I giudici: depistaggio su Borsellino pilotato da uomini delle istituzioni
Tre poliziotti, all’epoca dei fatti, con varie responsabilità sono stati rinviati a giudizio. Uno di questi è l’attuale Questore di Gorizia
La Procura di Palermo e le stragi, cosa hanno nascosto in tutti questi anni?
L’imbarazzo dei blog antimafisti che sfiorano la vicenda
Dalle indagini sul metodo Montante alle stragi, la Procura di Caltanissetta sta cercando con coraggio la verità.
Come si può combattere la mafia e pretendere che i cittadini abbiano fiducia nelle istituzione se le stesse Istituzioni non rispettano le leggi?
I siciliani onesti e mortificati da certa antimafia hanno diritto di sapere tutta la verità
Falsi pentiti, poliziotti che depistavano. proteggendo i veri colpevoli. Tutti devono pagare
Dal 1992 al 1994 il Ministro dell?interno era Nicola Mancino sempre difeso dal PD , il presidente del consiglio era Ciriaco De Mita
Il 1º luglio 1992 alle ore 19:30 Paolo Borsellino aveva un appuntamento al Viminale con Mancino che in quel giorno assumeva la carica di ministro: così è segnato nell’agenda grigia del magistrato (quella rossa recante lo stemma dell’Arma dei Carabinieri in possesso di Paolo Borsellino fino al giorno delle strage e in cui si presume siano presenti le sue considerazioni e intuizioni sulla strage di Capaci è tuttora introvabile). Molti giornalisti vicini alle procure, difesero l’operato di Mancino e Parisi. Questo “scherzo” fece finire in carcere e con condanne , molti innocenti accusati dai falsi pentiti
Le istituzioni che cercavano la verità su Borsellino depistate da uomini delle istituzioni. Lo certifica la Corte d’Assise di Caltanissetta nelle 1865 pagine di motivazioni della sentenza con cui si è concluso, poco più di un anno fa, l’ultimo processo sulla strage di via d’Amelio: «Uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana», si legge nel documento depositato sabato scorso, in cui i magistrati puntano il dito contro i servitori infedeli dello Stato che imbeccarono piccoli criminali, trasformati in informatori di Cosa nostra, costruendo falsi scenari sugli autori dell’attentato al giudice Borsellino.
Mancino dal 2006 al 2010 è stato vice presidente del CSM gestendo molte nomine di procuratori della repubblica
Capo della Polizia , all’epoca dei fatti era Vincenzo Parisi che fu fischiato ai funerali di Falcone. Un uomo vicino a Mancino e ai servizi segreti
Infatti, dal suo curriculum si legge che, dal 1980 viene chiamato al Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica (SISDe),[2] facente parte dei servizi segreti italiani e il 27 aprile è nominato vice direttore[3]. Nel marzo 1984 è promosso prefetto[2] e il consiglio dei ministri lo nomina direttore del SISDe. Fu Parisi a volere Arnaldo La Barbera, ritenuto dai magistrati di Caltanissetta “il depistatore” a ca po della Questura di Palermo.
Finti collaboratori di giustizia
Il 20 aprile del 2017 la Corte ha condannato all’ergastolo per strage Salvino Madonia e Vittorio Tutino e a 10 anni per calunnia Francesco Andriotta e Calogero Pulci, finti collaboratori di giustizia usati per mettere su una ricostruzione a tavolino delle fasi esecutive della strage costata l’ergastolo a sette innocenti. Accuse prescritte per per Vincenzo Scarantino, il più discusso dei falsi pentiti, protagonista di rocambolesche ritrattazioni nel corso di vent’anni di processi, cui i giudici hanno concesso l’attenuante prevista per chi viene indotto a commettere il reato da altri. Ed è a questi “altri” che la corte si riferisce nelle
motivazioni della sentenza. A quegli investigatori mossi da «un proposito criminoso», a chi «esercitò in modo distorto i poteri».
Servitori dello Stato infedeli
Il riferimento della Corte d’assise è al gruppo che indagava sulle stragi del ’92 guidato da Arnaldo la Barbera, funzionario di polizia poi morto. Sarebbero stati loro a indirizzare l’inchiesta e a costringere Scarantino a raccontare una falsa versione della fase esecutiva dell’attentato e a compiere «una serie di forzature, tradottesi anche in indebite suggestioni e nell’agevolazione di una impropria circolarità tra i diversi contributi dichiarativi, tutti radicalmente difformi dalla
realtà se non per la esposizione di un nucleo comune di informazioni del quale è rimasta occulta la vera fonte».
I «centri di potere» beneficiari occulti del depistaggio
Ma quali erano le finalità di uno dei più clamorosi depistaggi della storia giudiziaria del Paese? La corte tenta di avanzare ipotesi: come la copertura della presenza di fonti rimaste occulte, «che viene evidenziata – scrivono i magistrati – dalla trasmissione ai finti collaboratori di giustizia di informazioni estranee al
loro patrimonio conoscitivo ed in seguito rivelatesi oggettivamente rispondenti alla realtà», e «l’occultamento della responsabilità di altri soggetti per la strage, nel quadro di una convergenza di interessi tra Cosa Nostra e altri centri di potere che percepivano come un pericolo l’opera del magistrato».
L’agenda rossa di Borsellino
I magistrati dedicano parte della motivazione all’agenda rossa del giudice Paolo Borsellino, il diario che il il magistrato custodiva nella borsa, sparito dal luogo
dell’attentato. La Barbera, secondo la corte, ebbe un «ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia ed è stato altresì intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa, come è evidenziato dalla sua reazione, connotata da una inaudita aggressività, nei confronti di Lucia Borsellino, impegnata in una coraggiosa opera di ricerca della verità sulla morte del padre». La Barbera è morto, l’inchiesta sulla scomparsa dell’agenda rossa è stata archiviata, ma a Caltanissetta, forze a maggior ragione dopo questa sentenza, si continuerà a indagare.
Fonte : Il Sole 24 Ore
Il Circolaccio