Il 22 gennaio del 1994 venne sventato a Trapani, grazie a una serie di intercettazioni, un attentato al giudice Luca Pistorelli, titolare di inchieste su mafia e massoneria, servizi deviati e Gladio. Un fatto gravissimo e che sarebbe stato programmato per zittire un giudice definito dal presidente Cossiga: “ragazzino”. Un fatto, stranamente dimenticato da molti ma non dal giudice Imposimato
Pistorelli venne salvato dal cambiamento delle condizioni politiche nel Paese o da qualcuno che temeva un contraccolpo troppo pesante . Sulla vicenda pochi hanno cercato la verità e in parte lo ha fatto il giudice Ferdinando Imposimato che sulla vicenda scrisse in maniera ampia.
Pistorelli , arriva a Trapani quando aveva 29 anni e con le stragi del 1992 appena compiute. Fu subito colpito dal clima pesante che si respirava in città e al Tribunale di Trapani. Avvertì subito quella calma apparente che puzza di marcio e di falso. Aveva deciso di mettere le mani sul complicato intreccio che legava da decenni mafia, massoneria trapanese, servizi deviati, politica e gladio. Il giovane giudice voleva aprire le porte ai segreti contenuti in un pericoloso anfratto fatto di veleni potenti e che avevano già provocato tante morti e depistaggi. Era il luglio del 1994 quando un pentito gli confidò che era pronto un bazooka per farlo saltare in aria. Cosa purtroppo già avvenuta a Trapani con il giudice Palermo a Pizzo Lungo. Un metodo quello delle bombe già ben collaudato a Trapani e che di certo non poteva interessare solo i mafiosi. Il covo del potere era molto più complesso. La vicenda è legata ad un periodo drammatico , ancora misterioso e che doveva per forza sentire la presenza di Matteo Messina Denaro . Suo padre già degli anni 80 era a capo dell’intero mandamento mafioso di Trapani e provincia. Don Ciccio era il riferimento di Riina e se tutto doveva passare dall’approvazione del capo mandamento anche questa vicenda lo riguardava
Imposimato scrive prima di morire una sua ricostruzione
A partire dall’autunno del 1989 o subito dopo, il mafioso Francesco Di Carlo , ex capo mafia di Altofonte, detenuto nel carcere di Full Sutton di Londra per traffico di droga – condannato nel 1987 insieme a cinque complici per aver importato in Inghilterra eroina e cannabis per un valore di 78 milioni di sterline pari a 180 miliardi di lire dell’epoca – raccontò ai magistrati palermitani di avere ricevuto diverse visite di agenti dei servizi italiani e stranieri.
La prima visita avvenne dopo l’attentato dell’Addaura del giugno 1989. Raccontò Di Carlo che agenti segreti si erano detti interessati alla eliminazione di Falcone.
Alcuni agenti parlavano in italiano con accento inglese. E chiesero il nome di un esperto in esplosivi da usare contro Falcone. Di Carlo li aveva indirizzati al cugino Nino Gioè, amico di Pietro Rampulla e confidente del generale Giuseppe Santovito, capo del SISMI.
( Fonte: F. Imposimato, La Repubblica delle stragi impunite Ed . Newton Compton ).
Di Carlo fece il nome di Arnaldo la Barbera, uomo dei servizi segreti e capo della Squadra Mobile di Palermo, colui che sarebbe stato l’artefice della falsa pista del pentito Vincenzo Scarantino nelle varie inchieste giudiziarie sviluppate sulla strage di via D’Amelio, per la prima volta nel 2014.
Probabilmente un Fiat Ducato, circondato da sei persone, operai che erano nel luogo esatto che sarebbe diventato terreno di strage, viene notato dall’ingegner Francesco Naselli Flores,( cognato di un famoso generale dei Carabinieri) , che passa dallo svincolo per Capaci intorno alle ore 12 del 22 maggio. Flores parla di alcune persone che “stendevano cavi”. Le indagini avevano già all’epoca appurato che nessun’azienda aveva ordinato di svolgere lavori nella zona. Eppure quella pista viene abbandonata e il furgone bianco scompare dal luogo della strage: perché? Chi sono quei sei uomini che “stendono cavi”? E cosa facevano veramente?
Tre giorni dopo la strage di Capaci, nel punto in cui erano appostati Giovanni Brusca e i complici, venne trovato un biglietto, << Guasto numero 2 portare assistenza. GUS, via Selci numero 26, via Pacinotti>> sul biglietto era indicato il cellulare 0337/806133. Il numero era in uso a <<Lorenzo Narracci, funzionario del SISDE, servizio segreto democratico>>.
