Riina , durante alcune conversazioni in carcere prima di morire, “scomunica” l’erede Messina Denaro: «Si dedica solo agli affari, Pensa solo a se stesso »
Riina , sapeva benissimo di essere intercettato. Decise di mandare dei messaggi su suo “figlioccio” Matteo, affinché qualcuno capisse. Chi doveva capire? E soprattutto, perché Riina getta alle ortiche il suo rispetto mafioso per il boss castelvetranese? In altri tempi, una sentenza del genere, emessa dal capo dei capi poteva significare la morte. “Lu siccu” all’anatema di Riina non ha avuto paura? Oppure, Messina Denaro , già aveva opportune linee di protezione ,da non temere la furia del capo corleonese? Una linea di protezione di spessore e che doveva tener conto anche del fuoco amico mafioso?
Ancora una volta, gli investigatori, su questi passaggi, non hanno indagato fino in fondo. Hanno preferito altre piste. Spesso più mediatiche che di sostanza. Erano impegnati a fare “pruvulazzo” con operazioni tese a colpire le presunte reti di protezione al boss, ritenendo importante mettere pressione al territorio. Tra queste strategie ,anche quella voluta dalla Principato e denominata : “terra bruciata“.
Rimane difficile a tutt’oggi, pensare che, uno squalo come Messina Denaro, si potesse fidare di alcuni “sciacquabicchieri”, così come alcune inchieste hanno voluto far credere.
Perchè Riina si sente tradito? Lui stesso, nel 2013, ammette di sapere che Messina Denaro è scappato all’estero. Deduzione o depistaggio? Oppure informato da qualcuno? Perchè Riina doveva parlare di Messina Denaro? Tra le ipotesi più attendibili vi è anche quella di far sapere ai suoi “amici” mafiosi, in libertà che il suo successore non poteva essere Messina Denaro. L’ex pupillo aveva sbagliato e non meritava il trono. Resta da capire quale accordo esistesse tra i due che, fino al 15 gennaio 1993 si sono frequentati . A Castelvetrano le riunioni fioccavano anche prima delle stragi
Giudizi intercettati del boss in cella: «Messina Denaro non combatte lo Stato. Era uno dritto, ma non ha fatto niente. Io penso che se ne sia andato all’estero». Questa frase detta dal boss, è pesante come gli anni della latitanza di Matteo Messina Denaro. Forse Riina aveva notizie sul possibile patto tra il boss castelvetranese e pezzi delle Istituzioni , per salvarsi il culo? Insomma l’ipotesi che Matteo Messina Denaro avesse tradito il patto con Riina, abbandonando i bisogni dei capi mafia in carcere e in libertà, non è da scartare
Troppi i “forse” e poche le verità accertate
Riina sapeva di essere ascoltato. Poteva immaginare anche possibili strumentalizzazioni. Di essere intercettato nei suoi colloqui all’«ora d’aria», lo sapeva e confidava che quel compagno di detenzione così insistente nel suggerirgli argomenti di discussione, avrebbe poi trasmesso all’esterno le sue «rivelazioni». Riina era un ortodosso della mafia e non poteva accettare i comportamenti “moderni” di Messina Denaro. Un capo mafia non trascura gli amici che hanno bisogno, al costo di farsi arrestare o mangiare pane e cipolla. La lezione, se così si può chiamare, di Riina è semplice
Sono passaggi importanti
Tuttavia- secondo un noto giornalista del Corriere della Sera- l’aspetto più rilevante, qualunque fosse il grado di consapevolezza del boss sulle microspie che lo stavano registrando, è probabilmente quello che coinvolge i rapporti interni a Cosa nostra. In primo luogo i giudizi del Capo corleonese sugli altri padrini, e in particolare su uno, il super-latitante (tra i responsabili delle stragi in continente del 1993 e su quelle siciliane del 1992) considerato il suo successore al vertice della mafia del terzo millennio: Matteo Messina Denaro, il primo ricercato d’Italia, uccel di bosco da quasi 30 anni.
