
di Achille Colombo Clerici
“You only live once” il principio che in parte potrebbe esserne la causa. Negli Stati Uniti che, nel bene e nel male, fanno tendenza in tutto il mondo occidentale, è in atto un fenomeno latente da anni, ma che la pandemia ha fatto esplodere: un numero crescente di persone sta lasciando volontariamente il lavoro, soprattutto in alberghi, ristoranti, negozi. Secondo i dati più recenti, la ‘grande dimissione’ ha fatto registrare 4,4 milioni di unità, pari a quasi il 3% del totale della forza lavoro del Paese. Ed hanno avuto scarso successo le offerte di posti con bonus ed incentivi.
Le motivazioni? Dal timore del virus, agli stipendi troppo bassi, ai sussidi governativi. Ma decide soprattutto una nuova consapevolezza: i dimissionari cercano soprattutto una migliore qualità di vita mettendo in secondo piano il benessere economico e la sicurezza che esso può offrire, nonché la possibilità di affermazione personale, la carriera ad un prezzo troppo alto in termini di quantità e qualità di lavoro. E’ preferibile dedicare maggior tempo alle proprie passioni, ai rapporti sociali, alla famiglia, si dice.
Il fenomeno sta dilagando. Persino la Cina ne è toccata. Nella patria del lavoro ‘sei giorni su sette’ e niente ferie – a prescindere dal periodo del Capodanno – si mette in discussione la ‘cultura del 996’ con turni di lavoro dalle 9 del mattino alle 9 di sera 6 giorni la settimana.
E in Italia? Il vento del cambiamento comincia a spirare anche da noi; basti pensare alle giovani generazioni sempre più riluttanti a rinchiudersi in uffici e fabbriche (parecchi imprenditori soprattutto nel Nordest lamentano la carenza di manodopera, specializzata ma anche generica) tanto che si è affievolita la campagna d’opinione contro l’immigrazione. Nel 2021 la quota di ‘autoesodati’ è arrivata intorno al 70%, contro valori inferiori al 60% pre-pandemia.
Ma è altrettanto vero che la disoccupazione fa sempre paura; sono oltre 200.000 i posti persi dall’inizio pandemia e la disoccupazione giovanile è la più alta dell’Europa avanzata.
Comunque si moltiplicano i casi di insofferenza al lavoro, almeno al modello di lavoro oggi imperante, spesso dettata da motivi del tutto irrazionali e viscerali, come fuga dalla realtà, D’altronde, è sempre avvenuto così dopo le grandi tragedie collettive. Ma sarebbe pericolosamente riduttivo per il futuro del Paese non monitorare e analizzare quanto sta avvenendo. Lasciamo il compito a sociologi, economisti, statistici ed esperti vari.