Il GUS era una sigla che significava <<gestione unificata servizi>>. Narracci era vicecapo della struttura informativa di Palermo e lavorava con Bruno Contrada sia a Roma che a Palermo. Il GUS aveva sede in Via in Selci, alle spalle del SID e di fronte al Nucleo Operativo dei carabinieri.
L’ipotesi di una convergenza di interessi di settori deviati dei servizi segreti – scrisse il PM LucaTescaroli nella requisitoria sulla strage di Capaci – viene corroborata dal rinvenimento di questo bigliettino. Quando da chi e per quale motivo è stato fatto trovare in quel sito? >>
Anni dopo , il responsabile del SISDE di Palermo si presentò alla Procura di Caltanissetta. Spiegò che quel biglietto l’aveva dato lui a un collega che l’aveva perso davanti al cratere di Capaci. << Era un appunto sulla riparazione di un cellulare NEC P300 che qualcuno dei miei uomini deve avere perso durante il sopralluogo>>
( Fonte: Biondo e Ranucci, Il Patto, Ed. Chiarelettere p. 273 )
Anni dopo venne rivelato che nel momento dell’esplosione un aereo sorvolava il cielo di Capaci, verosimilmente un Piper : “Si trattava di un aereo di piccole dimensioni, si torna sull’argomento e si citano alcuni fonti secondo le quali il Piper “passava e ripassava continuamente sopra lo svincolo dell’A29″.
In seguito si azzardò un’ipotesi: chi premette il telecomando si sarebbe potuto trovare a bordo di quel piccolo aereo. Diversi testimoni lo videro e del Piper si persero le tracce, tutti i piani di volo degli aeroporti siciliani furono controllati, ma non risultò nulla, niente di niente”.
Ma come ricorda Limiti, esisteva uno scalo impossibile da controllare: quello di Kinisia, nei dintorni di Trapani.Il piccolo aeroporto di Kinisia, infatti, non esisteva ufficialmente anche se in realtà si è scoperto fosse stato utilizzato per diverse operazioni di Gladio. (S. Limiti, Doppio livello, Chiarelettere)
LA DOPPIA BOMBA – “A Capaci c’erano due bombe”. E’ ciò che ha dichiarato e sostiene il PM LucaTescaroli. Una collocata dalla mafia. L’altra sistemata per assicurare la grande esplosione che si è poi effettivamente verificata.
“La tesi del rafforzamento della carica con un innesto di esplosivo gelatinato per usi civili si basa sul rinvenimento di tracce di nitroglicerina che non fa parte di nessuna delle due componenti che costituiscono la carica”. Qualcuno, dunque, avrebbe rafforzato l’esplosivo che era già stato predisposto con altre sostanze. La nitroglicerina, infatti, ha una funzione di potenziante: ha un alto contenuto di energia e un’elevata velocità di detonazione. Insomma, da una parte una bomba preparata dalla mafia. Dall’altra un altro esplosivo aggiunto da qualcun altro. l’ipotesi è questa. Ma chi sarebbe questo qualcun altro?
Il Giudice Imposimato riteneva che la base Gladio di Trapani, denominata Centro Scorpione era attiva.
Giovanni Falcone indagava su Gladio in Sicilia sia incontrando il Giudice Garofalo di Trapani, sia attraverso indagini che lui faceva direttamente in Sicilia ed a Roma.
Che Gladio esistesse in Sicilia emerse da una lunga dichiarazione ai Giudici, resa dal Colonnello Paolo Fornaro che ebbe come suo collaboratore il maresciallo Vincenzo Li Causi originario di Partanna e morto misteriosamente in Africa.Fornaro raccontò che nel corso della ristrutturazione della VII divisione – Gladio SB- il colonnello Piacentini , succeduto nel 1987 alla guida di Gladio, apprese che era <<in corso un potenziamento della strutura SB in Sicilia>>, con una riconversione dei compiti SB in attività informativa a scopo di contrasto del traffico di armi, dell’immigrazione clandestina, e della criminalità organizzata lato sensu>> (Paolo Fornaro 27 maggio 1993 al Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trapani Luca Pistorelli ).
Era prevista la << riconversione dei gladiatori già reclutati e ritenuti idonei per i nuovi compiti, ma anche il potenziamento della struttura non solo con l’ausilio di una rete di esterni, ma con il coinvolgimento di un maggior numero di professionisti.. attraverso colloqui avvenuti nel maggio 1987>>
Di estremo interesse è la partecipazione di Fornaro nel giugno 1986 su ordine del Gen. Paolo Inzerilli, a un programma di addestramento a Furbara tra Roma e Civitavecchia sui velivoli ultraleggeri , anche in forza del fatto che Fornaro era dotato di un brevetto di volo ed aveva una passione per il volo. Venivano usati i deltaplani a motore. I velivoli agivano dietro un aeroclub in Sicilia con qualche base istituita anche a Nepi vicino Viterbo. L’aereo in Trapani era ricoverato presso un garage in via Marino Torre 230.
