A fare scoppiare il bubbone che sta mettendo in crisi la Lega, è stato ieri il sito americano Buzzfedd che ha pubblicato ampi stralci di alcune registrazioni di una conversazione il cui protagonista sarebbe Gianluca Savoini – uomo molto vicino al ministro Matteo Salvini – avvenuta il 18 ottobre 2018 all’Hotel Metropol di Mosca, quando Savoini con altre cinque persone parla di un possibile accordo che avrebbe dovuto permettere alla Lega di ricevere circa 65 milioni di dollari per finanziare la campagna elettorale per le Europee 2019, provenienti dalla vendita di una mega partita di gasolio russo.
In realtà la vicenda non è del tutto nuova, visto che prima di Buzzfedd a dare notizia di quest’accordo segreto era stato L’Espresso. Intanto, ieri mattina si appresa la notizia che Gianluca Savoini è indagato da parte della procura di Milano, che ha ipotizzato un caso di corruzione internazionale per i presunti fondi ricevuti dalla Lega da parte dei russi.
Russiagate targato USA
Senza entrare nel merito di una vicenda ancora tutta da chiarire e al vaglio della magistratura – con l’Italia che si divide nelle solite tifoserie in maniera acritica – è necessario ricordare come negli Stati Uniti il sospetto di ingerenze da parte della Russia nella campagna elettorale per le elezioni presidenziali negli Stati Uniti d’America del 2016, ha dato luogo a un’indagine che ha messo in serie difficoltà l’amministrazione Trump, portando alla condanna, tra gli altri, di Paul Manafort, ex capo della campagna elettorale di Donald Trump e Rick Gates, collaboratore di Paul Manafort, che ha ammesso di essere colpevole di reati finanziari, avendo aperto insieme a Manafort, quindici conti bancari all’estero, senza averli dichiarati al governo.
Tra i nomi di spicco, anche quello di Michael Thomas Flynn, consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, che ha patteggiato la pena ammettendo di avere mentito all’FBI, e Michael Cohen, all’epoca legale di Trump, che ha ammesso di avere mentito al Congresso.
Nicolas Sarkozy
Ma lasciamo gli Stati Uniti (dove certamente il Russiagate ha avuto pesanti conseguenze e dove lo stesso Trump ne è uscito indenne con quella che in Italia era la formula dell’insufficienza di prove, visto che il Procuratore Speciale Robert Mueller nel dichiarare che non erano emerse prove a carico del presidente americano nel suo rapporto sottolinea come non si sia arrivati comunque alla certezza) per ritornare nella nostra vecchia cara Europa.
Per un caso di finanziamento illecito, da parte dell’allora dittatore libico Muammar Gheddafi, un altro esponente politico è finito sotto inchiesta: l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy!
Sarkozy, secondo l’accusa, avrebbe ottenuto da Gheddafi 5 milioni di euro per finanziare la sua campagna presidenziale. Anche quella vicenda venne portata a conoscenza dell’opinione pubblica, dando luogo all’inchiesta – non ancora conclusa – da parte della magistratura, partendo dalle attività giornalistiche della rivista indipendente di investigazione e opinione francese, Mediapart.
Torniamo ancora una volta ai rapporti Italia-Russia
Già nel 2007, era stato pubblicato su un giornale online (che non esiste più) un articolo a mia firma dal titolo “L’Opec del gas naturale”, nel quale trattavo l’aggiudicazione di alcuni asset della Yukos, che permetteva a società italiane di entrare in gioco nella produzioni di idrocarburi nella penisola dello Yamal.
Nel 2004, Tim Osborne, direttore della holding che raccoglieva i principali azionisti della Yukos, riteneva inevitabile il fallimento della medesima, dato che doveva 27 miliardi di dollari al fisco, dieci dei quali, pensava si potessero coprire con la vendita dalla vendita della Yugansk, uno solo dei rami aziendali.
