Mercoledì 18 maggio, Giovanni Falcone avrebbe compiuto 83 anni. Invece, tra qualche giorno – il 23 maggio – ricorrerà il trentesimo anniversario dalla sua morte. Pochi mesi dopo, il 19 luglio, morì anche il suo collega Paolo Borsellino. Entrambi sono stati assassinati dalla Mafia. “Non è questa città che ha ucciso mio padre e Giovanni Falcone – ha detto in un’intervista a Repubblica Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato morto nella strage di via d’Amelio – Sono passati 30 anni e ormai ci siamo rassegnati all’idea che noi familiari di tutte le vittime delle stragi non avremo mai una verità giudiziaria. Perché nessuno ha voluto guardare dove si doveva guardare da subito: a quel palazzo di giustizia covo di vipere, come lo chiamava mio padre”.
La grave evidenza che da ragione alla rabbia di Fiammetta e di tutta la sua famiglia tranne lo zio, rimane nella mancata incriminazione di Matteo Messina Denaro sulle stragi. Ci vorrà il Procuratore Paci, magistrato serio e imparziale, per ottenere la prima condanna del boss . Condanna in primo grado che arriva dopo quasi 30 anni. Questo aspetto fa intendere molto sulla sua latitanza e sulle tante indagini sbagliate. Un sistema che ha riempito le aule di imputati con l’onore della lotta alla mafia ma anche per depistare e soprattutto per non far parlare Messina Denaro che sa troppo. Le stragi collegano Castelvetrano con alti vertici mafiosi e di apparati deviati. Questo è un punto sempre più evidente. E a Castelvetrano, ci potrebbero essere altri soggetti a sapere di quelle riunioni tra mafiosi e colletti bianchi o forse neri o marroni. Magari personaggi noti che nessuno ha mai pensato di indagare, proteggendoli in varia maniera anche con l’aiuto di certa stampa . Siamo sempre più certi che il primo depistaggio per nascondere la verità sulle stragi parte da Casatelvetrano con l’operazione Palma. Inchiesta firmata da magistrati che hanno fatto carriera credendo ad un pentito smentito da diverse sentenze
Il tradimento dei “colleghi”, la tragedia e nessuna voglia di verità. La figlia del giudice ucciso dalla mafia è disincantata perchè non crede che ci sia più un reale interesse a fare chiarezza su quelle vicende
“C’è stata la mano armata di Cosa nostra ovviamente ma anche chi a questa mano armata ha spianato la strada, consegnando le teste di Falcone e Borsellino su un piatto d’argento. L’ormai famosa convergenza di interessi di cui parlava Falcone. Io oggi da figlia sono consapevole che mio padre è morto perché è stato abbandonato dai suoi colleghi. Dirò anche di più. Fin quando siamo stati zitti, il salone di casa nostra era pieno di presunti amici di mio padre che venivano a raccontare balle a mia madre. Da quando invece io ho deciso di parlare, di dire senza peli sulla lingua che le responsabilità delle stragi di Capaci e via D’Amelio sono a più livelli, da quel momento ci siamo improvvisamente ritrovati soli. Di tutto quello stuolo di magistrati che ci stava attorno non si vede più nessuno. Qualche settimana fa sono andata a Marsala, la città dove mio padre è stato procuratore, per l’intitolazione di una strada ad Emanuela Loi, una degli agenti di scorta uccisi con lui. Sono rimasta sola. Nessuno, dico nessuno dei magistrati presenti, mi ha avvicinato anche solo per salutarmi. Ma a me sta bene così”, ha continuato Fiammetta.
Quei magistrati che hanno avallato i pentiti fasulli che non hanno mai pagato
Quanto alla prossima sentenza del processo a Caltanissetta sul depistaggio, la figlia di Borsellino è chiara: “Non abbiamo più bisogno di sentenze di condanna che tanto non arriveranno mai. Per noi ormai sono chiare le connivenze vere, le omissioni, le menzogne, le condotte sbagliate di uomini e donne delle istituzioni che non hanno avuto rossore a presentarsi in un’aula di tribunale e a balbettare monosillabi. A essere offesi non siamo solo noi familiari ma l’intelligenza del popolo italiano”.