
Processo Trattativa Stato-mafia
I Pm: “Attacchi diffamatori”
Si apre cosi l’ultima udienza prima della camera di consiglio davanti alla Corte di assise.
PALERMO – “Dopo difficili consultazioni abbiamo ritenuto che non era opportuno replicare”. A parlare al processo Trattativa è il pubblico ministero Vittorio Teresi che assieme a Roberto Tartaglia rappresenta la Procura in aula. Non serve replicare, secondo il pm, perché “alla luce degli interventi delle difese il quadro accusatorio non è scalfito”. Poi, la stoccata ai difensori: “Abbiamo però ascoltato espressioni che hanno travalicato la dialettica processuale. Ci sono stati attacchi personali e diffamatori”. Si è aperta cosi l’ultima udienza prima della camera di consiglio davanti alla Corte di assise.
“Ho sofferto per tutto questo periodo e soffro ancora pur essendo consapevole di avere sempre detto la verità. Non ho mai commesso il reato di falsa testimonianza”. A margine dell’ultima udienza del processo sulla trattativa, l’ex ministro Nicola Mancino, tra i 9 imputati con l’accusa appunto di falsa testimonianza, ha parlato con i cronisti ricordando lo stato d’animo con cui ha vissuto gli anni del dibattimento. “A posteriori penso che sarebbe stato preferibile non telefonare a D’Ambrosio. Ero preoccupato, eravamo in piena bufera giornalistica”, ha aggiunto. “La mia posizione di contrasto alla mafia è dimostrata dalla mia storia. Non sono mai stato tenero. Ho proposto da ministro dell’Interno lo scioglimento di 54 consigli comunali per infiltrazioni mafiose e nel 1993 mi opposi all’abolizione del carcere duro”. Rivendica la linea dura tenuta contro Cosa nostra Nicola Mancino che, prima che i giudici di Palermo entrassero in camera di consiglio per la sentenza, ha reso dichiarazioni spontanee al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Mancino è imputato di falsa testimonianza. L’ex politico ha ricordato la sentenza emessa a carico dell’ex generale del Ros Mario Mori in un processo “clone” a quello sulla trattativa in cui i giudici sostengono che non vi sia “prova che la Dc abbia modificato al linea di contrasto alla criminalità organizzata”. “Non ho mai chiesto di fare il ministro dell’Interno – ha ricordato tentando di smentire la tesi dei pm che vedrebbe nella sua nomina al Viminale uno degli indizi della trattativa passata per un ammorbidimento delle istituzioni verso la mafia. – C’era l’esigenza di non lasciare solo Gava, ammalato, e spostarlo alla presidenza del Gruppo al Senato dove ero stato io fino ad allora”. Mancino ha brevemente ricordato il suo incontro con Borsellino nel giorno dell’insediamento al Viminale, l’1 luglio del 1992. “Ci stringemmo la mano – ha detto – Non avemmo nemmeno il tempo di parlare”. Infine sullo scontro con Martelli, che l’ha portato all’incriminazione di falsa testimonianza, ha concluso: “Perché si crede a Martelli che all’inizio non ricordava neppure se avesse detto a Scotti o a me i suoi dubbi sul Ros e non si crede a me?”.
“Per lui è stata molto dura – gli ha fatto eco la sua legale, l’avvocato Nicoletta Piromallo – Qui si è tentata una ricostruzione storica, la corte ora ha gli strumenti per valutare le risultanze processuali”.
Dopo le brevi dichiarazioni spontanee dell’ex ministro Dc Nicola Mancino, imputato di falsa testimonianza al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, la Corte d’assise di Palermo si è ritirata in camera di consiglio per decidere il verdetto da emettere nei confronti dei nove imputati: boss, ex vertici del Ros ed ex politici.