Ieri, dopo lunga insistenza di un amico, mi sono lasciato convincere ad andare al cinema a vedere il Film “WONDER”. La mia ritrosia nell’accettare di visionare il film è stata dettata dal fatto che non sopporto nessun tipo di storia, scritta o proiettata, in cui un bambino soffre. Quindi sono andato al cinema più per pura cortesia che altro, convinto, che sarebbero state più le uscite per fumare che i fotogrammi visti, e invece devo dire che l’amico aveva ragione , veramente un bel film , toccante, vero, ma senza scendere nel patetico è riuscito a trasmettere quella che è la vera vita, dura ma allo stesso tempo da vivere. Un film ovviamente da far vedere ai ragazzi, ma ancor di più a quella categoria di genitori (purtroppo maledettamente in aumento) molto ben rappresentata nel film, durante l’incontro con il preside in seguito a un episodio di bullismo da parte di uno studente.
Ho trovato questa presentazione del film, scritta molto bene che di seguito vi propongo.
Protagonista è August Pullman, detto Auggie, ragazzino di 10 anni nato con una rara malattia che gli ha deformato la faccia. A lungo protetto dalla propria famiglia, e da un casco spaziale grazie al quale trova riparo dagli sguardi altrui, Auggie deve per la prima volta affrontare il mondo della scuola, con lo scoglio della prima media improvvisamente materializzatosi. Ma in che modo, questo è il dilemma che tormenta i preoccupati genitori e il terrorizzato Auggie. Come reagiranno i suoi nuovi compagni, a lui sconosciuti, e gli insegnanti? Chi avrà il ‘coraggio’ di andare oltre le apparenze, diventando suo amico?
E’ un film che fa stare bene, Wonder di Stephen Chbosky, e che non ha alcun timore nel mostrare al pubblico le proprie carte emotive. Il mondo disegnato dal regista è a noi conosciuto, perché ne facciamo parte, è cinico e barbaro nel giudicare gli altri dalle semplici apparenze, dall’aspetto prettamente fisico. E’ un universo adolescenziale, quello in origine scritto da Palacio, in cui il bullismo è sempre dietro l’angolo, con i suoi spaventosi sfottò e le sue immancabili conseguenze.
Jacob Tremblay, già straordinario in Room di Lenny Abrahamson, è irriconoscibile in questa opera che ne rilancia le eccezionali doti recitative, perché con il volto trasformato da ore e ore di trucco. Ma sono la sua voce, così flebile e garbata, il suo tirato sorriso e i suoi occhi, tristi eppure sognanti e pieni di speranza, a bucare lo schermo. Impossibile non ricordare film come The Elephant Man di David Lynch e Dietro la Maschera di Peter Bogdanovich, nell’ammirare Wonder, vero e proprio elogio della gentilezza. Partendo dai più piccoli, che tra i banchi di scuola possono essere enormemente crudeli, il film si rivolge ai più grandi, a quei genitori che dovrebbero dar loro un’educazione basata sul rispetto, sulla condivisione, sulla cordialità.
Moltiplicando i punti di vista, Chbosky amplia il proprio racconto andando oltre il piccolo Auggie, autentico sole attorno al quale ruotano i componenti della sua famiglia. Mamma Isabel, che da 10 anni ha messo in ‘pausa’ la propria vita per non abbandonarlo un attimo; papà Nate, fonte inesauribile di sorrisi anche nei momenti più complicati; e Via, primogenita di casa di fatto quasi dimenticata da quei genitori troppo impegnati con il fratellino minore. Volti che hanno i lineamenti di Julia Roberts, impeccabile anche in un ruolo solo apparentemente tanto secondario, Owen Wilson, a cui Chbosky affida i momenti più divertenti del film, e la sedicenne Izabela Vidovic, bravissima nell’esplicitare le sofferenze di un’adolescente innamorata del proprio fratello più piccolo anche se snobbata a causa dei suoi ingombranti bisogni.
Una famiglia meravigliosa nella gestione dei propri problemi all’interno di un’opera che trae forza dal proprio chiaro sentimentalismo, lacerando uno spettatore scosso continuamente da sorrisi sinceri e inevitabili lacrime. Esattamente come nel romanzo di Palacio, interamente scritto in prima persona, osserviamo lo sviluppo della storia direttamente dagli occhi dei suoi protagonisti, attraverso il loro racconto diretto, che si fa fantasioso nel caso di Auggie, a tal punto fan di Guerre Stellari da vedere Chewbecca nei momenti più disparati.
Chbosky guarda alla scuola come centro principale di formazione, punto di partenza da cui costruire un mondo migliore, banalmente più umano. A lungo deriso solo perché diverso, anche se brillante, generoso e intelligente, Auggie, unico bimbo a preferire Halloween al Natale perché almeno per un giorno autorizzato a camminare mascherato e a testa alta, non si dà mai per vinto, conquistando lentamente quell’affetto a lungo desiderato, per non dire insperato. Eccellente, ancora una volta, la direzione di attori di età compresa tra i 10 e i 17 anni, tutti estremamente credibili nel dover interagire con emozioni più che condivisibili, tra crudeltà reiterata e affetto, compassione e accettazione, incomprensioni e amicizia.
Maschere che cadono, agognate stelle che si fanno più vicine e muri che crollano, all’interno di un racconto che vede un bambino trovare finalmente il proprio spazio nel mondo. Un film dalle emozioni forti ma mai ricattatorio o esageratamente melenso, genuinamente pedagogico, empaticamente parlando disarmante e sorprendentemente in bilico tra dramma e commedia, quello diretto da Chbosky, regista di un ‘feel good movie’ che è già diventato un classico di genere.
Il Circolaccio
Maurizio Franchina