Parlare di politica per sparare cazzate è semplice. Parlare di politica per la crescita politica delle masse richiede la conoscenza della storia della politica e dello svilupparsi dei fenomeni ideologici attraverso le fasi di scontro sociale
I concetti che usiamo per inquadrare la nostra comprensione del mondo politico sono sempre racchiusi all’interno del nostro modo di pensare e legati spesso alla nostra rabbia interiore. Le politiche che intendono descrivere modelli di sviluppo sulla rabbia finiscono per esplodere in violenze civili; mettono in chiaro certi aspetti di un contesto politico, mentre ne nascondono o oscurano totalmente altri.
Per esempio, quando i sostenitori della Costituzione degli Stati Uniti si proclamavano “federalisti” ed etichettavano i propri avversari come “antifederalisti”, non solo sottolineavano il proprio impegno per il consolidamento del potere nazionale, ma spostavano la cornice del dibattito politico verso determinate forme istituzionali e lontano dai conflitti sociali post-rivoluzionari tra le élite commerciali e le nuove classi popolari.
Questo è un tema ricorrente della politica, ma la natura del linguaggio e la sua relazione con le idee politiche diviene particolarmente vivo – e urgente – in periodi di crisi, quando nuove forme politiche emergenti sfidano “la vecchia politica”, così come i concetti che eravamo soliti usare per descriverla. Questi sono periodi che ci richiedono di essere più riflessivi riguardo le categorie politiche alle quali ci affidiamo: ciò che rivelano e ciò che nascondono.
Il caso del populismo italiano è diverso. L’ondata populista per errori e mediocrità dei partiti tradizionali è riuscita ad arrivare al potere e non fermarsi alle piazze
Ciò vale che vale per “populismo”, il termine che intellettuali e giornalisti usano per descrivere l’emergente , secondo loro, autoritarismo del nostro tempo e il pericolo che pone alla democrazia liberale. È difficile tenere nota del numero enorme di conferenze, simposi, libri e articoli dedicati alla spiegazione del ruolo del populismo nell’accelerazione del declino democratico. I titoli altisonanti (“How democracy dies” di Steven Levitsky e Daniel Ziblatt; “The People vs. Democracy” di Yascha Mounk; “Anti-Pluralism: The Populist Threat to Liberal Democracy” di William Galston, e così via) rivelano una tesi ampiamente condivisa. Come ha scritto Jan-Werner Müller nel suo libro “What is Populism?”: “Il pericolo per le democrazie oggi non è rappresentato da qualche ideologia che nega gli ideali democratici, di fatto a discapito del ceto medio e delle fascie più deboli?. Il pericolo non è il populismo – considerata una forma degradata di democrazia che promette di far valere i più alti ideali della democrazia ma senza modelli chiari di gestione”.
Per Müller e altri eminenti propugnatori della tesi populista, “populismo” rappresenta il pericolo comune posto alla democrazia dai leader più disparati come Trump , Orban e Morales, Erdogan e López Obrador, e dai movimenti politici più disparati come Podemos e il Tea Party, Syriza e Alternative für Deutschland, il Movimento 5 Stelle, la Lega e il Front National. Il populisimo moderno cerca il consenso e vuole le elezioni non le barricate. Ma cosa possiamo ottenere nell’aggredire il nuovo concetto della politica populista se non si ha un modello politico alternativo? Dove sono finiti i partiti di sinistra? Se la gente che amava Berlinguer oggi vota populista la colpa non è certamente dei cittadini. Un grande limiti dei partiti tradizionali rimane quello di non mettersi in discussione e difendere ostinatamente posizioni ormai prive di significato. Non basta più l’uso del giustizialismo per fermare l’avanzata populista. Non è con la magistratura che si ricostruiscono i movimenti di massa alternativi ai populisti e sovranisti. Si può unire la politica italiana tradizionale sotto la sua definizione :” tanti leader e pochi cittadini”
Roger Cohen in un recente articolo del New York Times, ritiene che questo termine “populista” debba essere abbandonato, perché “è diventato abusato al punto da avere perso ogni significato, un epiteto che racchiude qualunque manifestazione di rabbia politica. In pratica siamo davanti alla seconda fase della spinta populista e sovranista che come le crisalidi si possono trasformare in altro Il problema, tuttavia, rimane: Quale sarà l’evoluzione di questo fenomeno di massa che ha portato la rabbia e la delusione al Governo? Il populismo non è solo l’ambiguità o l’arrendevole pigrizia delle élite metropolitane che non riescono a trovare un termine più preciso per “descrivere l’attuale fenomeno politico”. Il problema è tanto l’imprecisione concettuale quanto l’offuscamento politico. L’accusa di populismo non solo offusca la nostra comprensione delle dichiarazioni dei leader e dei movimenti anti-establishment, ma inibisce la nostra capacità di comprendere le cause del declino democratico.
L’accusa generalizzata di populismo scandaglia i confini della “vecchia politica” e i parametri del discorso politico legittimo e ragionevole. I sostenitori della tesi populista enfatizzano il consenso vasto, mentre le opposizioni continuano ad aggredire il populismo con armi sbagliate . I vecchi politici sembrano non prestare attenzione ai problemi strutturali del declino democratico, come le crescenti diseguaglianze di denaro e potere che hanno definito l’era del neoliberismo globale e la privatizzazione dei beni pubblici. Queste fonti del declino democratico – e la conseguente devoluzione dinamica che Antonio Gramsci ha definito elegantemente “equilibrio catastrofico” – sono le prime cause della nascita dei movimenti autoritari. Il termine “populismo” non contribuisce ad approfondire queste cause.In sintesi, ogni grande depressione economica fa germogliare fenomeni populisti.Lo dice la Storia, lo dicono i fatti. Quando il popolo è affamato alza sempre la testa
Ghino di Tacco