In passato autista di Totò Riina, il collaboratore di giustizia Gaspare Mutulo ha raccontato ai magistrati che lo hanno interrogato di averlo conosciuto tra gli anni 1964-65, durante un periodo di comune detenzione presso il carcere palermitano dell’Ucciardone.
Allora “u Curtu” era uno dei tre membri, gli altri erano Gaetano Badalamenti e Stefano Bontate, della Commissione Provinciale di Cosa Nostra, l’organismo che dirime le controversie all’interno dell’organizzazione.
Mutolo apparteneva alla famiglia-mandamento di Partanna-Mondello, all’interno della quale erano sorti una serie di dissidi. Contrasti che, di li a poco, avrebbero investito tutta l’organizzazione e che sarebbero sfociati nella seconda guerra di mafia.
Riina consigliò allora a Mutolo, una volta uscito dal carcere, di mettersi sotto la protezione di Saro Riccobono. Tornato in libertà Mutolo eseguì gli ordini di Riina, e nel 1973 venne affiliato ufficialmente dal Riccobono, diventando suo uomo di fiducia.
Le denunce per associazione a delinquere
Sui rapporti con gli uomini delle istituzioni Mutolo ha rivelato come, intorno al 1975, Cosa Nostra temesse in modo particolare le denunce per associazione a delinquere.
Queste infatti volevano dire, per gli uomini dell’organizzazione, l’essere sottoposti a continui arresti in occasione del verificarsi, nel loro mandamento come in tutta la Sicilia, di fatti delittuosi di particolare gravità.
Tali denunce avevano cagionato in quel periodo conseguenze particolarmente negative per gli uomini d’onore che ne erano stati colpiti. Cosa nostra era fermamente decisa ad evitare che le Forze dell’Ordine inoltrassero all’Autorità Giudiziaria denunce di tal genere, denunce ritenute a ragione il punto più temuto dell’attività di contrasto alla mafia.
La Questura di Palermo
Riguardo all’atteggiamento da tenere nei confronti dei rappresentanti delle Forze dell’Ordine, all’interno di Cosa Nostra si erano sviluppate due diverse correnti. Mentre Bontate e Badalamenti erano più propensi ad una linea morbida, che prevedeva l’assoggettamento dei funzionari più pericolosi alle esigenze di Cosa Nostra, la linea di Riina e dei Corleonesi era invece favorevole all’eliminazione fisica.
Cosa nostra aveva allora individuato nei vertici della Questura di Palermo i suoi principali obbiettivi. In particolare il capo della Squadra Mobile e vice Questore aggiunto Boris Giuliano, che verrà ucciso il 21 luglio 1979 da Leoluca Bagarella; il vice capo della Squadra Mobile Tonino De Luca; e Bruno Contrada, che nell’ottobre del 1976 era stato nominato Dirigente del Centro Interprovinciale della Criminalpol della Sicilia Occidentale, e che ricoprì tale incarico fino al gennaio del 1982.
Con l’uccisione di Giuliano, dal luglio 1979 al febbraio 1980, Contrada assumerà temporaneamente la direzione della Squadra Mobile, nonché quella del Nucleo di Polizia Giudiziaria presso la locale Procura della Repubblica.
Mutolo e l’incarico di seguire Contrada
Per ordine di Riccobono Mutolo, assieme a tale Salvatore Micalizzi anche lui uomo d’onore, venne incaricato di controllare gli spostamenti e le abitudini dei tre dirigenti apicali della Questura, in previsione di eventuali azioni nei loro confronti.
A proposito di Contrada Angelo Graziano, uomo d’onore del “Borgo”, aveva riferito a Mutolo di come questi fosse solito frequentare un appartamento situato in via Guido Jung.
La casa era stata messa a disposizione dallo stesso Graziano, attraverso terze persone.
In quell’alcova Contrada era solito recarsi con un’autovettura privata, senza l’assistenza di uomini della scorta. Allora Contrada veniva ritenuto da Cosa nostra un avversario pericoloso, e per questo costantemente pedinato e i suoi spostamenti fatti oggetto di attenzioni.
Anche se di fatto era uomo d’onore, Angelo Graziano era allora un piccolo costruttore, ritenuto a tutti gli effetti “pulito”, non essendo ancora stato associato ufficialmente a Cosa nostra. Nel 1976 Mutolo viene nuovamente arrestato, e nel corso della sua detenzione non ha più modo di occuparsi della sorveglianza sui funzionari della Questura.
