Caso Attilio Manca: “Mio figlio curò Provenzano e poi fu ucciso, ora il caso si riapre davvero”. Quel dubbio sul ricovero a Castelvetrano

Il caso della morte del giovane medico Attilio Manca è un altro episodio da scrivere nel libro “vergogne di Stato”. Un omicidio spacciato per suicidio, dove alcuni magistrati con la complicità di alcuni inquirenti hanno depistato le indagini. Nessuno cercò la verità.

Nessuno ha indagato su quella intervista telefonica di un ignoto infermiere di Castelvetrano, in una puntata di “Chi l’ha visto”, che segnalava presenze strane dentro l’ospedale. “Gentile Signora- disse l’ignoto infermiere nel corso della trasmissione- (riferito alla madre dell’urologo Angela Manca nda) suo figlio era in Castelvetrano il 5 maggio 2003 ricoverato in ortopedia appoggiato in chirurgia generale perché troppo piena…io stesso ho preparato la stanza undici per un vecchio che dovevo assistere…ma che forse era già ricoverato nell’altro reparto … sapevo che era per prostata ma non capivo di prima mattina x (perché nda) in ortopedia…intuivo che c’era qualcosa che non andava.. .il vecchio dopo l’arresto l’ho riconosciuto come Bernardo Provenzano, dato che si era presentato come Gaspare Troia (circostanza vera questa del nome di un panettiere adottato da Provenzano al tempo per il ricovero, nda)La puntata risale al 2013

Pubblichiamo l’articolo pubblicato dal settimanale “Oggi”

