
Il Ministro Minniti pubblica la relazione sui comuni sciolti per mafia nel 2017
La relazione che segue concerne l’attività svolta nel corso
dell’anno 2017 dalle commissioni straordinarie incaricate
dell’amministrazione degli enti locali sciolti per fenomeni di infiltrazione
e condizionamento della criminalità organizzata, ai sensi dell’articolo
143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUOEL).
Di seguito uno stralcio della relazione che si può trovare integralmente sul sito del ministero
Nel corso dell’anno 2017 sono stati sciolti, ai sensi dell’articolo 143
del decreto legislativo n. 267 del 18 agosto 2000, complessivamente,
21 consigli comunali.
Le regioni interessate sono
la Calabria, con 12 scioglimenti:
Canolo (RC), D.P.R. 5 maggio 2017;
Laureana di Borrello (RC), D.P.R. 15 maggio 2017;
Bova Marina (RC), D.P.R. 15 maggio 2017;
Gioia Tauro (RC), D.P.R. 15 maggio 2017;
Sorbo San Basile (CZ), D.P.R. 13 giugno 2017;
Cropani (CZ), D.P.R. 31 luglio 2017;
Brancaleone (RC), D.P.R. 31 luglio 2017;
Isola di Capo Rizzuto (KR), D.P.R. 24 novembre 2017;
Marina di Gioiosa Ionica (RC), D.P.R. 24 novembre 2017;
Petronà (CZ), D.P.R. 24 novembre 2017;
Lamezia Terme, D.P.R. 24 novembre 2017;
Cassano all’Ionio, D.P.R. 24 novembre 2017;
La Campania, con 4 scioglimenti:
Crispano (NA), D.P.R. 24 gennaio 2017;
Casavatore (NA), D.P.R. 24 gennaio 2017;
Scafati (SA), D.P.R. 27 gennaio 2017;
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San Felice a Cancello (CE), D.P.R. 15 maggio 2017;
La Liguria con 1 scioglimento:
Lavagna (GE), D.P.R. 27 marzo 2017;
La Puglia, con 2 scioglimenti:
Parabita (LE), D.P.R. 17 febbraio 2017;
Valenzano (BA), D.P.R. 25 settembre 2017;
La Sicilia, con 2 scioglimenti:
Borgetto (PR), D.P.R. 3 maggio 2017;
Castelvetrano (TP), D.P.R. 7 giugno 2017
La popolazione interessata
Lazio – 229.642 abitanti;
– Calabria – 194.180 abitanti;
– Liguria – 12.579 abitanti;
– Sicilia – 56.193 abitanti;
– Puglia – 40.318 abitanti;
– Emilia Romagna – 5.546 abitanti
Nella relazione si parla di Castelvetrano
Nel comune di Castelvetrano (TP) sono stati approvati i
regolamenti per l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie
derivanti da abusi edilizi, per la rateizzazione e compensazione delle
entrate comunali e per la definizione agevolata delle entrate comunali
non riscosse mediante ingiunzione fiscale.
Nel comune di Castelvetrano (TP) la commissione ha scelto di
ridurre drasticamente i contributi versati alle associazioni e gli esborsi
per manifestazioni ludico-ricreative, nonché di revisionare le precedenti
politiche assistenzialistiche, fondate sulla indiscriminata erogazione di
sussidi economici ed ausili finanziari di varia natura.
Molte delle commissioni straordinarie operanti all’interno del
territorio nazionale sono riuscite a portare a compimento le
procedure di destinazione ed utilizzo dei beni sequestrati e confiscati
alle organizzazioni criminali, nonostante ostacoli e resistenze,
assicurando la concreta fruizione a fini sociali dei beni sottratti alla
criminalità organizzata, dando, così, un visibile segnale del
cambiamento in atto.
