In questo articolo riportiamo importanti ricostruzioni giudiziarie degli anni 90 che hanno come cerniera il boss di Castelvetrano , Roma e tutti i collegamenti costruiti dal boss già negli anni 80 e 90 nella capitale. Un altro aspetto inquietante riportato dalle ricostruzioni giudiziarie sta nell’uso del materiale esplosivo usato per le stragi
G. G. quell’amico speciale di Matteo che “si futtiu” 700 milioni di lire in Banca
IL T4 e le stragi :un filo conduttore
Sono due le tipologie di esplosivo utilizzate per confezionare l’esplosivo poi usato per compiere la strage di Capaci: il tritolo di tipo militare e l’altro di tipo civile proveniente dalle cave”. E le stesse sostanze impiegate nell’attentato contro il giudice Giovanni Falcone sono state ritrovate, seppure in quantita’ diverse, anche sulla scena delle stragi successive che scandirono in Italia l’attacco di Cosa Nostra contro lo Stato. Insomma, tra le stragi ,esiste un filo comune: il T4.Tra tutti gli attentati consumati negli anni 80 e 90 si trova questo tipo di esplosivo. Ad affermarlo sono stati diversi consulenti tecnici. Ci sono diversi riscontri in atti processuali Claudio Minero e Marco Vincenti, nell’ambito del processo bis per la strage di Capaci davanti alla Corte d’assise di Caltanissetta. dissero:“Nella composizione dell’esplosivo utilizzato per Capaci, sono state evidenziate – abbondanti tracce di tritolo, tracce di nitrato d’ammonio e poche tracce di nitroglicerina”.
I due consulenti hanno sottolineato che all’epoca “il modo di procedere fu artigianale perche’ era la prima volta che si manifestava un evento di tale portata. Chi intervenne era impreparato a fronteggiare una situazione del genere. Intervennero sul luogo della strage anche delle persone estranee, oltre che diversi esponenti delle forze dell’ordine che raccolsero un buon numero di reperti ma non sufficiente. Il materiale venne repertato in ritardo e inoltre la pioggia caduta la notte successiva alla strage, fu decisiva per ridurre fino a quasi rendere nulla la presenza di nitrato d’ammonio che invece sarebbe stato utilizzato in maniera massiccia”. Minero e Vincenti, hanno chiarito che la loro e’ una consulenza di natura documentale e hanno puntualizzato di essersi avvalsi di altre consulenze elaborate nei processi sugli altri attentati verificatisi in Italia negli anni Novanta. I due periti hanno utilizzato anche dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
ECCO COS’ E’ IL ‘T4′ L’ ESPLOSIVO USATO PER LE STRAGI
L’ esplosivo usato per il massacro delle stragi mafiose è il “T4”, ma parlare di “T4” ha un significato molto generico, perchè di “T4” ne esistono diversi tipi con diverse caratteristiche. La “trimetilentroammina” (questo il nome scientifico) fa parte degli esplosivi nitroderivati ed è conosciuta, oltre che come “T4”, anche come “esogene”, “cyclonite”, “xexogen”, “rdx”. Si ottiene trattando con acido nitrico la esametilnetramina. Molto sensibile, viene impiegata anche come detonatore secondario e, miscelata al cinque per cento con paraffina, per caricare proiettili e bombe. Unita con vaselina prende il nome di “T4 plastico”. Con una consistenza simile a quella dello stucco usato dai vetrai, può essere modellato intorno agli oggetti da distruggere ed è uno degli esplosivi più usati dai militari per le demolizioni. Vi sono poi miscele colabili a base di “T4”. La “tritolite” è composta da “T4” (40-60 per cento) incorporata in tritolo fuso (60-40 per cento).
“L’attentato di Capaci – hanno poi aggiunto i due periti – e’ stato fatto in maniera artigianale. Lo scopo e’ stato comunque raggiunto. Non c’era la perfezione ma il tutto e’ stato compensato con la gran quantita’ di esplosivo utilizzato. Nell’incertezza hanno collocato una carica molto alta. Gli stessi collaboratori si sono stupiti del botto che ha fatto. Con quella gran quantità di esplosivo erano certi che avrebbero fatto saltare in aria tutta l’autostrada”. L’esplosivo utilizzato per la strage di Capaci “era tutto in polvere.
