quegli incontri emergeva anche presso la portineria della Procura Nazionale Antimafia, dove il suo nome risultava debitamente registrato. Ma è proprio dalle conversazioni telefoniche intercettate tra lui e Montante e pubblicate dal giornalista Palazzolo su La Repubblica, dalla viva voce del guardaspalle del compare dei capi mafia Vincenzo e Paolino Arnone e dalla sua viva voce, ci riferiamo a chi poi è diventato un abile professionista dell’antimafia di facciata, che abbiamo appreso di questo spiffero, di questa fuga di notizie, proveniente dalla Procura che che coordina, in Italia, tutte quante le indagini per mafia. Compresa quella di Montante, naturalmente.
Con l’ipotesi di reato di rivelazione ad un indagato per mafia di segreti investigativi, il procuratore De Lucia, su segnalazione della Procura di Caltanissetta, è stato indagato a Perugia. La sua posizione è stata archiviata nel 2019.
Secondo il suo ex collega Luca Palamara, ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, e che possiamo tranquillamente considerare il primo ed unico magistrato ‘pentito’, che ci ha svelato tra l’altro molte incredibili magagne giudiziarie italiane, tale archiviazione era legata alla sua attività, svolta nella qualità di procuratore di Messina, a partire dal 2017. Dalla versione di alcuni fatti riferiti da Luca Palamara nei suoi due libri ‘Il Sistema’ e ‘Lobby&Logge’, relativi al lavoro svolto dal De Lucia quando, fino allo scorso anno, era procuratore nella città dello Stretto, emerge che egli era legato, come lo stesso Palamara del resto, alla cordata capitanata da Pignatone (allora procuratore di Roma) e De Ficchy (allora procuratore di Perugia). È stato proprio il De Lucia, quando si registrò, per così dire, una divergenza di vedute tra Palamara e Pignatone, riguardo alla nomina del nuovo procuratore di Roma, a passare alcuni atti di indagine di una certa gravità sul conto di Palamara, alla procura di Perugia.
Si tratta delle rivelazioni dell’ex procuratore aggiunto di Siracusa Longo, legato all’avvocato dell’ENI, Piero Amara; quest’ultimo ritenuto un corruttore seriale di magistrati. Pare che, sempre l’avv. Amara, abbia svolto anche delle attività professionali assieme al fratello dell’ex procuratore di Roma Pignatone ed attuale Presidente del Tribunale del Vaticano. Il magistrato Longo, per i suoi rapporti coruttivi con l’avv. Amara è stato già processato, condannato ed espulso dalla magistratura.
Ma quale è stata la scintilla che ha fatto scoppiare e propagare a dismisura, qualche anno fa, quel grande incendio in cui sono rimaste bruciate parecchie toghe, più o meno sporche?
Ma naturalmente tutto parte quando si inizia a parlare del cosiddetto ‘Sistema Siracusa’, quando vengono processate e condannate in Sicilia le prime toghe sporche di petrolio.
Poi lo scandalo si allarga in tutt’Italia. A quel punto scoppia il caso Palamara, preceduto dall’inchiesta di Caltanissetta denominata ‘Double face’, relativa al cosiddetto ‘Sistema Montante’.
Attraverso questi ultimi due casi giudiziari ci si è accorti che le promiscuità, spesso incestuose tra magistrati, politici ed altri esponenti delle forze dell’ordine e dei servizi segreti, erano più preoccupanti ed allarmanti rispetto a quanto era successo inizialmente; quando qualcuno avrebbe voluto circoscrivere tutto nel Siracusano, limitandosi al caso Longo-Amara. Anche se ciò che si consumava dentro la Procura ed il Tribunale di Siracusa già di per sé era molto grave. Venivano infatti, ‘regolarmente’ insabbiate, le grandi inchieste che riguardavano alcune tra le più inquinanti aziende petrolchimiche che operano in Sicilia. Si tratta di aree ancora oggi talmente inquinate, dove a causa dei fumi tossici nell’aria e dei veleni sparsi ovunque, si registra la più alta incidenza in Italia di nascite di bambini malformati. Si scaricano tanti di quei veleni a mare che anche i pesci hanno subito delle modificazioni genetiche, tanto da sembrare dei mostri marini. Si tratta di aree dove le persone muoiono come le mosche, tutte quante affette da varie tipologie di tumore.