Più nel dettaglio, l’utilizzo a fini sociali dei beni sequestrati e
confiscati alla criminalità organizzata è avvenuto nei comuni di
Arzano (NA), Bagnara Calabra (RC), Scafati (SA), Borgetto (PA),
Bovalino (RC),Bova Marina (RC), Brancaleone (RC), Brescello (RE),
Corleone (OA), Giardinello (PA), Laureana di Borrello (RC), Scafati
(SA), Parabita (LE), Valenzano (BA), Castelvetrano (TP), Gioiosa
Ionica (RC), Marano di Napoli (NA).
Nel comune di Castelvetrano (TP) la commissione ha
disciplinato, mediante l’approvazione di un regolamento comunale
ad hoc, la destinazione e l’utilizzo dei beni confiscati alla criminalità
organizzata.
1.1 Conclusione dei procedimenti al TAR sullo scioglimento dei comuni
L’articolo 143, comma 7, del decreto legislativo n. 267 del 2000
stabilisce che il Ministro dell’Interno, in caso di verifica negativa circa la
sussistenza dei presupposti concreti, rilevanti ed univoci, richiesti ex
lege per disporre lo scioglimento ovvero per adottare le misure nei
confronti dei dipendenti dell’ente, emana un decreto di conclusione del
procedimento.
Chiara appare la finalità della disposizione normativa in parola:
porre un preciso limite all’esercizio del potere statale di controllo sugli
organi dell’ente locale, non solo attraverso la fissazione di una rigida
tempistica per l’emanazione del decreto presidenziale di scioglimento,
ma anche fissando un termine finale entro il quale dar conto delle
risultanze negative dell’attività di accertamento svolta presso
l’amministrazione comunale interessata.
Nell’anno 2017, con provvedimento del 6 dicembre, adottato ai
sensi dell’articolo 143, comma 7, TUOEL, si è concluso il procedimento
relativo al comune di Corigliano Calabro (CS), dichiarando
l’insussistenza dei requisiti richiesti dal comma 1 del citato articolo 143.
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Al decreto è stata data idonea pubblicità attraverso la pubblicazione
del singolo provvedimento sul sito www.interno.gov.it.
Di seguito il grafico relativo alle conclusioni dei procedimenti dal
2010 al 2017.
CONCLUSIONE DEI PROCEDIMENTI. il Ministro Minniti soddisfatto per i ricorsi
1.2 Il contenzioso ed i principi giurisprudenziali
Anche nel corso dell’anno 2017 la giurisprudenza amministrativa, di
prime e seconde cure, si è pronunciata sulla legittimità dei
provvedimenti di scioglimento adottati ai sensi dell’articolo 143 del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché su varie questioni, di
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natura sia sostanziale che processuale, relative agli scioglimenti disposti
per infiltrazione e/o condizionamento di tipo mafioso.
Con riguardo alla legittimità dei decreti di scioglimento adottati, si
evidenzia che nella totalità dei casi le pronunce sono risultate favorevoli
all’Amministrazione, con conseguente conferma dei provvedimenti
impugnati.
Nel dettaglio, nel corso dell’anno 2017 sono state pubblicate 8
pronunce, delle quali 5 del Consiglio di Stato e 3 del Tribunale
Amministrativo Regionale per il Lazio.
Interessanti gli assunti emersi da tali pronunce, che meritano,
dunque, un approfondimento.
In primis, va sottolineato che il Supremo consesso della giustizia
amministrativa ha ribadito i consolidati principi giurisprudenziali
formatisi nel tempo con riguardo agli scioglimenti disposti ai sensi del
citato articolo 143, rimarcando che “Lo scioglimento del Consiglio
comunale per infiltrazioni mafiose, ai sensi dell’art. 143 del d.lgs.