Quando tra il febbraio ed il maggio 1981 Mutolo viene scarcerato, viene a sapere direttamente dalla voce di Riccobono di come Contrada fosse ormai a disposizione di Cosa nostra.
La circostanza precisa nella quale Mutolo apprese tale fatto era dovuta al suo circolare in quel periodo a bordo di auto sportive di grossa cilindrata. In quell’ occasione Riccobono gli disse che, se fosse stato fermato dalla Polizia e portato in Questura, non si sarebbe dovuto preoccupare che “tanto c’era il dott. Contrada”.
Le “soffiate” a Riccobono
Riccobono, poi, glinarro’ di come Contrada fosse diventato “amico”, e di come per ben tre volte durante la sua latitanza (tra gli anni 1977-80) questi lo avesse avvisato di controlli nei suoi confronti, da parte della polizia, per il tramite del suo avvocato.
In tre diverse occasioni dunque, in altrettante distinte abitazioni, via Don Orione, via Guido Jung e via Ammiraglio Rizzo, il boss Rosario Riccobono aveva potuto sottrarsi ad operazioni di polizia condotte su di lui, grazie alle soffiate del Contrada, evitando così la cattura.
In seguito Riccobono abbandonerà quel mandamento, che all’epoca era gestito dalla sua organizzazione, per nascondersi in quello di pertinenza dell’uomo d’onore Francesco Madonia.
Riccobono era stato talmente infastidito di dover cambiare tre appartamenti da essersi fatto l’opinione che vi fosse un informatore che seguiva i suoi spostamenti. Per saperne di più Riccobono si era deciso ad incontrare proprio il Contrada, ma quest’ultimo si era rifiutato di riferirgli il nome del confidente, nel timore ragionevole che il Riccobono lo facesse poi eliminare.
Bontate e il conte Cassina
Mutolo ha riferito inoltre di come Riccobono gli avesse confidato che ad avvicinare per primo il Contrada fosse stato Stefano Bontate. Questi, essendo favorevole alla linea trattativista, aveva avvicinato Contrada attraverso due personaggi. Si trattava in particolare del conte Arturo Cassina, già in contatto con Bontate per avere assunto nella sua organizzazione Giovanni Teresi, sotto-capo della famiglia mafiosa dei Bontate; e del dott. Pietro Purpi, dirigente del 2° distretto di Polizia di via Roma.
La conoscenza del Contrada, dunque, principiata grazie ad un’iniziativa del Bontate, sia era in seguito estesa anche al Riccobono, e successivamente anche a Salvatore Inzerillo, a Totò Scaglione, a Michele Greco e a Salvatore Riina.
I contatti con il conte Cassina Bontate li aveva instaurati a seguito del rapimento del di lui figlio, allora uno degli imprenditori più importanti di Palermo. Dopo quella vicenda Cassina aveva chiesto e ottenuto dal Bontate la sua protezione.
In effetti la villa del Cassina era situata all’interno del mandamento mafioso di Villagrazia, posto sotto la supervisione del Bontate. Come accennato, in forza di tale protezione Cassina aveva assunto nella sua azienda il Teresi, soprannominato “u pacchiuni”, oltre a tale “Enzuccio” Sutera, uomo d’onore della famiglia Partanna-Mondello, impiegato presso l’azienda del figlio del Cassina.
In entrambe i casi si trattava di assunzioni fittizie, legate al rapporto di protezione offerto al Cassina dal Bontate.
Mutolo ha raccontato, poi, di come la conoscenza tra il Contrada ed il Cassina fosse legata alla loro comune appartenenza ad una consorteria, “una specie di massoneria” istituita presso Monreale e denominata ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro.
Riccobono e la grazia al cugino di Mutolo
Mutolo ha poi citato altre due episodi sempre relativi al Contrada; il primo riguardante un regalo di 15 milioni di lire, stanziate da lui e dal Riccobono per l’acquisto di un’auto Alfa Romeo da regalare ad un’amica del Contrada.
