di ACHILLE COLOMBO CLERICI
Uno dei più grandi interrogativi sull’ormai mitico Next Generation E.U. riguarda la capacità del sistema Paese di elaborare i progetti per riuscire ad ottenerne i finanziamenti. Se lo chiedono, non soltanto gli ‘addetti ai lavori’ – imprenditori ed economisti in primis – ma anche la parte più avveduta dell’opinione pubblica, visto che finora l’Italia non è riuscita a spendere in Opere Pubbliche essenziali i soldi già in cassa: ben 120 miliardi.
Per ovviare a questa cronica incapacità, e perché ce lo impone la UE, per incassare i 209 miliardi tra sussidi e prestiti, bisogna elaborare un Recovery Plan – in Italia si chiama “Piano di ripresa e resilienza” – affidato al Comitato interministeriale degli Affari europei di cui, secondo anticipazioni, farebbero parte anche i top manager delle sei maggiori aziende italiane e 300 consulenti. Basterà?
La Corte dei Conti ha denunciato che solo per quanto riguarda i Fondi europei – 75 miliardi per il settennio 2014-2020 – ne è stato utilizzato soltanto il 27 per cento. Bloccate altre decine di miliardi destinati al dissesto idrogeologico, al rifacimento di ponti, alle cento e cento opere minori di Comuni e Province, alla depurazione e alle grandi opere.
Secondo il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano, dei 7 miliardi dei programmi complementari di Azione e Coesione UE è stato speso solo il 5,5 per cento; mentre in sette anni sono stati utilizzati nelle regioni del Sud 6 miliardi sui 17,7 a disposizione.
Le cause sono diverse: i Comuni e le Province non hanno i tecnici per elaborare i progetti, i ricorsi bloccano l’assegnazione degli appalti, la burocrazia ci mette del suo, e non è poco. Ci si mette pure l’ecologia: lavori fermi ad esempio per non disturbare uccelli che nidificano.
Come rimediare? Nei progetti governativi c’è l’assunzione di diecimila giovani professionisti con i quali irrobustire le deboli strutture degli enti locali. Ma bisogna prima scardinare quella che si è rivelata una complicazione, per usare un eufemismo: l’assegnazione a consulenti esterni di compiti che dovrebbero essere svolti dalla pubblica amministrazione. Ciò ha generato, negli anni, rapporti non sempre limpidi. E questa è una piaga che norme e leggi difficilmente riusciranno a sanare se non saranno accompagnate da un cambiamento di cultura.