di Fabio Avallone
Prima di illustrare i contenuti e le criticità della c.d. Riforma Cartabia, che arriverà all’esame della Camera dei Deputati domenica alle 14 e sulla quale il governo ha annunciato di voler porre la questione di fiducia, è necessario fare alcune premesse di ordine sistematico e metodologico, così com’è necessario un piccolo glossario.
Si tratta, infatti, di un argomento molto tecnico. Le approssimazioni o la scarsa conoscenza del significato giuridico di alcuni termini rischiano di impedire la corretta comprensione della riforma.
Il contesto in cui nasce la riforma
Cosa prevede la riforma Cartabia
Le reazioni alla proposta Cartabia
Il contesto in cui nasce la riforma
Premessa 1: perché la riforma della giustizia penale è diventata urgente
Nel maggio scorso la Ministra della Giustizia Marta Cartabia ha dichiarato, nell’incontro con i capigruppo delle Commissioni Giustizia della Camera che: «Sulla durata dei processi il Governo si gioca tutto il Recovery, non solo la parte legata alla giustizia. Quanto a investimenti, nel Recovery la giustizia vale l’1%. Ma se falliamo le riforme sulla giustizia è travolto il 100% del Recovery. Perché la Commissione europea ha imposto al governo italiano alcune condizioni per ottenere i 191,5 miliardi dei fondi Next Generation EU. Per quanto riguarda la giustizia gli obiettivi sono chiari: in cinque anni dobbiamo ridurre del 40% i tempi dei giudizi civili e il 25% della durata dei giudizi penali».
La Ministra fa riferimento al piano denominato Next Generation EU, che è uno strumento temporaneo per la ripresa da oltre 800 miliardi di euro, approntato dall’Unione Europea per affrontare le conseguenze economiche della pandemia. L’Italia è tra i maggiori beneficiari del piano. Il fulcro del NGEU è rappresentato dal Dispositivo per la ripresa e la resilienza: 723,8 miliardi di euro di prestiti e sovvenzioni per sostenere le riforme e gli investimenti effettuati dagli Stati membri. I finanziamenti sono concessi dall’UE in base ai Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza. Quello dell’Italia è consultabile qui.
Il Piano italiano prevede tre tipi di riforme:
Riforme orizzontali o di contesto, d’interesse trasversale a tutte le Missioni del Piano;
Riforme abilitanti, ovvero gli interventi funzionali a garantire l’attuazione del Piano;
Riforme settoriali, contenute all’interno delle singole Missioni.
Le riforme orizzontali sono solo due: la riforma della pubblica amministrazione e, appunto, la riforma della giustizia.
Con decreto del 16 marzo 2021 la Ministra della giustizia, Marta Cartabia, ha costituito presso l’Ufficio legislativo del Ministero “una Commissione per elaborare proposte di riforma in materia di processo e sistema sanzionatorio penale, nonché in materia di prescrizione del reato, attraverso la formulazione di emendamenti al Disegno di legge A.C. 2435, recante Delega al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti di appello”, presieduta dal Presidente emerito della Corte costituzionale Giorgio Lattanzi (c.d. Commissione Lattanzi).
Premessa 2: perché l’Italia deve ridurre i tempi della giustizia penale e civile
Ogni anno l’Unione Europea elabora le Country Specific Recommendations (CSR), Raccomandazioni specifiche del Consiglio Europeo per ogni paese membro. Nelle CSR sono contenute raccomandazioni sulle misure da adottare nei 12 mesi successivi, elaborate sulla base dei programmi nazionali di riforma. Sia nelle CSR 2019 che in quelle 2020, l’Italia è stata invitata a rivedere il proprio ordinamento giudiziario al fine di garantire una durata minore dei processi.
Per farsi un’idea della situazione dei processi in Italia è bene consultare il rapporto biennale che viene pubblicato dal Consiglio d’Europa (organismo che riunisce 47 Stati Membri, distinto dall’Unione Europea). Nell’ultimo Rapporto, denominato “CEPEJ Report on the evaluation of European judicial systems,” pubblicato nel 2020 e relativo ai dati del biennio 2016-2018, si legge, ad esempio, che in Italia la durata del primo grado di giudizio nei processi civili è di 527 giorni, in leggero aumento rispetto al biennio precedente (514). La media dei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa è di 233 giorni. L’Italia è anche il Paese con la più alta percentuale di processi civili e penali pendenti nel secondo grado di giudizio dopo due anni dall’instaurazione degli stessi (44,8% per i primi e 41,5% per i secondi). Nella maggior parte dei Paesi europei questa percentuale è pari a zero. La durata complessiva di un processo penale in Italia è di circa 3 anni e 9 mesi, in alcuni distretti si superano i 6 anni, in Europa dura più o meno un anno. Un processo amministrativo dura da noi più di 5 anni; quello civile oltre 6 anni.