267/2000, non ha natura di provvedimento di tipo sanzionatorio, ma
preventivo, con la conseguenza che, ai fini della sua adozione, è
sufficiente la presenza di elementi che consentano di individuare la
sussistenza di un rapporto tra l’organizzazione mafiosa e gli
amministratori dell’ente considerato infiltrato […] L’art. 143, cit., al
comma 1 (nel testo novellato dall’art. 2, comma 30, della legge
94/2009), richiede che la predetta situazione sia resa significativa da
elementi “concreti, univoci e rilevanti”, che assumano valenza tale da
determinare “un’alterazione del procedimento di formazione della
volontà degli organi amministrativi e da compromettere l’imparzialità
delle amministrazioni comunali e provinciali”. Gli elementi sintomatici
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del condizionamento criminale devono, quindi, caratterizzarsi per
concretezza ed essere, anzitutto, assistiti da un obiettivo e documentato
accertamento nella loro realtà storica; per univocità, intesa quale loro
chiara direzione agli scopi che la misura di rigore è intesa a prevenire;
per rilevanza, che si caratterizza per l’idoneità all’effetto di
compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell’ente locale
(cfr., Cons. Stato, III, n. 1038/2016, n. 196/2016 e n. 4792/2015). Le
vicende, che costituiscono il presupposto del provvedimento di
scioglimento di un Consiglio comunale, devono essere considerate nel
loro insieme, e non atomisticamente, e risultare idonee a delineare, con
una ragionevole ricostruzione, il quadro complessivo del
condizionamento mafioso; assumono quindi rilievo situazioni non
traducibili in episodici addebiti personali ma tali da rendere, nel loro
insieme, plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati
dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione degli amministratori locali
alla criminalità organizzata (vincoli di parentela o affinità, rapporti di
amicizia o di affari, frequentazioni), e ciò anche quando il valore
indiziario degli elementi raccolti non è sufficiente per l’avvio dell’azione
penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione […] Stante
l’ampia sfera di discrezionalità di cui l’Amministrazione dispone in sede
di valutazione dei fenomeni connessi all’ordine pubblico, ed in
particolare alla minaccia rappresentata dal radicamento sul territorio
delle organizzazioni mafiose, con ogni effetto sulla graduazione delle
misure repressive e di prevenzione (cfr. Cons. Stato, III, n. 2038/-
OMISSIS-), il controllo sulla legittimità dei provvedimenti adottati si
caratterizza come estrinseco, e cioè nei limiti del vizio di eccesso di
potere quanto all’adeguatezza dell’istruttoria, della ragionevolezza del
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momento valutativo, della congruità e proporzionalità al fine perseguito”
(in tal senso Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 4578 del 2 ottobre
2017).
Ebbene, la conferma della qualificazione della natura preventiva
del provvedimento di rigore ex articolo 143 del decreto legislativo n.
267 del 2000 rappresenta il frutto di una evoluzione giurisprudenziale,
soprattutto dopo la novella di cui alla legge n. 94 del 15 luglio 2009, se
solo si considera che, sotto il vigore della precedente normativa di cui
all’articolo 15-bis, della legge n. 55 del 19 marzo 1990, il Supremo
Giudice delle Leggi aveva, a contrario, ritenuto che si fosse in presenza
“di una misura di carattere sanzionatorio […] nei confronti dell’organo
elettivo, considerato nel suo complesso, in ragione della sua inidoneità
ad amministrare l’ente locale. Tale natura del provvedimento di
scioglimento e la specificità del suo destinatario (organo collegiale)
impediscono perciò di poter assumere a termine di raffronto i modelli
che riguardano persone singole ed in particolare quelli che prevedono la
loro sospensione o la rimozione da cariche pubbliche a seguito della
irrogazione di condanne penali o di misure preventive. […] In proposito
è sufficiente richiamare quanto osservato in precedenza, circa il
carattere sanzionatorio della misura che ha come destinatari non tutti i
consiglieri, ma l’organo collegiale considerato nel suo complesso, in
ragione della sua inidoneità a gestire la cosa pubblica. Un rilievo,
questo, che fa perdere ogni consistenza sia al profilo della eccessività
della misura rispetto al fine, sia al profilo del carattere personale della
responsabilità, che non può essere riferito ad un organo collegiale, in
particolare nell’ipotesi, alternativa a quella della collusione, del
‘condizionamento’ dell’organo da parte dei gruppi criminali; situazione
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questa che può profilarsi non necessariamente in conseguenza di
comportamenti illegali di taluno degli amministratori” (così Corte
Costituzionale, sentenza n. 103 del 19 marzo 1993).
