
Restituito dopo 5 anni il patrimonio ai Niceta. Le accuse della procura non reggono
Un danno enorme all’azienda che ormai ha chiuso tanti negozi, uno dei quali presente a Belicittà di Castelvetrano
Tolti i sigilli, ma i 15 negozi sono ormai chiusi. La difesa: “La perizia ha accertato la legittimità dei flussi finanziari”. Per il tribunale, il padre era “imprenditore mafioso”, i figli solo “contigui con la famiglia Guttadauro”, ma non sono ritenuti “pericolosi socialmente”
Non reggono le accuse nei confronti degli imprenditori Niceta. Il tribunale Misure di prevenzione di Palermo presieduto da Raffaele Malizia ha deciso che il patrimonio sequestrato nel 2013 dalla giudice Silvana Saguto debba essere restituito. Bocciata anche la richiesta di misura personale. Alla base della decisione, la complessa perizia disposta dal tribunale, che è durata tre anni. “Il sistema ha funzionato, la ricostruzione della difesa è stata accolta – commenta l’avvocato Roberto Tricoli, che ha assistito Massimo, Pietro e Olimpia Miceli assieme ai colleghi Sal Mormino, Salvino Pantuso e Alessandro Cucina – ma il sistema ha funzionato fra tante difficoltà. Adesso, è necessario soprattutto intervenire a livello legislativo per evitare tempi così lunghi, che portano ad alcune storture”.
Patrimonio restituito, ma solo sulla carta, perché i 15 negozi Niceta oggetto del sequestro da 50 milioni di euro sono ormai chiusi. “Per una cattiva gestione degli amministratori giudiziari”, è l’accusa degli imprenditori finiti sotto accusa, che oggi sono costituiti parte civile nel processo di Caltanissetta che vede imputata la ex presidente delle Misure di prevenzione Silvana Saguto. “Quello che è importante adesso – aggiunge l’avvocato Sal Mormino – è che stata verificata la legittimità dei flussi finanziari che hanno consentito la costituzione del patrimonio dei fratelli Niceta”.
Ma i guai giudiziari della famiglia non sono ancora conclusi. La procura distrettuale antimafia di Palermo ha indagato Massimo e Pietro Niceta per riciclaggio, nell’ambito dell’indagine sul centro commerciale Forum, che ha visto gli interessi del boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro.
LE ACCUSE
Erano state le indagini dei carabinieri del Ros e della Guardia di finanza a fare scattare il provvedimento di sequestro, che ipotizzava rapporti di affari fra gli imprenditori Niceta ed esponenti mafiosi, come Francesco Guttadauro, il figlio di Filippo, il cognato di Messina Denaro, nonché suo postino fidato per le comunicazioni con il boss Bernardo Provenzano.
Secondo la ricostruzione della procura, i Niceta avrebbero avuto anche un altro referente, Giuseppe Guttadauro, il fratello di Filippo, lo storico capomafia di Brancaccio, ex aiuto primario dell’ospedale Civico di Palermo, che riceveva nel suo studio politici e professionisti della città bene. Lui e suo figlio Francesco avevano rapporti con Massimo Niceta. Lo dice la sentenza che ha condannato Guttadauro: “È venuto tuo figlioccio… Niceta”, sussurrava il figlio al padre, nella sala colloqui del carcere, e non sospettava di essere intercettato dal Ros. Il boss diceva: “Ah, Massimo”. Il giovane Francesco proseguiva: “E’ venuto a chiederti una cortesia”. Frequentazioni che però non hanno raggiunto la soglia di prova per il tribunale Misure di prevenzione, nonostante le accuse di un altro Niceta, Angelo, cugino degli imprenditori coinvolti nel sequestro.
Ha raccontato degli affari di Mario Niceta, il padre dei fratelli, che sarebbe stato in società proprio con Giuseppe Guttadauro, in una calcestruzzi. Accuse respinte da Massimo, Pietro e Olimpia, che hanno ribadito la legittimità del proprio patrimonio, “creato in modo autonomo dalle imprese del padre”, è stata la loro difesa. E dopo il provvedimento dei giudici, depositato questa mattina, Massimo esulta su Facebook: “Ci saranno tante persone che si dovranno mettere in fila e chiedere scusa, ma ha vinto la città di Palermo, non Piero, Olimpia e Massimo”.
IL PROVVEDIMENTO
Ora, il tribunale (presidente Raffaele Malizia, relatore Vincenzo Liotta, a latere Simona Di Maida) riconosce la “pericolosità sociale” di Mario Niceta, ormai deceduto, definendolo “imprenditore mafioso” e anche “soggetto appartenente al sodalizio mafioso per avere fornito il proprio consapevole contributo fattivo nell’operazione di occultamento di partecipazioni societarie”. Determinanti sono state le dichiarazioni dei pentiti Angelo Siino e Tullio Cannella, ma anche di Angelo Niceta. A proposito di Massimo e Piero, il provvedimento parla invece di “contiguità con la famiglia Guttadauro, il cui appoggio, protezione, intermediazione i Niceta hanno continuato a cercare e chiedere anche in tempi recenti (quando i provvedimenti nei confronti di Filippo e Giuseppe non potevano lasciare ignorare il loro spiccato profilo delinquenziale mafioso)”, ma viene esclusa la pericolosità sociale dei due fratelli, per “la mancata dimostrazione di uno specifico contributo in favore dell’attività del sodalizio” mafioso. Con la perizia i giudici hanno poi accertato che i “primi investimenti dei fratelli Niceta risalgono al 1985 e trovano giustificazione nelle risorse paterne”. Era il periodo di “pericolosità sociale del padre”, ma per il tribunale “non sono investimenti incompatibili con le risorse accumulate” in maniera lecita.
Fonte : Repubblica
Il Circolaccio