Il pescatore e l’esplosivo
L’esplosivo recuperato da Cosimo D’Amato pescatore e fornito alla mafia sarebbe stato utilizzato per tutte le stragi del 1992, 1993 e 1994: quella di Capaci, quella di via D’Amelio, quelle di Roma, Firenze e Milano. Lo ha detto il procuratore Dda di Firenze Giuseppe Quattrocchi. Per gli attentati sarebbero stati utilizzati fra i 1.280 e i “1.340 chili di tritolo mescolato a T4 e pentrite” ha spiegato Quattrocchi. “E’ stata decisiva la collaborazione Gaspare Spatuzza che – ha proseguito il procuratore – nel febbraio 2012 spiegò che il prelievo dell’esplosivo si faceva tramite “Cosimo di Porticello che è la persona di nostra responsabilità” spiegava il pentito”.
“L’ammiraglio Vassallo, ha spiegato al procuratore della Dda fiorentina – che si tratta di bombe di profondità lanciate dagli aerei contro i sottomarini nella seconda guerra mondiale. Queste bombe giacevano sul fondo del mare e si infilavano nelle reti di pesca a strascico dei pescatori”. Spesso piccole quantità di esplosivo venivano utilizzate proprio per la pesca. La mafia quando aveva bisogno dell’esplosivo “si rivolgeva proprio a un pescatore, Cosimo d’Ambrosio” ha chiuso il procuratore.
Antonio Scarano nella capitale e i rapporti con Matteo Messina Denaro che sapeva del T4 conservato a Roma
Quintali della miscela T4, pentrite e tritolo, la stessa che venne usata per le stragi a Capaci e in via D’ Amelio dove furono uccisi Falcone e Borsellino, sono stati custoditi per due mesi in un palazzo di via Ostiense. La miscela esplosiva è la stessa usata anche per gli attentati a Firenze e Milano. Non è escluso che la pista “romana” abbia in se anche importanti riscontri anche per queste inchieste. Nella sentenza di Firenze del 1997 si parla di collegamenti tra Antonio Scarano(calabrese pluripregiudicato ) e la mafia di Partanna e del Belice. Messina Denaro sarebbe entrato in contatto con Scarano tramite un certo G. G. un enologo che collaborò con la cantina Enologica Castelseggio( dove dentro c’era don Ciccio Messina Denaro con altri imprenditori locali) tra il 1984 e il 1988 e fu anche dipendente della Banca Sicula. Dall’istituto ,( in mano ai d’Alì’ fino al al dicembre del 1991) ,fu cacciato nel 1992, quando entra nel pacchetto azionario la COMIT, a causa di un ammanco di oltre 700 milioni di Lire. Una cifra spaventosa per l’epoca. Che fine fecero quei soldi? Il furto fu scoperto nel 1992 ma di certo, era già avvenuto negli anni precedenti. Che ci faceva G. G. dentro la Banca? Un enologo che sapeva far di conto
Dopo il “prelievo” dell’ingente somma , G. G. si rese irreperibile per
alcuni mesi, trasferendosi a Roma, nel timore che venissero emessi nei suoi confronti provvedimenti restrittivi che , stranamente , non vennero mai formulati. Insomma, nessuna inchiesta avvenne per questo spaventoso furto di denaro. Un impiegato alla Lupin . Ruba senza lasciare prove.
Questo aspetto investigativo è stato ben fotografato dalle sentenze di Firenze sulle stragi .
Messina Denaro e suoi rapporti “speciali” romani
Il suo trasferimento a Roma fu accertato attraverso l’esame dei tabulati relativi al telefono cellulare in suo possesso. Infatti, precisò al processo di Firenze, il commissario Bonanno, alla fine del 1993 venne svolta una complessa indagine da parte del Commissariato di Castelvetrano diretta alla cattura di Matteo Messina Denaro. Nell’ambito di questa
indagine fu individuato un telefono cellulare in uso a G. G. , il cui traffico venne esaminato, nonché tre telefoni cellulari (intestati rispettivamente a dei prestanomi di Castelvetrano e in uso a Matteo Messina Denaro dal
1991 al 1993.
