Le idee che restano di Peppino Impastato
42° ANNIVERSARIO DELL’UCCISIONE DI PEPPINO IMPASTATO
L’esempio della “rottura”, l’idea di cambiamento e l’impegno dal basso contro la mafia. Una ragazzo che ha dedicato la sua vita alla lotta contro la criminalità organizzata usando la comunicazione, la cultura e l’impegno sociale. Peppino non ha mai abbandonato la sua terra, la sua Cinisi, una terra che voleva liberare dal cancro della mafia. Peppino ha operato una rottura radicale e storica, una rottura che ancora oggi semina grandi speranze nei giovani e in tutto coloro che si riconoscono nelle idee di questo grande uomo e nella sua straordinaria famiglia.
E’ il 9 maggio del 1978. Mentre l’Italia è sotto choc per il ritrovamento a Roma del cadavere di Aldo Moro, a Cinisi, in Sicilia, Peppino Impastato muore, a 30 anni, dilaniato dall’esplosione di una carica di tritolo posta sotto il suo corpo adagiato sui binari della ferrovia. Sin da giovanissimo, Peppino si è battuto contro la mafia, denunciandone i traffici illeciti e le collusioni con la politica. A dare l’ordine di uccidere Impastato è il capo indiscusso di Cosa Nostra negli anni Settanta, Gaetano Badalamenti, bersaglio preferito di Peppino in “Onda Pazza”, il programma di punta di Radio Aut, la Radio libera che lo stesso Impastato ha fondato a Cinisi nel 1977.
Dai microfoni di una radio liber ha avuto il coraggio di sfottere “tano seduto” il boss Badalamenti che faceva tremare tutti anche i politici che lo ossequiavano.
Le indagini subirono un gravissimo depistaggio. I Carabinieri in prima istanza fecero intendere che Impastato stava collocando del tritolo sui binari. Una gravissima violazione della verità nascosta dallo Stato. Non ci sono stati mai colpevoli per questa infamante teoria che poi si rivelò infondata
Ci pensò un carabiniere ausiliario di Partinico, Carmelo Canale, a perquisire la casa in cui dormiva Peppino, da sua zia, alla stazione di Cinisi: trovò una lettera in cui Peppino esprimeva la sua delusione per il fallimento delle idee politiche rivoluzionarie, che si era verificato nel 1977 ed esprimeva la sua volontà di abbandonare la politica e la vita. Era una lettera d’addio, ma ben datata: cominciava: “Ci sono voluti nove mesi, tanti quanti ne occorrono per un normale parto, ma ormai la decisione è presa….è cominciata a febbraio…”: quella lettera risaliva quindi al novembre del 1977, mentre Peppino fu ucciso il 9 maggio del ’78. Canale e i suoi superiori non si fecero scrupolo di affidare alla stampa (Giornale di Sicilia 16 maggio 1978) un documento così delicato, facendo dire al giornalista che i pezzi riportati erano stati ricostruiti con l’aiuto dei compagni di Peppino, i quali invece non ne sapevano niente. Il verbale di tale perquisizione non porta la firma della proprietaria dell’immobile, Bartolotta Fara, zia di Peppino. Gli atti processuali parlano di “sequestro informale”. In tal senso la Commissione Antimafia scrive: «È provato che, dopo i “sequestri informali”, cioè senza il rispetto delle formalità di legge, di materiale documentario di proprietà di Giuseppe Impastato, sono stati posti in essere ulteriori accertamenti di cui agli atti processuali non v’è alcun riscontro. La macroscopicità di questa violazione della legge processuale costituisce un’anomalia di intrinseca e indiscutibile gravità.
Fonte: Centro Impastato e Antiracket e Antimafia
Il Circolaccio