Beni confiscati, scandalo infinito
Sequestro per un amministratore
Il Tribunale civile blocca beni per tre milioni di Euro al commercialista Elio Collovà.
PALERMO – La notizia è di quelle destinate a fare scalpore nel settore delle gestione dei beni confiscati alla mafia già travolto da scandali e inchieste.
II Tribunale civile di Palermo ha disposto il sequestro conservativo dei beni mobili e immobili dell’amministratore giudiziario Elio Collovà fino a raggiungere la cifra di tre milioni e 190 mila euro. A tanto ammonterebbe il danno subito dalla curatela fallimentare della Las Vegas Bingo srl che ha citato in giudizio sia Collovà, sia gli eredi di Domenico Casarubea, l’ultimo amministratore della società prima che la struttura di viale Regione Siciliana, a Palermo, venisse sequestrata ed affidata al commercialista Collovà dalla sezione per le Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. Successivamente la sala bingo è stata confiscata e due anni fa ha regolarmente riaperto grazie ad un accordo fra l’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla mafia e una società del settore.
Secondo l’accusa, nella sala bingo erano stati investiti e riciclati i soldi del padrino Nino Rotolo. Nel processo penale d’appello la prescrizione aveva salvato una serie di mafiosi. Erano, invece, usciti puliti, incassando un’assoluzione nel merito con la formula perché il fatto non sussiste, gli eredi di Domenico Casarubea, e cioè i figli Francesco, Olga, Cristina Emanuela. Nel frattempo la vecchia società che gestiva la sala bingo è stata dichiarata fallita (nulla a che vedere con quella che ha poi riaperto la struttura che resta operativa).
La curatela fallimentare ha chiesto al Tribunale civile il sequestro conservativo dei beni degli eredi di Casarubea e quelli di Collova. Il giudizio per i primi è stato stralciato perché bisogna fare chiarezza sulle dinamiche ereditarie. È stata sempre la curatela a denunciare che Domenico Casarubea avrebbe sottratto alle casse societarie quasi due milioni di euro non consegnandoli al momento dell’insediamento di Collovà.
Collovà che, dal 2007 al 2012 – si legge nel provvedimento del giudice Claudia Spiga – ha omesso di presentare i bilanci di esercizio. Senza la rettifica della documentazione contabile con l’ammanco di cassa, invece di cessare, la società ha continuato ad esistere. Collovà si è difeso sostenendo di non avere amministrato la società, ma soltanto le quote sociali e in ogni caso la confisca decisa dal Tribunale presieduta da Silvana Saguto (oggi indagata e sospesa) avrebbe inibito l’avvio della procedura di fallimento.
Di avviso opposto la curatela che ha presentato il conto per l’illegittima prosecuzione dell’attività dal 2007 in poi. Il giudice ha accolto il ricorso ed emesso l’ordinanza di sequestro anche in considerazione del “pericolo” che il creditore non veda soddisfatte le proprie richieste. Un pericolo che nasce dal fatto che Collovà ha costituito un fondo patrimoniale, poco dopo essersi dimesso dalla carica di amministratore.
Collovà è uno dei più noti amministratori giudiziari con incarichi a Palermo, ma anche a Caltanissetta dove ha gestito il patrimonio di Pietro Di Vincenzo. Nei mesi scorsi ha fatto discutere la costruzione del cosiddetto “Palazzo della Legalità”. Un’operazione immobiliare finora in perdita e dai costi milionari per le consulenze commissionate da Collovà.
Fonte : Live Sicilia