A Roma G. G. ebbe contatti soprattutto con Massimino Alfio, suo intimo amico di Campobello di Mazara e sono stati compagni di scuola.
All’epoca (nel 1992-93) anche il Massimino era a Roma, dove dirigeva il Centro Commerciale Le Torri.
L’esame dei tabulati del cellulare di G. G. , rivelò che questi contattò spesso il Massimino, sia presso le utenze del Centro Commerciale che presso l’abitazione di casa, intestata alla madre .
Lo stesso emerse dalle intercettazioni disposte, all’epoca, sui telefoni di Massimino.
L’esame del traffico cellulare relativo a G. G. e le intercettazioni sui telefoni del Massimino rivelarono che i due erano in contatto, in quel periodo, anche con vari esponenti della cosca mafiosa di Partanna
Ulteriori indagini su G. G. che era sposato con L.F., originaria di Partanna, evidenziarono che gestiva, tra l’altro, varie attività commerciale in Sicilia,. Una di queste ,allo svincolo autostradale per Castelvetrano, proprio all’uscita dell’autostrada. Gestiva, con la collaborazione di altri, secondo i magistrati, una grande area di servizio, attrezzata con distributore di benzina, auto lavaggio e bar tavola calda e di
cui G. G. era il dominus. I soldi della banca dovevano fruttare
L’AVVICINAMENTO A MATTEO MESSINA DENARO.
Sinteticamente, Scarano al Processo di Firenze dirà che il suo avvicinamento a Matteo Messina Denaro iniziò in carcere con la conoscenza di un noto mafioso di Partanna ucciso nella guerra di mafia e fu mediato da Vincenzo Pandolfo. I suoi contatti con Matteo Messina Denaro avvennero poi sempre tramite, G. G.
Di questi strani rapporti romani di Matteo Messina Denaro che iniziano prima della stagione delle stragi,nel luglio del 1996, ne parla molto bene il pentito Sinacori, il quale confermò, per averlo appreso direttamente da Matteo Messina Denaro alla fine del 1991, che Scarano era a “loro” vicino, avendo “fatto degli omicidi per conto dei
partannesi”. Il Messina Denaro gli specificò anche di aver conosciuto Scarano “tramite i boss di Partanna
di Partanna”.
Di Pandolfo ha parlato anche il collaboratore Patti Antonio per dire che era molto amico di Matteo Messina.
L’indicazione della persona G. G. non è solo il risultato di indagini di Polizia e Carabinieri . Il ruolo di questo ex funzionario di Banca che si è permesso di rubare 700 milioni di Lire,( una cifra equivalente ad una somma prossima a 20 milioni di Euro attuali) rimane molto nell’ombra. Uno che ebbe un ruolo molto determinante nei rapporti tra esponenti mafiosi e ndraghetisti romani e la mafia siciliana. Un colletto bianco che di certo aveva anche altre frequentazioni. I pentiti ritenuti credibili hanno sottolineato il ruolo di G. G. .Uno di cui “lu siccu” si fidava. Messina Denaro aveva già dagli anni 80 intense relazioni romane. Sempre per il tramite tra Scarano e Matteo Messina Denaro , la mafia siciliana a Roma, aveva una specie di “covo operativo” . Il collegamento operativo ha trovato inequivoca conferma nelle acquisizioni probatorie.
Si è visto, infatti, che G.G. è proprio una delle prime persone che venne fuori quando, alla fine del 1993, furono intraprese le ricerche di Matteo Messina Denaro, giacché a lui portò senz’altro l’analisi del
traffico telefonico . Inoltre, di questa vicinanza (non solo, stavolta, a Messina Denaro, ma a tutti gli altri personaggi finora
nominati) ha parlato un collaboratore di sicura affidabilità, come Geraci Francesco.
“Solo la verità ci rende liberi“
Fonti: documenti giudiziari