Ma, come dicevamo, quando oltre al ‘Sistema Siracusa’ si iniziano a delineare i contorni sia del ‘Sistema Montante’ che del caso Palamara ci si accorge delle vastissime proporzioni di un epifenomeno che investe qualche migliaio di magistrati. Quelli cioè che intrattenevano rapporti con i vari Amara, Montante e Palamara. Rapporti che, com’è noto, non sono stati sempre cristallini.
Oggi tutti hanno preso le distanze, per lo meno all’apparenza, da Amara, da Antonello Montante e da Luca Palamara, quest’ultimo il gran cerimoniere che si occupava di tutte quante le trattative per la nomina dei vertici delle procure e dei Tribunali di tutt’Italia.
Secondo quanto avrebbe riferito il magistrato Longo all’allora procuratore di Messina De Lucia, Palamara avrebbe chiesto dei soldi, 40 Mila euro, ad un intermediario, per farlo nominare procuratore di Gela. Longo al De Lucia ha pure parlato, in quell’occasione, dei rapporti del fratello dell’allora procuratore di Roma Pignatone con l’avvocato Amara. Ma il verbale sui fratelli Pignatone non sappiamo bene se è finito sul tavolo dell’allora procuratore di Perugia De Ficchy, che invece ha avuto modo di vagliare attentamente l’accusa di corruzione trasmessagli, sempre dal De Lucia, su Palamara. Accusa che è servita per inoculare il troian nel cellulare di Palamara ed per intercettarlo, in più occasioni, ed in modo particolare nel corso di una famosa cena all’hotel Champagne di Roma.
Ci riferiamo alla conversazione intercettata tra Palamara, il parlamentare Luca Lotti, allora uno dei principali alter ego del presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi ed il magistrato e parlamentare Cosimo Ferri, anche lui in quel momento vicino a Renzi. Stavano discutendo della nomina di Marcello Viola a procuratore di Roma, di cui in quei convulsi frangenti si stava occupando il CSM. Viola, secondo il racconto di Palamara, era inviso al procuratore di Roma Pignatone. Non lo voleva come suo successore. E fu proprio grazie a questa iniziativa giudiziaria che parte da Messina la crociata contro Viola e pro Prestipino-Lo Voi. Il tutto viene messo a punto attraverso l’utilizzo a Perugia degli atti in cui Palamara veniva accusato di corruzione.
E fu così che scoppiò il caso Palamara!
È proprio grazie a quell’intercettazione disposta dalla Procura di Perugia, a seguito della segnalazione della Procura di Messina retta da De Lucia che si scopre che Palamara, pesantemente sotto inchiesta per corruzione, è uno tra i primi ad indicare Viola quale procuratore della Repubblica di Roma.
È stata un’ottima soluzione per bruciare il nome di un candidato chiamato a ricoprire l’incarico di procuratore della prima e più importante procura d’Italia, quella della capitale.
