di Achille Colombo Clerici
Anche ad un uomo della Chiesa, non è sfuggito il cambiamento strisciante in atto nella nuova urbanistica che, partendo da Milano e dalle grandi aree metropolitane, sta lentamente interessando tutto il Paese. L’Arcivescovo Mario Delpini, in una intervista resa a corriere.it in occasione del Capodanno, ha dichiarato: «Rivendico l’originalità delle città “made in Italy”. Mi auguro che gli urbanisti e gli investitori non si mettano in mente di imitare le megalopoli che prosciugano il Paese, assicurano ai ricchi case incantevoli e imprigionano i poveri in favelas indegne. Nelle città “made in Italy” gli abitanti crescono poco a poco e talora anche diminuiscono. Le case non sono investimenti di fondi che pretendono di guadagnare il più possibile nel minor tempo possibile. Le case sono frutto dell’intraprendenza delle famiglie e dei singoli, della forza del cooperare, della promozione della politica. La città non sta bene se divora tutto il territorio. I poveri, se piangono ciascuno per conto suo, non migliorano. Se si sviluppa una solidarietà volonterosa e determinata, si può cambiare anche il volto della città.>>
E difatti, in ciò sta l’anima del nostro Paese, la cui economia ha origini antichissime storicamente legate alla economia delle famiglie, che hanno gestito in proprio i risparmi frutto del lavoro, costruendo le case a misura dei bisogni e della dimensione economica familiare: nella iniziativa privata e nella solidarietà operosa.
La questione è che oggi, dopo il passaggio della finanziarizzazione e della internazionalizzazione vissuto dal nostro Paese, tale storica concezione urta con l’idea che la finanza internazionale, grande reggitrice della politica comunitaria, si è fatta della modernizzazione dell’Italia. La grande e media industria deve sostituire il piccolo imprenditore; il supermercato il bottegaio; il fondo immobiliare il singolo promotore-investitore immobiliare, attraverso l’intermediazione della finanza strutturata.
L’economista Francesco Forte, mancato in questi giorni, ha sostenuto che è in atto un disegno politico per favorire lo spostamento della proprietà immobiliare verso i
gestori collettivi, sul presupposto che il governo centralizzato dell’economia
dell’investimento immobiliare giovi alla modernizzazione del Paese. “In certi ambienti – aveva detto – si sostiene che gli immobili non debbano essere realizzati, gestiti dalle famiglie, ma dalle società finanziarie che, poi, li daranno in affitto così da creare un mercato più mobile. Alla politica quindi il compito di far spostare l’investimento negli immobili gestiti a livello individuale verso collettori della finanza strutturata.