L’Italia è stata anche condannata innumerevoli volte dalla Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) per violazione dell’art. 6, par. 1, Cedu in base al quale «Ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti ad un Tribunale indipendente e imparziale costituito per legge». Una norma abbastanza simile a quella contenuta nella nostra Legge Fondamentale, l’art. 111, comma 2, Cost. secondo cui la «La legge […] assicura la ragionevole durata [del processo]». Qui un approfondimento sul tema del Prof. Paolo Ferrua. Sul sito del Ministero della Giustizia sono raccolte le sentenze di condanna dell’Italia emesse dalla Corte EDU. Quelle per violazione dell’equo processo sono ben 228 a partire dal 2002.
Nella relazione finale della Commissione Lattanzi, incaricata dalla Ministra Cartabia, si legge “il giudizio di appello, addirittura, ha una durata media otto volte superiore [alla media europea] . Secondo i dati del Ministero della Giustizia, relativi al 2019 (gli ultimi non influenzati dai rallentamenti dovuti a all’emergenza pandemica), i procedimenti definiti con la prescrizione del reato rappresentano il 9% di quelli avviati a livello nazionale. L’incidenza della prescrizione è di circa il 38% durante le indagini, del 32% nel giudizio di primo grado, del 26% nel giudizio d’appello; mentre è insignificante nel giudizio di legittimità (0,8%)”. Il governo ha dichiarato nel PNRR di voler ridurre i tempi medi dei procedimenti penali del 25%.
Premessa 3: come sono disciplinati (per sommi capi) i processi penali in Italia.
L’articolo 112 della Costituzione recita: “Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”. Si tratta del c.d. principio dell’obbligatorietà dell’azione penale in base al quale il PM, una volta acquisita la notizia di un reato, ha l’obbligo di compiere ogni indagine necessaria per valutarne la fondatezza. Se le indagini preliminari indicheranno che la notizia ricevuta era fondata, verrà chiesto il giudizio nei confronti del presunto autore del reato. In caso contrario verrà chiesta l’archiviazione.
Il procedimento penale comincia proprio con quest’atto: l’iscrizione della notizia di reato in un apposito registro tenuto dal Pubblico Ministero. Procede con la fase delle indagini preliminari (la cui durata massima è determinata dalla legge) e la richiesta di giudizio o di archiviazione. Su questa si deve esprimere il Giudice per le indagini preliminari (GIP), il quale può accogliere o rigettare la richiesta oppure ordinare ulteriori indagini. Con la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal PM il presunto autore del reato passa da indagato a imputato. Una volta che venga disposto il giudizio si passa, dopo una serie di adempimenti preliminari, alla fase del dibattimento, fase nella quale le parti esporranno la propria versione dei fatti, supportate dai mezzi di prova. Le prove dovranno essere validamente prodotte in tribunale durante la trattazione della causa. Al termine della fase dibattimentale le parti espongono le proprie conclusioni nella discussione finale. Udite le conclusioni il giudice emetterà una sentenza che può essere di proscioglimento (per non doversi procedere o per assoluzione) o di condanna.
La parte soccombente, entro determinati termini stabiliti dalla legge, può impugnare la sentenza di primo grado, dando l’avvio al giudizio di appello, disciplinato nel titolo II del Libro IX del codice di procedura penale. In questa seconda fase il processo riguarderà solo ed esclusivamente i motivi di impugnazione. Al termine dell’appello il giudice di secondo grado pronuncia una sentenza che può essere: di conferma, annullamento o annullamento con rinvio al giudice di primo grado. In quest’ultimo grado il processo ripartirà dal primo grado di giudizio, ma con un giudice diverso. Contro la sentenza del giudizio di Appello è ammesso, esclusivamente per motivi di legittimità (non legati quindi al merito della vicenda) e sempre entro determinati termini, il ricorso per Cassazione.
