Dall’incontro con Berlusconi ai rapporti col Quirinale, fino agli scontri per le nomine e mancate designazioni di Gratteri e Di Matteo. In un libro-intervista con Alessandro Sallusti, l’ex vertice dell’Anm illustra “Il sistema”
“Esistono tanti Palamara quanti ne servono per gestire con successo situazioni complesse e delicate. Del resto esistono anche due magistrature e due giustizie, il mio compito in quel momento era di tenerle insieme”. I cultori del diritto e, molto più probabilmente, gli studenti di Giurisprudenza salteranno dalla sedia a leggere queste parole. Eppure, nella risposta che Luca Palamara dà ad Alessandro Sallusti nel libro “Il sistema. Potere, politica, affari: storia segreta della magistratura italiana”, uscito oggi ed edito da Rizzoli, è sintetizzato il meccanismo che, l’ex presidente dell’Anm è pronto a giurarci, ha caratterizzato gli ultimi decenni di storia della magistratura. Potere che si intreccia con altro potere, sempre protagonista delle vicende più salienti che hanno attraversato, e sconvolto, l’Italia.
Palamara non veste più la toga dal 9 ottobre 2020. Dal giorno in cui il Csm, di cui lui aveva fatto parte dal 2014 al 2018, lo ha radiato. Una deliberazione che è arrivata un anno e mezzo dopo l’emersione di quelli che sono passati alla cronaca come I fatti dell’hotel Champagne. Quando cioè, la notte tra l′8 e il 9 maggio 2019, Palamara e cinque consiglieri del Csm si incontravano con Luca Lotti e Cosimo Ferri per stabilire chi avrebbe dovuto essere il nuovo capo della procura di Roma. Il successore di Giuseppe Pignatone. Le intercettazioni – captate dal trojan inoculato nel cellulare di Luca Palamara che era sotto inchiesta per una vicenda di presunta corruzione con l’imprenditore suo amico Fabrizio Centofanti – hanno suscitato lo sdegno dell’opinione pubblica. Palamara è a processo a Perugia, è stato espulso dall’Anm e, dicevamo, ha dovuto lasciare il suo lavoro. Ma di quel sistema che racconta per filo e per segno nelle pagine del libro era uno dei vertici. Non il solo attore.
Ed eccoli gli attori, elencati uno a uno da Palamara: sono i suoi colleghi, della sua Unicost ma anche di altre compagini, come Magistratura democratica che definisce “embrione del sistema”, ma anche politici. Una scacchiera in cui ognuno gioca un ruolo preciso. Guai a sbagliare mossa, guai a rompere il sistema.
L’ex magistrato, già vertice dell’Anm, ricostruisce meticolosamente la sua opera di leader delle nomine, di grande mediatore sempre attento (quando era all’Anm) a condividere le sue mosse con il Quirinale. Non si assolve Palamara – non lo potrebbe fare, ma c’è da scommetterci che non ne abbia neanche voglia – ma ripercorre per filo e per segno quel pezzo di storia che ha vissuto da grande protagonista.
E se c’è qualcuno che crede che si tratti solo di beghe tra toghe si sbaglia di grosso. La storia che attraversa Palamara è quella dei processi a Silvio Berlusconi, del trasferimento di de Magistris dopo un’inchiesta “scomoda”, delle vicende giudiziarie della famiglia Renzi. Si arriva a tempi recentissimi, al caso Diciotti, che vide Salvini scontrarsi con il pm di Agrigento Luigi Patronaggio, alla mancata nomina di Nicola Gratteri a ministro della Giustizia nel 2014. Dovuta, sostiene Palamara, al pressing che sul presidente della Repubblica Giorgio Napolitano fecero i procuratori più importanti i capicorrente. C’è poi un riferimento al dietrofront di Alfonso Bonafede che ha promesso il vertice del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria a Nino Di Matteo salvo poi ripensarci il giorno dopo. Non per volere della mafia, come aveva adombrato qualcuno ma, sostiene sempre Palamara, per la moral suasion di alcuni magistrati.
Nel mezzo di questi tasselli di storia giudiziaria d’Italia, il ruolo di tanti grandi nomi della magistratura, da Giuseppe Pignatone a Giovanni Salvi. Ne ha incontrati molti Palamara. E più di qualcuno ha chiesto il suo aiuto.
Nel libro ci sono vicende che l’ex pm della procura di Roma può ricostruire punto per punto, documenti (e chat) alla mano. Altri assunti invece, per sua stessa ammissione, sono frutto di deduzioni. Che probabilmente nei prossimi giorni qualcuno si affretterà a smentire. A torto o a ragione. Quel che è certo è che se la magistratura sta davvero tentando di risorgere dalle macerie del “caos procure”, prima di archiviare tutto nel cassetto della storia, dovrà fare i conti con gli episodi raccontati in questo libro. Uno a uno.
L’incontro con Berlusconi
Palamara, lo ricorderanno in molti, è stato ai vertici dell’Associazione nazionale magistrati nei tempi dei processi a Silvio Berlusconi. I due si incontrarono una volta. Fu l’ex premier a cercarlo. L’incontro avvenne a palazzo Grazioli. Ci fu cordialità, ma non feeling: da un lato c’era il leader dell’Anm, pronto a difendere – molte volte, sostiene lui, solo per non far saltare “il sistema” – le ragioni delle toghe contro gli attacchi del vertice di Forza Italia. Dall’altra c’era Berlusconi, protagonista di varie vicende giudiziarie, che parlava della necessità di “un nuovo corso nei rapporti tra politica e magistratura”. Ma, in cuor suo, immaginava non potesse accadere.
I riferimenti a Berlusconi nel libro sono tanti. Si arriva all’appello del caso Ruby. Palamara ricorda il giudice che legge la sentenza di assoluzione e annuncia che, per protestare contro quella decisione, lascia la magistratura. “Siamo alla giustizia che nega la giustizia, Berlusconi non può né deve essere assolto da un legittimo e libero tribunale”, commenta l’ex leader di Unicost. Parole che pronuncia ora. Ai tempi in cui questi fatti accaddero non le avrebbe mai pronunciate.
La sentenza Mediaset e le confessioni di Amedeo Franco
Poco dopo l’incontro con Palamara Berlusconi sarebbe diventato premier ancora. Non lo era più nel 2013, quando arrivò la sentenza sui diritti Mediaset.
Sette anni dopo, nell’estate del 2020 è riemerso dall’oblio un audio. Si sentono le parole di Amedeo Franco, uno dei giudici del collegio che condannò Berlusconi per frode fiscale, in Cassazione. Il verdetto è stato pronunciato e cosa pensa di fare Franco? Va da Berlusconi a scusarsi, a dirgli che era stato vittima di “un plotone di esecuzione” e che la condanna era arrivata perché “c’erano state pressioni da molto in alto”. Verrebbe da dire che un magistrato convinto di una cosa del genere dovrebbe fare una denuncia e non una confessione con il capo cosparso di cenere. Ma non è (solo) questo il punto: già prima che la sentenza fosse resa pubblica, Franco era andato da Palamara. A esprimere le stesse preoccupazioni. E cosa fece l’uomo che di lì a poco sarebbe diventato consigliere del Csm? Niente. “Queste confidenze di Franco oggi, per mia volontà, sono nelle carte processuali che mi riguardano. All’epoca le tenni per me”, risponde l’ex magistrato a Sallusti. Il perché è presto spiegato: bisognava tutelare “il sistema”. Il sistema prima di tutto.
Fonte : Huffpost