Fu così che saltò l’accordo relativo alla nomina di Viola a procuratore di Roma. Accordo che era stato peraltro raggiunto dal CSM, si aspettava solo la ratifica ufficiale. Lo scandalo che è scoppiato a seguito delle intercettazioni disposte a carico di Palamara, com’è noto, ha investito poi l’intero ordine giudiziario. Una volta appreso tutto quanto era contenuto nelle sue chat private, il Palamara cadde definitivamente in disgrazia. Quello stesso CSM, all’interno del quale sino a quel momento il Palamara era stato, assieme anche a Pignatone, una sorta di deus ex machina, gli ha dato il ben servito, licenziandolo da magistrato. Mentre l’inchiesta a suo carico sta continuando a fare il suo corso. Inchiesta che, lo ricordiamo, era allora partita dalla Procura di Messina, retta da De Lucia, uomo anche lui vicino a Pignatone ed amico di Montante. Inchiesta che è poi approdata a Perugia e che di fatto a qualcuno, indirettamente ha giovato. Senza con ciò voler affermare che tutto quanto è stato pilotato per onorare l’antico detto romano, ‘mors tua vita mea’, visto che proprio di Roma stiamo parlando. Sta di fatto che le disgrazie giudiziarie di Palamara hanno consentito, prima a Prestipino e poi a Lo Voi, ex procuratore di Palermo, di ricoprire l’incarico di procuratore di Roma.
Mentre il magistrato Viola, in quella circostanza, assolutamente a sua insaputa, nel vero senso della parola, è stato per così dire impallinato. Quel Viola che è stato sempre considerato, da tutti quanti i suoi colleghi, unanimemente, persona integerrima ed al di sopra di ogni sospetto. Cosa che peraltro si evince anche dalle famose chat che hanno sequestrato a Palamara. Tra le migliaia di conversazioni in cui spesso si discuteva di raccomandazioni e promozioni di magistrati, oltre che, ovviamente, di inchieste pilotate, non ce n’è una di questo tenore che riguarda il Viola. Tutti quanti i suoi colleghi, piuttosto, concordavano su un fatto lapalissiano e cioè che Viola non aveva scheletri nell’armadio.
È interessante raccontare inoltre un altro antefatto che riguarda i procuratori delle due principali città italiane, Lo Voi e Viola.
Alcuni anni fa, quando Marcello Viola era procuratore a Trapani e stava per svelare l’intreccio trapanese tra mafia e massoneria deviata, ha avuto dei momenti di frizione con Lo Voi quando era procuratore a Palermo.
Ma già c’era stato in precedenza qualche altro cruciale ed inquietante scontro tra le due procure. Ci riferiamo a quando il procuratore di Palermo era Francesco Messineo, il magistrato che è stato colui il quale ha dato lo start up, a partire da quando era procuratore a Caltanissetta, al ‘Sistema Montante’. Lo possiamo tranquillamente considerare il ‘mentore’ del falso professionista dell’antimafia.
Fu allora che i destini delle due procure, quella di Palermo e quella di Trapani, si incrociarono, non sappiamo quanto casualmente, l’una all’insaputa dell’altra.
Messineo interferí con le sue attività di indagine nelle indagini che a sua volta stava conducendo la procura trapanese. Fece arrestare un mafioso agrigentino, Leo Sutera, scavalcando la procura di Trapani che era alle sue calcagna.
Quel boss era in quel momento pedinato dagli investigatori trapanesi ed aveva fissato un appuntamento con Matteo Messina Denaro. Era il soggetto cioè che stava conducendo dritto dritto le forze dell’ordine nel covo di Messina Denaro. Mai decisione, quella di arrestare uno degli uomini più fidati di Messina Denaro, fu più improvvida.
A seguito di quel corto circuito innescato dalla procura di Palermo si registrarono alcuni screzi e niente di più. Qualcuno scrisse qualcosa, qualche altro fece finta di niente.
Paradossalmente a dovere fare i conti con qualche strascico giudiziario per le imperdonabili interferenze della procura palermitana, ironia della sorte, furono alla fine gli investigatori ed i magistrati trapanesi. Qualcuno, o più di qualcuno, ha volutamente sottovalutato il fatto che Viola ed i suoi predecessori avevano trovato la pista giusta per giungere alla cattura di Matteo Messina Denaro, quando era ancora in auge, quando ancora realmente deteneva il bastone del comando dentro cosa nostra. Ed invece è stato catturato soltanto a gennaio scorso, quando ormai, a causa del suo tumore in fase terminale, è in fin di vita e non conta più niente.