Anche la Corte di Cassazione può pronunciare diversi tipi di sentenza: di inammissibilità o di rigetto, di rettifica, di annullamento senza rinvio, di annullamento con rinvio. In quest’ultimo caso la causa verrà rimessa al giudice il cui provvedimento era stato impugnato, ripartendo da quel momento.
Con la sentenza della Corte di Cassazione si esaurisce il giudizio di cognizione. L’imputato diviene condannato e si apre la fase esecutiva per l’esecuzione della pena.
Premessa 4: un piccolo glossario
Prima di illustrare i contenuti della riforma Cartabia è necessario specificare il significato tecnico di alcuni termini, senza conoscere i quali è impossibile cogliere le novità introdotte:
Prescrizione del reato: è una causa estintiva del reato. Si produce quando non è stata pronunciata una sentenza irrevocabile (ovvero non più impugnabile) di condanna nei confronti di un imputato entro determinati termini stabiliti dalla legge. I termini variano a seconda del reato, sono di norma uguali alla pena massima comminabile (ma ci sono eccezioni e partono comunque da un minimo di 6 anni per i delitti e di 4 anni per le contravvenzioni) e vengono conteggiati dal momento in cui il reato è stato commesso o tentato o, nel caso di reati continuati, abituali o permanenti, dal giorno in cui è stato commesso l’ultimo atto riconducibile alla fattispecie contestata. Viene rilevata dal giudice, ma l’imputato vi può rinunciare, chiedendo espressamente il proseguimento del giudizio. I reati per cui la pena massima è l’ergastolo sono imprescrittibili. Esistono casi in cui il decorso dei termini di prescrizione sono sospesi.
Prescrizione della pena: gli artt. 172 e 173 del codice penale prevedono i casi in cui un cittadino, pur essendo stato condannato con sentenza irrevocabile, non debba però scontare la pena che gli è stata irrogata. Di norma, quando dal giorno della sentenza è trascorso un tempo pari al doppio della pena comminata (ma con un minimo di 10 anni e un massimo di 30 anni) senza che la pena sia stata scontata, questa venga dichiarata prescritta. Anche qui esistono eccezioni ai termini generali. La pena dell’ergastolo non si prescrive.
Improcedibilità: nel diritto penale si verifica quando vi è la mancanza di una condizione, appunto, di procedibilità. Tali condizioni sono la querela (per i reati perseguibili a querela di parte), l’istanza (per i reati commessi all’estero), la richiesta (da parte del Pubblico Ministero) e l’autorizzazione a procedere, anche se in quest’ultimo caso si parla preferibilmente di proseguibilità. A seconda della fase del procedimento in cui venga constatata la mancanza della condizione di procedibilità si potrà avere un provvedimento di archiviazione, una sentenza di non luogo a procedere nell’udienza preliminare o una sentenza di non doversi procedere in dibattimento. L’improcedibilità ferma dunque il procedimento, ma non impedisce il successivo esercizio dell’azione penale per lo stesso fatto contro la stessa persona qualora la condizione di procedibilità sopraggiunga in un secondo momento.
Premessa 5: brevi cenni all’istituto della prescrizione
Si tratta di un istituto ben radicato nell’ordinamento giuridico italiano, comune (seppur con modalità diverse) agli ordinamenti c.d. di civil law (ovvero gli ordinamenti che derivano più o meno direttamente dalla tradizione romano-germanica e caratterizzati da un forte formalismo e da norme scritte che vincolano i giudici. Il modello alternativo, quello della common law, tipicamente inglese, è invece caratterizzato dalla giurisprudenza come forma normativa, in base al sistema dei precedenti). Nel nostro ordinamento, per limitarci al diritto penale, il trascorrere del tempo influisce sull’interesse da parte dello Stato al pronunciarsi di una sentenza che accerti la colpevolezza o l’innocenza di qualcuno. Con l’allontanarsi dal momento in cui il fatto è accaduto, vale a dire, da una parte viene meno l’utilità della comminazione di una pena (che per la Costituzione deve avere finalità riabilitative), dall’altra sopravviene la difficoltà nell’accertamento di fatti oramai lontani. Si tratta di una valutazione in termini di opportunità e questo spiega perché i termini di prescrizione siano legati al massimo della pena comminabile e perché per i reati più gravi, quelli puniti con l’ergastolo, la prescrizione non sia prevista.