E un secondo episodio relativo ad un cugino del Mutolo, tale Gaetano Siracusa imprenditore edile. Questi, negli anni 1974-75, dopo avere costruito una palazzina in via Ammiraglio Cagni n.23, aveva subito una grave intimidazione, tale da impedirgli la prosecuzione dei lavori.
Siracusa aveva quindi denunciato in via confidenziale al Contrada le minacce subite, ed il Contrada aveva a sua volta riferito l’informazione al Riccobono. Quest’ultimo aveva impedito che Siracusa venisse eliminato solo perché cugino di Mutolo.
Ma non erano solo i canali informativi aperti tra Contrada e diversi boss mafiosi a contraddistinguere la collaborazione del dirigente della Questura di Palermo con Cosa nostra.
Mutolo ebbe infatti modo di rendersi conto di come il Riccobono, malgrado fosse ricercato dalle Forze dell’Ordine, potesse non solo girare liberamente per Palermo a bordo della sua auto, ma frequentare tranquillamente i locali pubblici della città.
Come il ristorante Sympathy di Mondello o da Settimio a Monreale, posti nei quali Riccobono era stato accompagnato dallo stesso Mutolo. Ed inoltre di come il boss avesse modo di svolgere tranquillamente i suoi traffici, godendo di una piena libertà di movimento.
La perquisizione di Cassarà
A testimonianza di come, durante gli anni ’80, all’interno di Cosa nostra la circostanza che Bruno Contrada fosse “a disposizione” costituisse oramai fatto acclarato, Mutolo narra altri due episodi.
Nel 1982 Mutolo subisce una perquisizione presso la propria abitazione, da parte della Questura di Palermo. Solo per poco quell’attività non aveva permesso agli agenti di scoprire un grosso carico di eroina nascosto all’interno di due valige alloggiate nella sua auto.
L’ auto era parcheggiata all’interno del suo garage. Stranamente, infatti, tale garage non era stato controllato. Successivamente, Mutolo, lamentandosi con gli altri mafiosi coinvolti in quel traffico, i vari Gaetano Corallo, Greco detto “Scarpa”, Salvatore Micalizzi, Vincenzo Galatolo e Pino Savoca, aveva saputo di come quella perquisizione fosse stata ordinata in gran segreto dal dott. Cassarà, e che per tale ragione il Contrada non aveva potuto avvisare in anticipo.
Le accuse in aula del cognato di Mutolo
L’altro episodio rivelato dal Mutolo si riferisce ad un suo colloquio con l’uomo d’onore Antonino Porcelli, nel corso di un periodo di comune detenzione presso il carcere di Palermo.
Il colloquio aveva avuto come oggetto la collaborazione del cognato di Mutolo, tale Vincenzo De Caro. Quest’ultimo, pur non essendo uomo d’onore, era a conoscenza di informazioni rilevanti per la sicurezza di Cosa nostra. Porcelli disse a Mutolo, mentre si trovavano in celle adiacenti nel corso di un processo, che De Caro aveva accusato in aula tutti i mafiosi di essere delatori della Polizia, quando invece era Contrada a fare loro dei favori.
Fin dall’inizio della sua collaborazione (1991) Mutolo ha riferito dei rapporti tra Cosa nostra ed alcuni politici, industriali, magistrati e funzionari delle Forze dell’Ordine. Il primo verbale rilasciato su Contrada è datato ottobre 1992. La collaborazione di Mutolo ha inizio nel 1991, a seguito dell’ eliminazione del suo capo Saro Riccobono e di quasi tutti i suoi uomini appartenenti alla famiglia Partanna-Mondello.
Mutolo decide di collaborare avendo saputo che i corleonesi avevano intenzione di eliminare anche lui. E racconta di avere contattato Giovanni Falcone, attraverso il suo avvocato, quando questi era già stato nominato direttore generale degli Affari Penali.
Solo quando incontrerà Falcone Mutolo saprà che il motivo per il quale il giudice non lo aveva mai cercato era dovuto al fatto che il telegramma che gli aveva mandato, questi, non lo aveva mai ricevuto.
Mutolo pretende di parlare solo con Falcone, sapendo che Cosa Nostra voleva uccidere anche lui. Falcone, che non è più magistrato inquirente, si accorda con Mutolo per far raccogliere la sua testimonianza dall’allora procuratore capo di Firenze Pierluigi Vigna. Il traffico di eroina al quale Mutolo aveva partecipato aveva avuto infatti come teatro anche la Toscana.