L’aereo non volò più dopo che in agosto apparvero le notizie di Gladio. L’ultimo volo avvenne nel giugno 1990.
Eppure qualche giorno prima, il 23 maggio 1993, parlando con una giornalista della Stampa, Grignetti, il colonnello Fornaro era stato più temerario e prodigo di notizie Colonnello: <<lo stesso Falcone ha indagato su di noi. L’intera lista dei 622 gladiatori era memorizzata nel suo computer. Ma non appena la nostra organizzazione venne alla luce, il giudice venne a Roma, alla sede del Sismi, e chiese di vedere l’elenco. Non c’era ancora niente di pubblico, in quel momento. Era fine estate 1990, lo scandalo appena esploso, nessuno conosceva le dimensioni della struttura. E così Falcone passò una giornata, con i suoi collaboratori, a spulciare gli elenchi e fare controlli incrociati. Anche lui sospettava. Ma niente. Non c’era niente.»
Fonte: La stampa 23 maggio 1993.
In verità questa notizia non era nota: Falcone era andato a Roma a Forte Braschi. E di fronte alla domanda che Gladio doveva essere usata contro il pericolo di un’invasione da Est, appariva strana la presenza di undici gladiatori in Sicilia, Fornaro ammise «La nostra doveva essere un’organizzazione estesa su tutto il territorio nazionale. E ovviamente il grosso era reclutato a Nord Est, perché lì era il pericolo maggiore. Basta guardare la cartina con la dislocazione dei reparti e quella dei gladiatori. Sennonché questa visione, tutta sbilanciata verso l’Est, è diventata con il tempo superata. Obsoleta. Ci siamo accorti che il Sud era sguarnito.»
Però poi, nel 1987, puntate su Trapani. Quando ormai la minaccia sovietica non esisteva più. O lo Stato maggiore ci credeva ancora? «Chiaro, Gladio com’era stata inventata non serviva più . A Mosca c’era Gorbaciov. Il pericolo era cessato. Però il Nord Africa ci preoccupava più di prima. E poi qualcuno pensò che una struttura come Gladio potesse essere utile contro la malavita organizzata. Cambiarono le direttive. So che una in particolare, del 1988, ordinava al servizio di collaborare con l’Alto commissariato antimafia di Domenico Sica. Fu scelta Trapani. Ma non solo. Anche a Lecce si doveva riattivare un centro. Si sarebbe chiamato Sagittario.»
Insomma, di fronte alla domanda se Gladio << aveva due compiti. Spiare i libici e Cosa Nostra>> la risposta era stata positiva «Esatto. Tra l’altro avevamo il dubbio che le due cose si potessero intersecare. Che Cosa Nostra, come già fa in America, si mettesse ad organizzare l’immigrazione clandestina dai Paesi arabi, la quale magari subisce la spinta dell’integralismo islamico.»
E in pratica che cosa avete fatto?
«Poco o niente. Trovammo un informatore e lo segnalammo per l’eventuale utilizzo di Sica. Intanto avevo preparato una lista di possibili agenti e la diedi a Roma. E’ la procedura: prima li si individua e poi si fa un’indagine. Passano sei mesi. Soltanto se l’indagine va bene, vengono contattati>>
«Mai. Non ho rivelato la mia vera attività a nessuno in Sicilia. Tantomeno a Palermo. Io dovevo lavorare a Trapani, dove avevamo visto che c’era una specialissima “pax mafiosa”. In un anno, appena sette scippi. Ma a venti chilometri di distanza era l’inferno. E poi troppe banche, troppe finanziarie. Mi lasci anche dire, troppe logge massoniche sospette con dentro magistrati e investigatori.»
Il 12 dicembre 1991 venne sentito dal sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trapani dr Franco Messina, il gladiatore, maresciallo Vincenzo Li Causi sul funzionamento della struttura Gladio in Sicilia . Egli disse di essere stato capo centro in un periodo caldo della strategia della tensione. Dal settembre 1987 all’aprile 1990 era stato capo del CAS , centro addestramento speciale, la cui sede in Trapani prendeva il nome di “Scorpione”, ed era in via Virgilio n 123 di Trapani.
Qui aveva un appartamento per uso lavoro. Egli non ebbe difficoltà a dire che il suo compito era di creare << une rete di esterni di CD gladiatori>>
Li Causi disse che la sua guida seguiva a quella del Colonnello Paolo Fornaro.