Per la Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 143 del 2014), si tratta di un istituto di natura sostanziale, la cui ratio è da rinvenirsi nell’”interesse generale di non più perseguire i reati rispetto ai quali il lungo tempo decorso dopo la loro commissione abbia fatto venir meno, o notevolmente attenuato, […] l’allarme della coscienza comune”, sia nel “‘diritto all’oblio’ dei cittadini, quando il reato non sia così grave da escludere tale tutela” (sentenza n. 23 del 2013).
Dicevamo che si tratta di un istituto comune a molti paesi europei, ma non dappertutto funziona allo stesso modo. In Francia e Germania, ad esempio, l’inizio di un’azione penale interrompe il decorso della prescrizione. In Spagna e in Grecia, invece, funziona a grandi linee come in Italia. Una breve analisi di diritto comparato, risalente al 2015, fu approntata dall’Ufficio Legislazione Straniera della Camera dei Deputati. Al 2017, invece, risalgono queste riflessioni, sempre sulla comparazione sui diversi sistemi europei, del Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione Antonio Balsamo, pubblicate sul sito dell’Associazione nazionale magistrati (ANM).
Nel 2020, secondo i dati messi a disposizione dal Ministero della Giustizia, un procedimento penale su quattro di quelli definiti in Corte di Appello si è chiuso per intervenuta prescrizione (21.393 su 83.463, pari al 25,6%).
Ultima premessa: l’evoluzione della disciplina della prescrizione in Italia (in sintesi)
Negli ultimi anni la prescrizione è stata oggetto di tre interventi di riforma.
Il primo nel 2005 (legge 5 dicembre 2005, n. 251) che ha fissato i tempi di prescrizione attualmente vigenti, legandoli al massimo della pena comminabile.
Il secondo nel 2017 (c.d. riforma Orlando, legge 23 giugno 2017, n. 103). Con questa novella si è intervenuti soprattutto sugli artt. 159, 160 e 161 del codice penale. Riassumendo (molto), furono inseriti casi di interruzione e sospensione del decorso del termine di prescrizione. La differenza è fondamentale poiché in caso di interruzione il termine inizia a decorrere nuovamente dal giorno successivo, partendo da zero. Nei casi di sospensione, invece, cessata la causa sospensiva, il termine ricomincia a decorrere tenendo conto del tempo trascorso.
ll terzo nel 2019 (ma entrato in vigore il primo gennaio 2020), è la c.d. “legge spazzacorrotti” (legge 9 gennaio 2019, n. 3). La riforma è intervenuta sugli articoli 158, 159, 160 e 161 del codice penale, modificando i termini iniziali e finali dei tempi di prescrizione e, soprattutto, stabilendo che, a partire dal 1° gennaio 2020, il corso della prescrizione viene sospeso dalla data di pronuncia della sentenza di primo grado (sia di condanna che di assoluzione) o dal decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o alla data di irrevocabilità del citato decreto.
Cosa prevede la riforma Cartabia
L’8 luglio 2021 il Consiglio dei Ministri ha approvato all’unanimità gli emendamenti proposti dalla Ministra della Giustizia Marta Cartabia al disegno di legge di “delega al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d’appello” (A.C. 2435). Si tratta di una legge delega per la quale, quindi, sarà necessario entro un anno approvare i decreti attuativi, eccezion fatta per le norme sulla prescrizione che entrerebbero immediatamente in vigore in caso di approvazione. Di seguito le novità principali.
La prescrizione
Il Disegno di Legge originario, sul quale si innestano gli emendamenti governativi, era stato presentato dall’allora Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede nel marzo 2020 con lo scopo di velocizzare lo svolgimento dei procedimenti penali dopo essere intervenuto sulla prescrizione, stabilendo che il termine finale fosse fissato nella sentenza di primo grado.
Tale previsione permane, con alcune novità, anche nel testo presentato dal governo il quale inserisce un nuovo art. 161 bis c.p. (Cessazione del corso della prescrizione) che dispone che “il corso della prescrizione del reato cessa definitivamente con la pronunzia della sentenza di primo grado. Nondimeno, nel caso di annullamento che comporti la regressione del procedimento al primo grado o a una fase anteriore, la prescrizione riprende il suo corso dalla data della pronunzia definitiva di annullamento”.