Per i crimini commessi in Sicilia, invece, le sue rivelazioni vennero raccolte dal capo della procura di Marsala, Paolo Borsellino.
La credibilità di Mutolo
I magistrati che hanno interrogato il collaboratore Gaspare Mutolo hanno giudicato le sue dichiarazioni attendibili. Questo non solo per la loro qualità, dovuta ad una ventennale militanza in Cosa nostra.
Ma soprattutto perché, quando questi decide di collaborare, aveva già scontato quasi tutte le condanne emesse nei suoi confronti dalla magistratura, fatta eccezione per un residuo di pena di pochi anni.
E tra i vari crimini raccontati agli inquirenti vi erano una serie di omicidi, circa trenta, in relazione ai quali il Mutolo aveva avuto un ruolo di rilievo. Dunque, per dimostrare la sua dissociazione definitiva dall’organizzazione Cosa nostra Mutolo aveva pesantemente aggravato la sua posizione processuale.
Va segnalato, poi, come le dichiarazioni di Mutolo sul conto di Contrada siano state confermate anche da altri collaboratori di giustizia, in particolare da Giuseppe Marchese. E’ doveroso infine sottolineare come prima ancora di essere arrestato, Contrada, fosse venuto a conoscenza delle rivelazioni sia dal Mutolo che dal Marchese, rivelazioni coperte da segreto investigativo.
Ad avvisarlo sarebbe stato Antonio De Luca, dirigente della Questura di Palermo, il quale le aveva apprese dall’ ex funzionario dell’Alto Commissariato Antimafia e in seguito del SISDE Angelo Sinesio. De Luca ne aveva poi avuto conferma sia dal tenente dei carabinieri Carmelo Canale, che dal magistrato ex sostituto procuratore presso la procura di Marsala, dott.ssa Camassa.
Successivamente, sempre Contrada, prima ancora di ricevere ufficialmente la notizia di reato, aveva informato l’allora numero uno del SISDE Angelo Finocchiaro. Quest’ultimo aveva quindi ottenuto conferma, tramite canali non ufficiali, di come ad accusare Contrada fosse stato effettivamente Mutolo.
Contrada e il SISDE
Contrada entra nel SISDE nel gennaio del 1982. In quella data, infatti, viene inquadrato nell’organico istituito presso la Presidenza del Consiglio con la qualifica di Collaboratore, e con l’incarico conferitogli dall’allora direttore, il Prefetto Emanuele De Francsco, che ricopriva anche la carica di Alto Commissario Antimafia.
Contrada diviene al contempo Capo di Gabinetto dell’Ufficio dell’Alto Commissariato Antimafia e coordinatore dei centri SISDE di Sicilia e Sardegna. Nel gennaio 1983 viene nominato Direttore del Centro Operativo Speciale, con sede presso la Prefettura di Palermo.
A partire dal primo gennaio 1985 viene trasferito a Roma, distaccato presso la Presidenza del Consiglio, e assegnato al terzo reparto SISDE con compiti non operativi. Nel luglio 1985 viene nominato Direttore di Divisione. Il 31 maggio 1987 Contrada assume la direzione del Coordinamanto Gruppi di Ricerca Latitanti.
Nell’agosto del 1989 viene temporaneamente sospeso da tale incarico, che più tardi però, nel marzo del 1990, gli viene riconfermato. Il primo giugno 1991 viene nominato Dirigente del Coordinamento Operativo dei Centri SISDE del Lazio, con le funzioni di Capo Reparto.
Nell’ottobre del 1991 a Contrada viene prorogato per ulteriori tre anni il trasferimento nell’organico presso la Presidenza del Consiglio. Il 2 gennaio 1993 il Presidente del Consiglio decreta la cessazione del Direttore generale della PS Bruno Contrada dalla posizione di fuori ruolo, e ne dispone il suo rientro nell’Amministrazione di provenienza.
Il 15 gennaio 1993 il Capo della Polizia decreta la sospensione cautelare obbligatoria di Contrada dal servizio. A partire da questa data il funzionario rientra quindi negli organici della Polizia di Stato, dopo essere stato fino ad allora inquadrato in posizione fuori ruolo presso la Presidenza del Consiglio.
Fonte : Claudio Meloni
Il Circolaccio