Storia della congiura che fece diventare Prestipino capo della Procura di Roma
Il Tar del Lazio ha fatto saltare la nomina più importante che il Consiglio superiore della magistratura aveva in calendario nell’attuale consiliatura: quella del numero uno della Procura di Roma, la più importante del Paese. Uno smacco incredibile dal momento che per Michele Prestipino Giarritta aveva votato convintamente l’ex pm di Mani pulite Piercamillo Davigo, il magistrato “paladino della legalità”, come disse l’ex zar delle nomine Luca Palamara e sostenitore del sistema “gogna mediatica”attraverso l’invio dei file giudiziari ai giornalisti amici. Quei “copia incolla” estratti scientificamente da migliaia di pagine di intercettazioni che difficilmente un giornalista potrà mai visionare per intero. Non lo può fare neanche l’avvocato difensore, figurarsi un giornalista. Scientificamente su migliaia di frasi trascritte e senza contradditorio, si inviano alle stampe quelle “frasi” utili per condannare già prima del processo. Il metodo è stato ormai più volte sgamato e sa poco di democrazia e molto di giustizialismo cileno degli anni 70. Un sistema ben collaudato e voluto da diversi PM in barba ai valori costituzionali. Un indagato non sa neanche le parti trascritte se sono originali . L’audio non viene mai dato e se viene chiesto dalla difesa, passano anni per averlo
Oggi arriva la notizia del Csm. I togati superiori vogliono ricorrere al Consiglio di Stato pe favorire Prestipino nonostante il TAR e i maggiori titoli professionali nel curriculum di Lo Voi e Viola. Sul piano meritocratico non spetterebbe a Prestipino. Eppure la successione a sua Maestà Pignatone ha scatenato una guerra che ancora continua. Una guerra che parte da lontano.
Contro la nomina “viziata da illogicità” di Prestipino Giarritta avevano presentato lo scorso anno ricorso i tre candidati “sconfitti”: il procuratore generale di Firenze Marcello Viola, il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo.
La prima sezione del Tar del Lazio, presidente Antonino Savo Amodio, estensore Ivo Correale, ha accolto i ricorsi dei primi due, respingendo quello di Creazzo. I giudici amministrativi sono stati durissimi con il Csm, bacchettandolo in particolare per essersi scordato di indicare i motivi secondo i quali aveva deciso di escludere la candidatura di Viola e di non valutare adeguatamente i titoli di Lo Voi: “L’omissione della valutazione di Viola, data dalla revoca della proposta a lui favorevole del 23 maggio 2019, appare priva della necessaria motivazione, in assenza di elementi oggettivamente riscontrabili a suo carico (rinvio a giudizio, apertura di procedimento disciplinare e simili)”. Il Csm, in estrema sintesi, aveva “irragionevolmente” cambiato atteggiamento sulla nomina di Viola dopo la diffusione illegale del contenuto delle intercettazioni ambientali a caco di Palamara. “Emerge da più di un intervento in Plenum – osserva il Tar – che Viola, in audizione, si era dichiarato ‘parte offesa’ e che, oggettivamente dalla lettura delle intercettazioni emergeva tale qualità di parte offesa rispetto alle ‘macchinazioni o aspirazioni di altri’”.
In sostanza l’essere stato ‘scelto’ a sua insaputa, “non poteva condizionare in alcun modo l’orientamento del Csm”. “Suggestivo” era stato poi il tentativo di Palazzo dei Marescialli di giustificare il mutamento di indirizzo a causa delle diverse persone fisiche presenti in Commissione e dall’audizione di Viola. Questi i “fatti” in diritto. Per capire come sia stato possibile che il Csm abbiamo avallato una nomina “illogica” è necessario tornare indietro di circa due anni. Tutto ha inizio il 23 maggio del 2019 quando Viola era risultato il candidato più votato dalla Quinta commissione del Consiglio Superiore della Magistratura, competente per gli incarichi direttivi, con 4 voti, fra cui quello di Davigo, rispetto al voto singolo andato agli altri due candidati, Lo Voi e Creazzo.
Fonte: Il Riformista