Magistrati e investigatori hanno lavorato e lavorano senza sosta alla sua cattura, convinti che questo boss spietato sia , in provincia di Trapani e sia ancora operativo nel territorio. Nei colloqui intercettati nel 2013 nel cortile del carcere milanese di Opera, Riina esprime opinioni e considerazioni tutt’altro che lusinghiere sull’ex ragazzo affidatogli dall’amico di sempre , Ciccio Messina Denaro. Quelle valutazioni davano l’impressione che, Riina , non riconoscesse più Messina Denaro , a causa del suo “abbandono” . Lo giudica negligente nei confronti delle cosche territoriali. In modo subliminale, dice apertamente che Messina Denaro, incalzato dalle inchieste sul suo clan, abbia abdicato per non farsi fottere, mandando tutti allo sbaraglio. A dirlo, non è l’ultimo cretino che parla di mafia senza neanche sapere cosa sia. Secondo Riina, Messina Denaro già nel 2013 aveva capito l’antifona e come si dice “pi peddi e peddi” ha pensato di salvare la sua . Di certo Riina sapeva delle montagne di soldi nelle mani del boss castelvetranese, frutto dei grandi affari compiuti dalla famiglia castelvetranese dal terremoto in poi. Del resto fino al sequestro di Giuseppe Grigoli, avvenuto nel 2007 ai Messina Denaro , ne hanno dato spazio per arricchirsi. E come dice Riina, anche con le pale eoliche, almeno fino al 2013
Riina lo rimprovera
Il 30 ottobre 2013, Riina quasi si rammarica di quello che sta per affermare, ma poi non si contiene: «A me dispiace dirlo questo… questo signor Messina (cioè proprio lui, Matteo Messina Denaro, ndr ), questo che fa il latitante, che fa questi pali… queste…». Lorusso gli viene subito in soccorso: «Pali eolici», riferendosi agli investimenti del boss trapanese nelle energie alternative svelati da inchieste giudiziarie, notizie di stampa e trasmissioni televisive. E Riina riprende: «Eolici… i pali della luce… se la potrebbe mettere nel…» e giù espressioni volgari.
Poi prosegue: «Questo si sente di comandare, si sente di fare luce dovunque, fa pali per prendere soldi, ma non si interessa di… Pensa solo a se stesso“. Lo accusa in sostanza il Corleonese di abbandono; non dà più affidamento dal punto di vista dell’organizzazione mafiosa: «Se ci fosse suo padre buonanima (il boss «Ciccio» Messina Denaro, ndr ), un bel cristiano, che ha fatto tanti anni di capomandamento a Castelvetrano, a lui gli ho dato la possibilità di muoversi libero». Ecco la precisazione che rinforza il ragionamento delle parole non dette a caso. Infatti chi legge le carte processuali e di pentiti seri e osserva i fatti, dal punto di vista investigativo, con correttezza e senso della verità, sa bene che il vero potere mafioso ai Messina Denaro è stato dato da Riina tramite don Ciccio già nei primi anni 80. Come dicono i pentiti affidabili, Matteo Messina Denaro, non fu neanche “punciutu”. Venne sdoganato dalla “super cosa”. Un organo paramafioso, dove probabilmente c’erano dentro servizi deviati e uomini delle istituzioni e mafiosi “moderni”. Un organo di cui poco si è saputo.
Riina fa le dovute distinzioni
Matteo invece non somiglia al padre. Lui stesso lo ha cresciuto, sostiene Riina, e all’inizio prometteva bene. Ma poi ha preso un’altra strada: «Questo figlio lo ha dato a me per farne quello ne dovevo fare. E’ stato qualche 4 o 5 anni con me, impara bene, minchia, tutto in una volta…. Si è messo a fare la luce… E finì, e finì… Fa luce! (…) E a noi ci tengono in galera, sempre in galera, però quando siamo liberi li dobbiamo ammazzare».
Il messaggio di Riina è molto chiaro: Messina Denaro si è interessato solo ai suoi affari e non ha dedicato il suo tempo ai problemi delle cosche. Ecco il punto importante. Anche Teresa Principato, nelle recenti dichiarazioni , ha lo evidenziato :” Messina Denaro è un boss atipico“. Lontano dai tradizionali boss che volevano presidiare il territorio sempre e comunque. Matteo Messina Denaro è anche un capo mafia “raccomandato” che ha saputo sfruttare la luce mafiosa del padre per non finire ammazzato dai corleonesi. Uccidendo e partecipando alle stragi , si fece mettere i gradi da Riina. Ma era sempre il padre a garantire.
La scomunica del Capo Riina sembra netta, anche alla luce della considerazione che segue: fuori dal carcere non c’è più nessuno deciso a continuare la guerra allo Stato che lui aveva cominciato. «Se ci fosse stato qualche altro avrebbe continuato – dice Riina -. E non hanno continuato, e non hanno intenzione di continuare». A cominciare dall’ex ragazzo di Castelvetrano, di cui ha perso il controllo: «Una persona responsabile ce l’ho – spiega il 4 settembre 2013 – e sarebbe Messina Denaro, però che cosa per ora questo, che io non so più niente». E in un’altra conversazione, due settimane più tardi: «Potrebbe essere pure all’estero… L’unico ragazzo che poteva fare qualcosa perché era dritto… Non ha fatto niente… un carabiniere… io penso che se n’è andato all’estero». Come un vero capomafia non dovrebbe fare. Vero o falso che sia, Totò Riina ha sconfessato il suo presunto erede. Non ha fatto nulla per proteggere e aiutare i mafiosi finiti in malora per colpa sua. L’accusa è molto pesante. Checché ne pensi l’interessato, il popolo di Cosa nostra – o quel che ne resta – era avvisato già dal 2013 dal capo dei capi. Si potrebbe anche supporre che Messina Denaro, apprese le accuse da Riina, non avesse più solo paura dei Carabinieri ma anche degli stessi amici del capo corleonese. La mafia non ama i tradimenti
Fonte: Corriere della Sera