Rispetto alle norme vigenti ci sono due novità: la prima è la cessazione del termine di prescrizione laddove la disciplina in vigore prevede la sospensione. La seconda è che tale conseguenza viene fatta discendere solo dalle sentenze e non dai decreti penali di condanna (che vengono emessi in assenza di contraddittorio e per la sola comminazione di pene pecuniarie. Si tratta di un procedimento nel quale mancano sia l’udienza preliminare che il dibattimento). Nella proposta del governo, il decreto penale di condanna viene inserito tra gli eventi interruttivi della prescrizione, in un diverso articolo.
L’improcedibilità
La novità più discussa della riforma Cartabia è senza dubbio la previsione di una nuova causa di improcedibilità. Il nuovo art. 344 bis del Codice di procedura penale, infatti, dovrebbe prevedere che:
- La mancata definizione del giudizio di appello entro il termine di due anni costituisce causa di improcedibilità dell’azione penale.
- La mancata definizione del giudizio di cassazione entro il termine di un anno costituisce causa di improcedibilità dell’azione penale.
Tali termini, che decorrono dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine per il deposito della sentenza, possono essere aumentati, rispettivamente, di un anno e di sei mesi, per i soli reati previsti dalla legge (per i delitti di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a) – tra i quali figurano reati di particolare gravità come devastazione, saccheggio e strage, associazione a delinquere semplice, di tipo mafioso, terrorismo, corruzione, traffico di stupefacenti, violenza sessuale, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, prostituzione minorile, riduzione in schiavitù, omicidio non aggravato, rapina, estorsione, sequestro e reati di spaccio in caso di ingente quantità), e per i delitti di cui agli articoli 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322 e 322-bis del codice penale – ovvero dei reati contro la pubblica amministrazione, come la corruzione e la concussione e solo se si tratti di “giudizi particolarmente complessi in ragione del numero delle parti o delle imputazioni o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare”. Non sono inoltre soggetti ad improcedibilità i reati puniti con l’ergastolo. Anche i termini di procedibilità sono soggetti a sospensione, negli stessi casi in cui è prevista attualmente la sospensione dei termini di prescrizione.
La nuova disciplina si applica per i reati commessi dopo il 1° gennaio 2020, data di entrata in vigore della “legge Bonafede”. Qualora vengano superati i termini di legge, il giudice della Corte di Appello o della Cassazione dovrà dichiarare il non doversi procedere, chiudendo il processo, ma l’imputato può chiedere espressamente la prosecuzione dello stesso, così come attualmente può rinunciare alla prescrizione.
Nel caso in cui al procedimento penale sia connesso un procedimento civile per il risarcimento del danno, infine, la sopravvenuta improcedibilità del primo non travolge anche il processo civile. Il giudice che dichiara l’improcedibilità rinvia al giudice competente in Corte d’appello, il quale potrà utilizzare le prove raccolte nel corso del procedimento penale.
Ieri sera il Consiglio dei ministri ha approvato una modifica resasi necessaria dopo le polemiche che hanno seguito la diffusione del testo varato il 23 luglio. L’accordo, così come si legge in un comunicato del Governo, “prevede che per i primi tre anni di applicazione della riforma, la durata del processo d’Appello si estende per un ulteriore anno e quella del processo per cassazione di ulteriori sei mesi; si prevede che per taluni reati, in particolare per i reati di associazione mafiosa, scambio politico mafioso, associazione finalizzata allo spaccio, violenza sessuale e reati con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico, i giudici di Appello e di Cassazione possano con ordinanza, motivata e ricorribile in Cassazione, disporre l’ulteriore proroga del periodo processuale in presenza di alcune condizioni riguardanti la complessità del processo, il numero delle parti e delle imputazioni o per la complessità delle questioni di fatto e di diritto. Per i reati aggravati di cui all’articolo 416 bis, primo comma, la proroga può essere disposta per non oltre due anni”.
Con decreto del ministro della Giustizia è costituito un Comitato tecnico-scientifico per il monitoraggio sull’efficienza della giustizia penale, sulla ragionevole durata del procedimento e sulla statistica giudiziaria quale organismo di consulenza e supporto nella valutazione periodica del raggiungimento degli obiettivi di accelerazione e semplificazione del procedimento penale, nel rispetto dei canoni del giusto processo, nonché di effettiva funzionalità degli istituti finalizzati a garantire un alleggerimento del carico giudiziario.
di Fabio Avallone
Fonte : Valigia Blu