
ITALIA FANALINO DI CODA DELL’UE
di Achille Colombo Clerici
L’assetto istituzionale dell’Unione europea è unico nel suo genere e il sistema decisionale è in costante evoluzione. Si compone di 7 Istituzioni, 7 Organi e 40 Agenzie decentrate distribuiti in tutta l’UE.
In termini amministrativi, esistono altre 20 strutture di supporto che svolgono funzioni giuridiche specifiche e 4 servizi interistituzionali a sostegno delle istituzioni.
Circa 60.000 persone, tra addetti, funzionari, dirigenti e altro personale, lavorano al servizio dei 450 milioni di europei, senza contare i funzionari che operano in tutto il mondo. L’UE viene finanziata principalmente da una percentuale del PIL dei Paesi membri: in totale, circa 170 miliardi di euro (2021).
A parte l’esigenza di razionalizzazione, l’impostazione generale presenta un ingiustificato squilibrio rispetto ad un Paese, come il nostro, che è il terzo contributore netto dell’Unione.
Il Parlamento europeo si trasferisce ogni mese da Bruxelles e Strasburgo, un duplicato illogico; il Consiglio dell’Unione Europea ha sede a Bruxelles come pure la Commissione europea; la Corte di Giustizia con annesso Tribunale e la Corte dei Conti a Lussemburgo, la Banca Centrale Europea a Francoforte.
Le 40 Agenzie europee hanno lo scopo di fornire consulenza alle istituzioni comunitarie e sono suddivise tra i vari Paesi dell’Unione: l’Italia ne ospita soltanto due (l’agenzia per l’alimentazione a Parma e quella per la formazione professionale nei Paesi extra U.E. a Torino) al pari del Portogallo; in Francia le Agenzie sono 4, in Olanda e Spagna 3, per citare. Mentre le Autorità di vigilanza, tre, sono andate a Francia (l’EBA traslocherà da Londra a seguito dell’uscita del Regno Unito dall’UE) e Germania.
L’Italia perde, non solo un enorme e continuo indotto finanziario, ma anche gran parte delle possibilità di influenza culturale sull’Europa, che sarà sic stantibus rebus sempre più marginale, periferia culturale del “Continente”.
Può mai l’Europa pensare di perpetuare una tale situazione?
È la conseguenza anzitutto di una impostazione miope dell’assetto istituzionale/territoriale dell’Unione, e poi del passaggio graduale del potere politico dalla Commissione al Consiglio. Della questione della redistribuzione più equilibrata di attività e funzioni, che è vitale e strategica, dovrebbe investirsi proprio la Commissione europea, senza pensare di affidarla al consesso dei rappresentanti governativi degli Stati membri, che si esprimono secondo l’ “umore” politico del momento. Come è avvenuto nel caso dell’EMA.