
Una rete di professionisti avrebbe alterato i documenti fiscali per almeno 163 stranieri. Coinvolti un agente e un consigliere della Consulta delle culture
Migranti che dichiarano di guadagnare in un giorno quanto un buon calciatore di serie A, stranieri che assistono in sei contemporaneamente la stessa anziana (in ottima salute), altri ancora che incassano al mese quanto un funzionario di banca vendendo cover per telefonini fra i tavoli dei bar. Migranti che dichiarano di avere 5 figli e una moglie a carico ma vivono soli e non si sono mai sposati o che aprono ditte individuali di giardinaggio, ma sono nati e cresciuti nel deserto del Nord Africa. Il tutto per ottenere o rinnovare i permessi di soggiorno sotto la regia di una dozzina di consulenti commercialisti, molti dei quali titolari di Centri di assistenza fiscale (Caf). Ragionieri e dottori commercialisti che in cambio circa 500 euro a pratica negli ultimi quattro anni hanno falsificato la documentazione di almeno 163 stranieri irregolari che chiedevano il permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
I militari del gruppo di Palermo della guardia di finanza e gli agenti della squadra mobile coordinati dai sostituti procuratori palermitani Giorgia Spiri ed Enrico Bologna hanno azzerato questa mattina la rete di professionisti che falsificavano la documentazione per i permessi di lavoro. All’alba i finanzieri e i poliziotti in esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Nicola Aiello hanno arrestato e messo ai domiciliari Gesualdo Meli, Antonino Di Majo, Gianfranco Ficano, Francesco Noto, Antonino Pisciotta, Paola Giannetto, Antonino Russo, Marco Celani e il poliziotto Salvatore Giacobbe che sfruttava le sue entrature in Prefettura ed è il marito della titolare di un Caf di Castelvetrano. Per Thayaraj Arulnesan, membro della Consulta delle culture del Comune di Palermo e a sua volta titolare di un Caf, il gip ha disposto il divieto di dimora nel comune di Palermo e obbligo di presentazione all’ufficio immigrazione della questura per tre giorni a settimana. Altri otto indagati non sono stati raggiunti da misura cautelare. Tutti rispondono a vario titolo di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di violazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
Le false richieste di permessi di soggiorno venivano “confezionate” per lo più alzando il reddito del migrante appena sopra la soglia minima prevista dalla normativa per la regolarizzazione, ma c’era anche chi assumeva fittiziamente gli stranieri e chi faceva loro aprire ditte individuali su cui poi i commercialisti “inventavano” le dichiarazioni dei redditi.
Uno degli arrestati finiti ai domiciliari, Antonino Russo, ragioniere e titolare di uno dei Caf finiti nella bufera, non si preoccupava di eventuali controlli e nemmeno che le pratiche di richiesta di permesso di soggiorno andassero a buon fine. Per Russo come per gli altri indagati erano solo pratiche su cui incassare mediamente 500 euro e nulla più. In un caso a precisa richiesta di chiarimenti sulle incongruenze relative alle dichiarazioni di un suo cliente, un ambulante indiano, Russo ha risposto all’ufficio immigrazione della questura con una lettera scritta a mano in cui si legge: “Il lavoro svolto è stato in via occasionale in varie parti dell’anno 2014 per cui non si può risalire ai datori di lavoro”. Avvertito che senza documentazione la richiesta di permesso sarebbe stata respinta il consulente ha ribadito in una seconda lettera (sempre scritta a mano su un foglio bianco) “poichè trattasi di lavoro autonomo non esercitato abitualmente il contribuente ha ricordato i soldi che ha guadagnato nel periodo indicato. Non ha ricevuto la dichiarazione… è stata come una confessione in base alle norme fiscali esistenti. Per eventuali chiarimenti telefonare al numero…”.
La convinzione di non poter essere scoperti nella gestione illegale delle pratiche di rinnovo dei permessi di soggiorno ha portato uno degli indagati, un commercialista di origine messinese, a far figurare che un paio di migranti guadagnassero quanto un calciatore di serie A. Il 24 ottobre 2014 suggerisce a un cittadino ghanese di 43 anni di aprire una ditta individuale di giardinaggio. Come piccolo imprenditore ha la possibilità di ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno, ma c’è sempre l’ostacolo del reddito da dimostrare. Come fare? Semplice, basta scrivere la cifra giusta, poco meno di seimila euro sulla dichiarazione dei redditi. E così il consulente compila tutti i moduli e il ghanese il giorno stesso li presenta all’ufficio immigrazione. Peccato che la data di inizio attività della sua ditta e quella della dichiarazione fiscale coincidano. Ovvero il giardiniere ghanese in un solo giorno ha curato giardini e tagliato erba guadagnando poco meno di seimila euro. Più o meno quanto guadagna un buon attaccante di serie A. Il suo consulente infatti certifica che: “…nel periodo d’imposta 2014 dall’inizio dell’attività ad oggi ha prodotto un reddito complessivo pari a 5,930,00, quale lavoratore autonomo così come si evince dai documenti… Si rilascia il presente uso rinnovo e/o richiesta del documento di soggiorno. Palermo, 24/10/2014”. La stessa data del giorno di inizio attività. Ma il ghanese non è il solo giardiniere che guadagna in un giorno quanto un attaccante professionista. Stessa cifra, 5.930 euro, la dichiara anche un 50enne ivoriano assistito dallo stesso commercialista.
Fonte: Repubblica.it