Scrivevano gli Scheneider – non ci illudiamo credendo che il percorsodell’antimafia sia lineare e continuo verso la lotta alla mafia. Essa stessa rischia di trasformarsi in un luogo di potereL’abbandono di Fava fa riflettereL’antimafia a comando dei professionisti dell’antimafia
Caponnetto scrisse :L’antimafia a comando. Quando l’”antimafia” viene gestita dalla politica!!! Ecco perché la vera antimafia deve stare lontana dai partiti e dalle istituzioni che li rappresentano
Non è stato così. La sinistra radicale e quella liberale del PD sull’antimafia hanno giocato diverse partite politiche con la complicità di alcune toghe più o meno rosse.
Mascariamenti, accuse di corruzione e di mafia, lotte al coltello sotto il tendone dell’antimafia. Il Pd e il centrosinistra hanno usato questo metodo per convincere elettori e militanti.
L’abbandono del campo di battaglia dice molto e tanto. Lui, persona perbene e intellettualmente onesto , è finito pure nell’inghippo. E’ stato usato e poi gettato. ancora si ricordano a Castelvetrano del grande interesse dell’antimafia di Bindi, Giarrusso, Lumia e anche Fava. Tutti pronti a parlare e a puntare il dito e poi? Nulla. Hanno lasciato la città in balia dei media. Tranne il mercato il fiorente dei libri antimafia, nessuna risorsa è stata data al sindaco Alfano per migliorare la città. Anche la città del boss ha capito di essere stata usata per salvare la faccia all’antimafia finita sotto inchiesta con Montante e la Saguto. Purtroppo , l’unico che ha goduto e il maledetto boss Messina Denaro che rimane ancora libero. Un prezzo caro quello pagato dai castelvetranesi.
Un famoso giornalista antimafia locale in uno dei tanti “sermoni” tempo fa scrisse :” non è vero che l’antimafia fa politica”
Antimafia e il fallimento della linea del potere politico
Dal Blog “Antonino Caponnetto”
Ogni volta che c’era in gioco una posizione di potere, una poltroncina in prima fila, il gruppo dell’antimafia cercava il comando. Lampeggiava l’avviso in calce alla polemica: attenzione, il mio collega di partito, il mio vicino di coalizione, colui che, fino a ieri, era l’amico prediletto, adesso risulta corrotto e mafioso. Io che vi parlo dal pulpito ho il crisma dell’alfiere della purezza, gli altri sono, nel migliore dei casi, conniventi. Si tratta di un vecchio numero da circo, di una bomba a mano funzionale al mantenimento delle posizioni nelle trincee della politica. I ragionamenti non la disinnescano. Non ci riuscì neanche Sciascia con quel monumento di articolo sui professionisti dell’antimafia (intuizione esatta, con l’esempio sbagliato di Paolo Borsellino, integrazione utile per chiarire, ndr). Ed era Leonardo Sciascia, uno che aveva capito tutto. Eppure lo chiamarono quaquaraquà. Una antica tradizione di sinistra, l’antimafia-accusa a comando, che va a braccetto con l’altro costume in voga: il massacro dei compagni, piuttosto che degli avversari.Una memoria di coltellate giunta fino ai giorni nostri, dopo avere dribblato anni di mascariamenti. Basta riascoltare – per rendersene conto – Beppe Lumia, al convegno del Megafono, mentre maledice, in odio al ‘consociativismo’: “quella parte del Partito democratico, esso stesso un partito burocratico e clientelare e con tratti anche di affarismo e di corruzione mafiosa”. Affarismo, corruzione e mafia, le chiavi di volta dell’anatema lumiano alla convention megafonista di Taormina, spese per tracciare il perimetro della scomunica. Buttate lì per distinguere i buoni dai cattivi. Munizioni indispensabili nella difesa del fortino di Rosario Crocetta dall’assalto di “quella parte del Pd” che vede il governatore come fumo negli occhi. Artiglieria antimafiosa.
Tra il 1987 e il 1999, gli antropologi newyorkesi Jane e
Peter Schneider, si stabilirono a Palermo per condurre un’indagine sul campo sul fenomeno
dell’antimafia. Non era la prima volta che i due studiosi portavano avanti simili ricerche in
Sicilia. Vent’anni prima, nel 1976,era stata pubblicata negli Stati Uniti una loro ricerca dal titolo
Culture and Political Economy in Western Sicily