di Achille Colombo Clerici
“Calati giuncu ‘ca passa la china”. L’antico adagio siciliano ben si addice alle nostre medie imprese che si sono rivelate più solide delle grandi imprese all’impatto della pandemia.
E’ quanto risulta da uno studio dell’Osservatorio della Fondazione Nazionale dei Commercialisti che ha analizzato oltre 600.000 bilanci. Le grandi imprese hanno registrato un calo del fatturato dell’11,2% a fronte delle medie che si è fermato a meno 7,6%. Per quanto riguarda i settori produttivi: ad eccezione del comparto dei servizi alla persona (+39,8%) e dell’information technology (+5,7%), la pandemia si è abbattuta su arte e cultura (-55,8%), ristoranti e alberghi (-44,3%), attività sportive (-39,1%), lotterie e giochi (-26,1%). Le costruzioni hanno contenuto la flessione (-5,4%). A livello geografico, il decremento del fatturato è stato più contenuto al Sud (-7%) rispetto al Nord (Nordest -8,1% e Nordovest -9,5%)
Mancano i dati omologhi delle piccole imprese, da sempre ossatura della nostra economia. Ma soccorrono altri elementi di valutazione.
Pur avendo anch’esse pagato un duro scotto alla crisi pandemica, la loro flessibilità decisionale ha contenuto i danni. In una realtà che le vede molto spesso operare come azienda-famiglia, la differenza tra titolare e dipendente sfuma fino ad annullarsi: le scelte vengono prese di comune accordo, magari attorno ai macchinari dell’officina o attorno ai tavoli dell’ufficio. Scelte che vanno dall’internazionalizzazione, alla riconversione, all’efficientamento dei processi aziendali, al rinnovo dell’offerta sul mercato.
Scelte effettuate con grande rapidità in quanto nelle piccole imprese è assente una struttura, una cultura gerarchica, che nelle società più grandi induce spesso alla deresponsabilizzazione del personale operativo, all’autogiustificazione ‘ci pensi il mio capo, lo pagano per questo’, conseguenza della spersonalizzazione del lavoro e del venir meno del fattore umano. L’orgoglio aziendale che caratterizzava la classe operaia ancora fino agli ’80 è praticamente svanito.
Il fenomeno tocca l’apice nel settore pubblico nel quale taluni burocrati intendono la cosa pubblica non come cosa comune, ma come ‘res nullius’. Caratteristica propria purtroppo a molti cittadini.