Caso Attilio Manca: “Mio figlio curò Provenzano e poi fu ucciso, ora il caso si riapre davvero”.
di Massimo Laganà – settimanale Oggi
«HANNO COSTRUITO UNA MESSINSCENA, PER DIRE CHE ERA MORTO PER OVERDOSE. MA LA DONNA ACCUSATA DI AVERGLI DATO LA DROGA È STATA ASSOLTA IN APPELLO», RACCONTA ANGELA «IL MURO DI BUGIE STA CROLLANDO…»
Chi ha un’anima muore più spesso, scrisse Emily Dickinson. Ma il cuore di una madre è molto più grande di una poesia. Angela Manca, 77, ha perso un figlio 17 anni fa. E ha stipulato un armistizio con il proprio dolore. Non cerca oblio, né conforto. Vuole soltanto giustizia. Verità. Lotta per trovarle. E per continuare a vivere.
Attilio Manca era un brillantissimo urologo, nato a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina). Morì a 34 anni, nel suo appartamento di Viterbo, tra il 10 e l’11 febbraio del 2004. Tutto lascia credere che sia stata un’esecuzione mafiosa. Il giovane medico aveva curato, suo malgrado, Bernardo Provenzano, durante la latitanza del boss. Era diventato un testimone scomodo. Fu messo in condizione di non parlare mai più. Venne orchestrata una macabra sceneggiata. Una lacunosa autopsia stabilì che la causa del decesso fu un’overdose di eroina. Si tentò di far passare Attilio per un tossicodipendente. I suoi familiari non hanno mai creduto a questo teorema e ora hanno un’importante carta giudiziaria in mano. In Appello è stata assolta la donna accusata di aver dato la presunta dose letale ad Attilio.
Signora Angela, i suoi occhi lucidi parlano. Posso immaginare la soddisfazione per la sentenza. Quali saranno i prossimi passi?
«Siamo in attesa delle motivazioni, comunque un dato è certo: il caso si riapre. Monica Mileti, la pretesa pusher, è stata scagionata perché il fatto non sussiste. Quindi mio figlio non ha acquistato l’eroina da nessuno. Si tratta semmai di scoprire chi gliel’ha iniettata brutalmente. È quanto chiediamo da sempre».
Perché non avete mai creduto al suicidio?
«Innanzitutto mio figlio non si drogava. Era un grandissimo urologo, aveva vinto due concorsi e lavorava all’ospedale di Viterbo. Fu il primo in Italia a operare alla prostata con la tecnica laparoscopica, che aveva appreso al Gemelli di Roma e a Parigi. È stato un omicidio mascherato, come ha scritto anche la relazione di minoranza della Commissione antimafia».
In effetti sono tanti i particolari che non quadrano.
«Non l’hanno saputa neppure architettare bene la loro messinscena. Mi hanno impedito con l’inganno di vedere il cadavere di Attilio. Ma nella foto ha il setto nasale deviato».
Significa che c’è stata una colluttazione.
«Certo. Inoltre i segni delle punture di eroina nel braccio sinistro sono incompatibili con il fatto che mio figlio era mancino. O vogliamo parlare dell’assenza in casa del laccio emostatico per l’endovenosa? Senza contare che le siringhe sono state trovate chiuse. Quale suicida si sarebbe preso la pena di rimettere il tappo di protezione, prima di morire»?
Chi le diede la terribile notizia?
«Ecco un altro aspetto sconcertante. I primi a essere avvisati della morte di nostro figlio furono Ugo Manca e suo padre: parenti con i quali avevamo troncato ogni rapporto. Ugo riportò di averlo saputo dal professor Rizzotto, primario di Attilio».
La domanda è ineluttabile: perché il dottore non informò immediatamente i genitori della vittima?
«Non so darle una risposta. Ci comunicarono solo che dovevamo partire subito per Viterbo, mi avevano addirittura estromessa dal viaggio. E poi ci indussero a non vedere il suo corpo, perché “era meglio ricordarlo com’era” ( la voce di Angela trema e s’incrina, ndr)».
Facciamo una pausa, signora?
«No. Non possiamo fermarci. Io vivo da 17 anni con il rimpianto di non aver dato l’estrema carezza a mio figlio. Da madre avrei intuito tutto subito, guardando il suo corpo. Se potessi, l’aprirei con le mie mani quella bara».
Quando ha capito con certezza che Attilio era stato ucciso dalla mafia?
«Un anno dopo la sua morte. Prima, sulla Gazzetta del Sud, uscì un articolo: da alcune intercettazioni risultava che un urologo aveva visitato il numero uno della mafia nel suo rifugio. Poi incontrai al cimitero il padre di un amico di Attilio, che mi chiese: “Non è che tuo figlio è stato ucciso per aver visitato Bernardo Provenzano?».
Sapevate che Attilio nell’autunno del 2003 era stato a Marsiglia, per operare il boss, come attestano vari pentiti di Cosa Nostra?
« Ci aveva raccontato del viaggio in Francia. Ma mio figli voleva proteggerci, ci disse che era andato per vedere un intervento. Anche perché lui all’inizio non aveva idea che il paziente fosse Provenzano. L’ha scoperto in un secondo momento. E quella è stata la sua rovina. Ci sentimmo due volte da Marsiglia. Peccato che quelle due telefonate siano stranamente sparite dai tabulati».
Non è l’unico mistero…
« Attilio mi chiamò la mattina di quel maledetto 11 febbraio. Chiedeva a me e a mio marito di riparare la moto che tenevamo a Tonnarella, vicino a Barcellona, dove abbiamo una casa al mare. Provai a fargli notare quanto fosse bizzarro preoccuparsi in pieno inverno di un mezzo che usava soltanto d’estate. Aveva un tono sbrigativo. Ovviamente anche questa telefonata non risulta dai tabulati. E qualcuno ha messo in dubbio la mia memoria. Come se una mamma potesse confondersi sull’ultima conversazione che ha avuto con suo figlio ».
Era un messaggio cifrato?
«Certo. Ma noi purtroppo non decodificammo il suo allarme. Abbiamo scoperto successivamente che Provenzano si nascose per un certo periodo nei dintorni di Barcellona Pozzo di Gotto. Mio figlio provò con la forza della disperazione a lanciare un segnale. A chiedere aiuto… »
Chi era suo figlio?
« Ci telefonava almeno due volte al giorno. Era il ragazzo più affettuoso che abbia mai conosciuto: il figlio che tutti vorrebbero avere. Amava ripetere che aveva studiato medicina per occuparsi dei suoi genitori quando fossero divenuti anziani. Adesso noi siamo vecchi, ma lui non c’è e non può prendersi cura di noi. Anche se abbiamo un altro figlio, Gianluca, che è buonissimo ».
Avete notato qualche cambiamento negli ultimi tempi?
« Sì, era sfuggente. Chiudeva le telefonate in pochi secondi. Qualcosa lo opprimeva, però noi non potevamo immaginare neppure quanto fosse grave…. ».
Qual’è il suo primo pensiero quando si alza?
« Che sono stata una madre fortunata. Ho avuto il figlio più bravo del mondo ».
Angela Manca

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