Li Causi ammise che la sua struttura disponeva di un aereo ultra leggero, un deltaplano a motore, pilotato dal Fornaro che aveva la <<base di decollo e atterraggio in Castelluzzo che era stata appianata a mezzo ruspa>> . Era una base che <<non interferiva per la sua locazione con il traffico aereo nel senso che non veniva captato dai radar in funzione agli aeroporti di Trapani e Palermo>> .
Ma Li Causi disse di non essere <<in grado di riferire lo scopo per cui il centro Scorpione disponesse di detto veivolo ( sic) »
Proseguendo Li Causi aggiunse che la sede di Trapani non era stata voluta da lui ma dal «direttore di Divisione Colonnello Luciano Piacentini».
C’era in programma , secondo le direttive impartite dal Piacentini, la necessità di formare delle reti ciascuna indipendente dall’altra>> Poi Li Causi ammise che << vi sarebbe stato NASCO ( deposito di armi ed esplosivi NATO nda) ovviamente non a conoscenza degli esterni e vi sarebbero state delle esercitazioni in loco, mentre gli addestramenti venivano fatti invece nelle basi di Alghero e a Cerveteri>> ( Li Causi Vincenzo al PM Messina 12 dicembre 1991 presso Procura di Trapani allegata ).
La circostanza rilevante è che l’esplosivo esistente nei NASCO era di tipo militare e di natura particolare; era il famoso T4, non reperibile in commercio, usato nelle stragi di Capaci e via D’Amelio, e, in tutte le altre stragi commesse in precedenza a partire da Piazza Fontana, come da mia (F. Imposimato) interpellanza del 2 maggio 1991 al Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, rimasta senza risposta.
I NASCO conosciuti erano 139 inizialmente dislocati in varie località di Italia. Ma di quelle che erano state indicate ufficialmente non faceva parte il NASCO di Trapani, rimasto occultato , anche se ne aveva parlato Li Causi al magistrato di Trapani.
Molti di essi rimasero ancora attivi dopo la rivelazione di Andreotti al Parlamento dell’agosto 1990 circa la esistenza di Gladio.
Nel gennaio 1992, mentre Cosa Nostra progettava la preparazione delle stragi di Capaci e via D’Amelio, il PM presso la Procura di Trapani, Franco Messina, apprese che il Colonnello Paolo Fornaro, residente a Pantelleria, era divenuto capo del Centro Scorpione di Gladio a Trapani, ove era andato insieme al maresciallo Li Causi , ed insieme fissarono la sede in via Virgilio a Trapani. << Il centro disponeva di due autovetture e di un aereo velivolo ultraleggero>>
Venne creata una associazione di volo che fungeva da copertura. Confermò che avevano trovato il <<terreno per l’atterraggio vicino Castelluzzo, zona che si prestava bene alla bisogna perché era coperta dalle montagne e non intralciava il traffico aereo >> << Tale velivolo – disse Fornaro – consente di volare eludendo il controllo dei radar >> Altra rivelazione fu che era andato ad addestrarsi << Fracasso Maurizio, agente della VII Divisione (Gladio) che per una settimana utilizzò il velivolo >>
A questo punto il provvedimento di Gamberoni aggiungeva <<L’aeromobile di cui aveva la disponibilità fu acquistato con fondi del Sismi e fu costituito un club di volo come copertura per il centro Scorpione. Successivamente l’ultraleggero fu trasformato in idrovolante ( le spese furono sostenute dal Sismi) e trasferito a Pantelleria, ove il Fornaro possedeva una casetta>>. A questo punto entrò in scena il Mar Vincenzo Li Causi , il quale << ha confermato il basso livello di operatività del Centro Scorpione durante i tre anni in cui fu attivo. La sua attività si concentrò essenzialmente nella selezione di nominativi per il reclutamento nell’organizzazione: in tre anni egli studiò la posizione di quindici soggetti e ne segnalò sette o otto>> ( Decreto archiviazione del Giudice A Gamberoni del 1 giugno 2000 in P Mondani e T Sorrentino Chi ha ucciso Pio La Torre Castelvecchi p.143)
Da segnalare che le cose dette da Li Causi erano particolarmente importanti , riferendosi a una attività apparente , priva di senso e una attività reale che aveva altri scopi inconfessabili. E fu per queste rivelazioni che Li Causi probabilmente venne ucciso. Tanto più che il velivolo ultraleggero sembra adattarsi perfettamente a quel piper apparso sui cieli di Capaci il 23 maggio 1992.
In verità il maresciallo Li Causi fece dichiarazioni di eccezionale interesse il 28 giugno 1993 ai magistrati Luca Pistorelli sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di T rapani e Filippo Messana , sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Marsala.Pistorelli nel 1994 doveva saltare in aria. Da chi fu salvato?Fonte: Archivi . Documenti pag. Imposimato