Per l’acquisto dell’intera società russa Yukos, l’Enel si impegnò a corrispondere circa 852 milioni di dollari. Chi aveva permesso l’acquisto degli asset di Yukos per un valore di gran lunga inferiore a quello reale? Tra l’Italia berlusconiana e la Russia putiniana si era arrivati ad un accordo a doppio binario che andava dal contratto per la produzione di un super jet 100, al settore energetico Eni, (Enel Gazprom), alle commesse a favore di Finmeccanica nel settore delle ferrovie e degli elicotteri e nel settore delle comunicazioni .
Un accordo che riguardava anche la realizzazione del gasdotto South Stream, destinato a portare in Italia il gas dei giacimenti russi, con un ampliamento della capacità da 31 a 47 miliardi di metri cubi di gas. Si consolidava così l’asse Putin-Berlusconi-Gheddafi che andrebbe individuato come la vera causa delle operazioni di guerra da parte degli Stati Uniti (Libia, Primavere Arabe ecc…) che non avrebbero permesso alla Russia di dominare a livello mondiale il settore dell’energia.
Riguardo le intese tra società italiane e russe – e rispettivi governi in mano a politici-imprenditori – basta ricordare l’accordo del 26 aprile 2010, tra ENEL e la russa INTER RAO UES, per la cooperazione in diversi settori, tra cui lo sviluppo congiunto del progetto di una centrale nucleare. Un accordo firmato da Fulvio Conti, Amministratore delegato e Direttore generale di Enel, e Boris Y. Kovalchuk, Acting Chairman del Management Committee di Inter Rao Ues, in occasione dell’incontro tra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin. Un Memorandum of Understanding per la cooperazione nei settori nucleare, costruzione nuovi impianti ed innovazione tecnica, efficienza energetica, distribuzione, sia in Russia che nei paesi dell’Est Europa.
Nulla di nuovo, dunque, rispetto gli accordi e gli interessi che hanno visto accomunati i nostri politici ai russi.
Soltanto l’Italia? No, il nostro Paese sembra sia diventato un grande centro di accoglienza (e non ci riferiamo ai migranti)
Tra gli “ospiti d’onore” del nostro Paese, anche Boris Johnson esponente del Partito Conservatore e sindaco di Londra per due mandati e Segretario di Stato per gli Affari Esteri e del Commonwealth del Governo May fino al 9 luglio 2018.
Boris Johnson, uno dei cosiddetti sovranisti, che aveva appoggiato la campagna referendaria per far uscire il Regno Unito dall’Unione Europea, ospite di politici italiani accomunati dagli stessi ideali? No, e qui sta la sorpresa.
Già prima dell’ottobre 2016, quando da segretario agli esteri venne in Italia come ospite dell’oligarca russo Evgeny Lebedev, Boris Johnson era stato nella villa del suo amico, posta sulle colline umbre. Un bel palazzo del XVII secolo (Palazzo Terranova) vicino Perugia, dove il padrone di casa, circondato dalle sue guardie del corpo (si dice fossero armate) sotto il comando di un ex soldato della SAS, organizzava feste, dal sapore molto berlusconiano, alle quali partecipavano politici, attrici e imprenditori.
Evgeny Lebedev, ricco magnate dei media di origine russa, è figlio di un ex ufficiale del Kgb. Questa “vicinanza” tra il politico inglese e il magnate russo, ha suscitato non poche perplessità, tanto da indurre il Sunday Times a darne notizia evidenziando come tutto questo rappresentasse un rischio per la sicurezza del Paese.
Il padre di Evgeny, oltre ad essere stato un agente del KGB presso l’ambasciata russa a Londra e possessore di diverse quote in varie industrie, aveva quote significative della Gazprom, una delle più importanti compagnie russe che operano nel settore dell’energia.
A simpatizzare per Boris Johnson, auspicando che sia lui il successore della May, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Lo stesso personaggio che ha interesse a destrutturare le Nazioni Unite e al quale si deve l’ingresso nell’organismo internazionale, a pieno titolo, delle multinazionali rappresentate dal WEF.
Ma solo Johnson è stato ospite di Lebedev in Italia? Con i prossimi articoli, vedremo di illustrare meglio chi è il magnate russo, chi sono i suoi amici e chi sono stati i suoi ospiti più illustri…
Gian J. Morici