Magistrati, ogni anno vengono archiviati 1200 procedimenti disciplinari ma nessuno sa perché
La casta si protegge o protegge
Ogni anno il Procuratore Generale presso la Suprema Corte emette mediamente oltre 1200 provvedimenti d’archiviazione, ma soltanto il ministro della Giustizia può leggerli. L’intervento di Rosario Russo, già sostituto procuratore generale presso la Suprema Corte di Cassazione
Nel dibattito pubblico prevale l’attenzione per le indagini penali che coinvolgono i magistrati, ma in realtà sono primari gli obblighi disciplinari, la cui osservanza costituisce (non meno della toga) la “corazza” professionale e l’habitus del magistrato.
Chi deve garantire il rispetto della legge da parte dei cittadini è tenuto innanzitutto ad osservare i doveri sommi impostigli dal proprio statuto professionale: “Il magistrato esercita le funzioni attribuitegli con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio e rispet-ta la dignità della persona nell’esercizio delle funzioni” (art. 1 del D. lgs. n. 109 del 2006).
È pressoché impossibile che il giudice possa incorrere in responsabilità civili o penali, qualora abbia osservato i predetti doveri sommi e le altre nome di dettaglio; può avvenire piuttosto che la violazione di prescrizioni disciplinari sia punita in sede propria, senza essere sanzionata in sede penale o civile. Le sanzioni disciplinari, dall’ammonimento alla rimozione, sono disposte dal Csm con un procedimento giurisdizionale, che si conclude con provvedimenti (liberatori o punitivi) accessibili al pubblico. Tale procedimento è attivato dal pg presso la S. C. ovvero dal ministro della Giustizia. A differenza del ministro, che ha facoltà di esercitare l’azione disciplinare, il pg ha il dovere di esercitarla, per prevenire che egli possa agire pro amico vel contra inimicum.
Nel settore penale, essendo obbligatoria l’azione, è il giudice a valutare la richiesta di archiviazione del Pm. Invece, per effetto della riforma Mastella del 2006, ormai il pg decide autonomamente l’archiviazione disciplinare, trasmettendola solo al ministro, che ha la facoltà di agire nell’ambito di una valutazione meramente politica. E talune delle archiviazioni del pg sono particolarmente invasive, giacché l’art. 3 bis del medesimo d. lgs. prevede addirittura che “l’illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza”, così implicitamente presupponendo l’accertamento fattuale sia della violazione disciplinare, sia della sua imputabilità al magistrato indagato.
Al Csm pervengono quindi soltanto le notizie disciplinari discrezionalmente non archiviate dal pg o quelle (poche) archiviate in cui il ministro abbia manifestato espressamente il proprio dissenso (altrimenti presunto).
V’è di più. In sede penale, conclusa l’indagine con l’archiviazione del giudice, essa è normalmente accessibile a chiunque (indagato, denunciante o terzo) ne abbia interesse (art. 116 c.p.p.), essendo venute meno le ragioni della segretezza. In sede disciplinare l’archiviazione del pg è considerata (dalla dottrina, dalle Sezioni Unite e dal Csm) atto amministrativo revocabile, come tale ostensibile a chiunque, in forza del principio fonda-mentale della trasparenza (D. lgs. n. 33/ 2013). Tuttavia, secondo la tesi propugnata in giudizio dal pg e accolta dal Cds con sentenza 6 aprile 2020 n. 2309 (in netto contrasto con lo spirito della sentenza dell’Adunanza Plenaria 2 aprile 2020, n. 10), l’archiviazione del pg è accessibile soltanto al ministro della Giustizia, restando perciò segreta perfino per il magistrato indagato; e ciò (secondo il Cds) in forza di un decreto del ministro, in realtà al più applicabile soltanto ai dipendenti ministeriali non investiti di funzioni giurisdizionali. È un fatto però che di regola, allorché l’autore dell’esposto disciplinare chieda di conoscerne l’esito, il pg risponde che l’indagine è stata archiviata, rifiu-tando l’ostensione della sola motivazione. Talvolta inoltre, sfuggendo al proclamato segreto, è dato leggere in articoli di dottrina giuridica interi stralci della motivazione dell’archiviazione disciplinare.
La rilevanza istituzionale della questione è enorme. Nel periodo 2012-2018 (sette anni) risultano iscritte mediamente ogni anno n. 1380 notizie d’illecito disciplinare. Ogni anno il 91,6% di tali notizie (cioè n. 1264) è stato archiviato dal pg e quindi soltanto per n. 116 di esse è stata esercitata l’azione disciplinare. Consegue che mediamente ogni anno oltre 1260 archiviazioni sono destinate al definitivo oblio, sebbene conoscerne la motivazione è tanto importante quanto apprendere le ragioni (a tutti accessibili) per cui le sanzioni vengono applicate dal Csm. La “casa” della funzione disciplinare, pilastro e primo avamposto della legalità, è dunque velata senza alcuna concreta ragione. Non è così infatti per altre archiviazioni. Si è detto di quella penale (art. 116 c.p.p.); le archiviazioni nei confronti degli avvocati sono d’ufficio notificate al denunciante; anche quelle nei confronti dei magistrati amministrativi sono ostese a chiunque ne abbia interesse. La segretezza delle archiviazioni disciplinari del pg è quindi un inquietante unicum, specialmente a volere considerare che la Corte Costituzionale ha sancito da tempo “l’abbandono di schemi obsoleti, ereditati dalla legislazione anteriore e ancora attivi dopo l’entrata in vigore della Costituzione, imperniati sull’idea, che rimandava ad antichi pregiudizi corporativi, secondo cui la miglior tutela del prestigio dell’ordine giudiziario era racchiusa nel carattere di riservatezza del procedimento disciplinare”, (sent. n. 497/ 2000). Anche il Consiglio Superiore della Magistratura ha sposato il principio generale della trasparenza (delibera del 5.3.2014). Perfino lo stesso pg, presso la S.C. nel suo ultimo intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario, non ha potuto fare a meno di auspicare che “l’esigenza di trasparenza potrebbe, peraltro, essere rafforzata prevedendo l’accessibilità alle massime dei decreti di archiviazione, utile anche a permettere a tutti i magistrati di avere conoscenza degli orientamenti interpretativi della Procura generale ed essa andrà approfondita nel corso del corrente anno”.
Le indagini penali nei confronti di taluni magistrati membri del Csm, coinvolti nell’ultimo scandalo, hanno avuto – o avranno – anche un risvolto disciplinare. Se in qualche caso il pg archiviasse – com’è in suo potere – non ne sapremo mai la ragione; eventuali archiviazioni in sede penale sarebbero invece accessibili. Un vero paradosso, se si considera che, anche in sede disciplinare, per il magistrato indagato l’archiviazione rappresenta l’esito più fausto e ambito, anche rispetto alla sentenza di assoluzione emessa dal Csm o dalle Sezioni Unite (a tutti accessibile).
Negli anfratti procedurali si nasconde raramente Dio, più spesso l’ombra silente del diavolo. Senza una convinta e completa trasparenza dell’archiviazione disciplinare – unica garanzia d’imparziale legalità – è impossibile raddrizzare il “legno storto della giustizia” (per dirla con G. Zagrelbesky) e riconquistare la fiducia dell’utente finale.
Fonte: Formiche R. Russo