Mi corre l’obbligo da giornalista ed editore di fare alcune
considerazioni sulle nuove linee guida dettate dall’ordine dei
giornalisti della regione in cui vivo e lavoro .
Ma prima occorre fare qualche passo indietro per poter rispondere
adeguatamente al quesito che pongo come titolo di questo mio scritto .
È bene sottolineare che l’Ordine dei giornalisti, nacque formalmente
con una legge del 1963 e all’epoca doveva servire soprattutto come
organo a difesa dell’autonomia della categoria, in un periodo in cui
il pericolo delle ingerenze del potere e del governo nell’informazione
era più percepito come tale. Per garantire la libertà dei giornalisti,
era insomma necessario che l’Ordine fosse autonomo e formato da soli
giornalisti. In un tempo diverso e di maggiore complessità e libertà
come quello attuale, molti si chiedono da tempo se il ruolo
dell’Ordine sia ancora fondamentale, se sia da riformare o se sia
invece inutile e da abolire del tutto.
È inutile sottolineare che mi schierò fortemente per l’abolizione di
una ‘istituzione’ che ha perso già da tempo la sua ragion d’essere.
Ora ,anche se effettivamente una delle sue mansioni è di vigilare
sull’operato degli iscritti, per il bene della categoria, non è
semplice che un organo formato da giornalisti giudichi altri
giornalisti sul loro lavoro. Una delle critiche più frequenti che
vengono mosse all’Ordine è,infatti, proprio quella di essere troppo
dentro i meccanismi e i problemi del giornalismo per poterli
giudicare, che finisca per far prevalere considerazioni corporative e
che in generale preferisca difendere i giornalisti piuttosto che
mettere in discussione i loro comportamenti eventualmente discutibili.
lInoltre non vi è dubbio che l’Ordine rappresenti le istanze solo di
una ristretta cerchia di giornalisti, generalmente più esperti e
anziani (una percentuale significativa dei suoi iscritti è composta
addirittura da giornalisti in pensione) e protetti da privilegi
economici e contrattuali che risalgono a tempi più fortunati per le
aziende giornalistiche, e che per la maggior parte lavorano nei
giornali di carta.
E i giovani?
Ma prima di tutto questo c’è un problema insuperabile di giudizio
sulla libertà d’espressione, sul diritto di cronaca e sulla libertà di
stampa. Stabilire cosa sia “vero” apre discussioni persino
filosofiche, e immaginare un organo che lo definisca universalmente
per tutti è nei fatti impensabile.
Veniamo al caso che più mi interessa da vicino: cambiano le regole per
l’iscrizione nell’elenco dei pubblicisti all’Ordine dei giornalisti
della Puglia.
Il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Puglia ha approvato
all’unanimità una delibera che impone all’aspirante pubblicista, in un
biennio, di pubblicare almeno 40 articoli se collabora con un mensile,
almeno 100 se collabora con un settimanale, e almeno 150 se si tratta
di quotidiani, tv, radio e web.
Per quanto riguarda il compenso da certificare, se si tratta di un
mensile deve essere di almeno 800 euro, necessari almeno 2000 euro per
i settimanali e almeno 3000 euro per quotidiani, tv e radio. Il
compenso sale ad almeno 4000 euro se si tratta di una testata web. La
soglia di 4000 euro è necessaria se la testata giornalistica
periodica, quotidiana, settimanale, mensile, radio o tv, edita anche
un sito web.
Le retribuzioni dovranno essere dimostrate attraverso la presentazione
della Certificazione Unica, corredata della Comunicazione di avvenuto
ricevimento dell’Agenzia delle Entrate per ogni anno fiscale concluso
e copia dei pagamenti tracciati andati a buon fine. Non sono ammesse
altre forme di pagamento come forme di compenso cumulative a fine
biennio o contributi in contanti.
Che cosa significa tutto questo?
Semplice: affossare il tirocinio giovanile !
E per questo motivo è urgente intervenire, per evitare abusi e rendere
il tirocinio una delle occasioni di formazione e avvicinamento al
mondo del lavoro.
Invero con le nuove direttive che si concretano sostanzialmente in
esborsi danarosi consistenti per chi assume tirocinanti ,vi sarà poco
interesse alla formazione professionale giovanile e brulicheranno
collaborazione non retribuite !
In sintesi norme ,a mio avviso,che anziché contrastare i tesserini
facili aumentano il rischio di sfruttamento per tutti i giovani che
vogliono avvicinarsi alla professione di informare.
Sarebbe stato più utile prevedere l’erogazione di una indennità
minima, stabilire una durata massima, limiti sul numero massimo di
stagisti e tirocinanti per ogni tipologia di giornale , oltre a
stabilire sanzioni e controlli.
Sarebbe davvero sbagliato precludere questo strumento ai tanti giovani
che desiderano fare esperienza nei vari settori lavorativi
dell’editoria per poi orientare con cognizione di causa il proprio
percorso professionale.
Senza tirocini o stage sarà ancora più complesso per i giovani
italiani orientarsi tra i vari settori professionali, con il rischio
di acuire ancora di più l’esistente ‘skill mismatch’ del nostro
mercato del lavoro, dove da una parte ci sono oltre 2 milioni di
giovani inattivi, i famosi NEET, ragazzi tra i 20 e i 34 anni che non
studiano e non lavorano, e dall’altra tante aziende che non trovano i
lavoratori con le competenze richieste.
Chiedo quindi all’ordine di riflettere bene su come dare seguito a
queste linee guida sulla disciplina dei tirocini extracurriculari.
Personalmente non condivido queste nuove direttive dell’Ordine dei
Giornalisti della Puglia.
Significa non fare crescere la piccola editoria e non far crescere i
futuri giornalisti, nessun editore assumerà i giovani con un tale
esborso. Siamo alla classica ‘casta’ che vuole proteggere il proprio
orticello e non aprirsi al futuro.
Proteggere se stessi senza nessuna ingerenza esterna.
Il Consiglio eletto lo scorso anno si è dato nelle priorità: chiedere
le porte in faccia ai nuovi giornalisti.
Nessun confronto con gli iscritti, nessun richiesta di parere agli
editori. Su questo il Corriere di Puglia e Lucania darà ampio spazio
regionale e nazionale con le video interviste e non solo.
Infine ciò che ho sostenuto in questo breve scritto ossia che l’
Ordine dei giornalisti sia un ostacolo alla professione, lo sostiene
già da tempo anche la comunità europea
E’ quanto emerge da un rapporto pubblicato dalla Commissione Ue e
redatto dal Centro europeo per la libertà e il pluralismo dei media
nel 2020.
Riporto qualche dato :
Per quanto riguarda l’indice della protezione della libertà di
espressione, 17 Paesi sono a rischio basso, 12 a rischio medio (tra
questi c’è l’Italia) e uno, la Turchia, a rischio “alto”.
Per quanto riguarda l’indicatore dell’accesso alla professione
giornalistica, 28 Paesi europei hanno rischio “basso”, mentre l’Italia
è l’unico ad avere un rischio “medio”, dato che “il sistema
dell’iscrizione all’Albo dei Giornalisti può essere interpretato,
sulla base degli standard internazionali, come un ostacolo
ingiustificato da superare per accedere alla professione”. Nella
maggior parte degli altri Paesi europei, l’accesso alla professione è
libero, con un sistema di registrazione o autorizzazione, sulla base
di criteri “oggettivi, proporzionati e non discriminatori”. La Turchia
ha un rischio “alto”.
Aprirò un ampio dibatto sulla opportunità o meno che in Italia ci sia
ancora un Ordine dei giornalisti!
Antonio Peragine