La giurisprudenza amministrativa si è, altresì, occupata della fase
che precede il decreto di scioglimento del Consiglio Comunale e, quanto
alle funzioni delle commissioni d’indagine, il Consiglio di Stato ha
sottolineato che loro compito è quello di delineare i fatti ritenuti rilevanti
per la dimostrazione del rischio di condizionamento dell’amministrazione
dell’ente locale e del suo apparato burocratico da parte della criminalità
organizzata, “sicché una volta acquisiti gli elementi fattuali necessari
per sostenere la richiesta di scioglimento, correttamente nella relazione
non [deve farsi] cenno agli elementi contrari (quali ad esempio gli atti
amministrativi regolari, le delibere conformi a legge […]) Del resto – se
bastasse qualche operazione “di facciata” per lenire il rischio di
dissoluzione – sarebbe ben agevole farvi ricorso, eludendo in questo
semplice modo la finalità perseguita della norma di cui all’art. 143 del
D.Lgs. 267/2000” (così Consiglio di Stato, n. 4578/2017 supra cit.).
Relativamente, invece, alle analisi di contesto effettuate nelle
relazioni prefettizie, gli stessi giudici di Palazzo Spada hanno avuto
modo di ribadire che “[…] sebbene sia corretto ritenere che la
collocazione di un comune in contesto territoriale infestato dalla
malavita non costituisca di per sé prova della collusione dei suoi
amministratori con la malavita stessa, essendo necessari ben altri
elementi concreti univoci e rilevanti su collegamenti diretti o indiretti
con essa, o su forme di condizionamento degli stessi tale da incidere
sulla gestione dell’ente, nondimeno tale elemento fattuale può
assumere rilievo ove sia accompagnato da una serie di circostanze di
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fatto indicative della permeabilità degli amministratori” (cfr. Consiglio di
Stato, n. 4578/2017 supra cit.).
Con riferimento agli indici sintomatici del condizionamento e
della infiltrazione di tipo mafioso, il Consiglio di Stato ha avuto
modo di affermate che “Gli elementi sintomatici del condizionamento
criminale devono, per la costante giurisprudenza di questo Consiglio,
caratterizzarsi per concretezza ed essere, anzitutto, assistiti da un
obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica; per
univocità, intesa quale loro chiara direzione agli scopi che la misura di
rigore è intesa a prevenire; per rilevanza, che si connota per l’idoneità
all’effetto di compromettere il regolare svolgimento delle funzioni
dell’ente locale. […] La definizione di questi precisi parametri costituisce
un vincolo con il quale il legislatore della l. n. 9 del 2009 non ha voluto
elidere quella discrezionalità, ma controbilanciarla, ancorandola a fatti
concreti e univoci, in funzione della necessità di commisurare
l’intervento più penetrante dello Stato a contrasto del fenomeno
mafioso con i più alti valori costituzionali alla base del nostro
ordinamento, quali il rispetto della volontà popolare espressa con il voto
e l’autonomia dei diversi livelli di governo garantita dalla Costituzione
[…] Le vicende, che costituiscono il presupposto del provvedimento di
scioglimento di un Consiglio comunale, devono essere però considerate
nel loro insieme, e non atomisticamente, e risultare idonee a delineare,
con una ragionevole ricostruzione, il quadro complessivo del
condizionamento mafioso. […] Assumono rilievo a tali fini anche
situazioni non traducibili in episodici addebiti personali, ma tali da
rendere, nel loro insieme, plausibile, nella concreta realtà contingente e
in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione o di una
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pericolosa contiguità degli amministratori locali alla criminalità
organizzata (vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di
affari, frequentazioni), e ciò anche quando il valore indiziario degli
elementi raccolti non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per
l’adozione di misure individuali di prevenzione” (così Consiglio di Stato,
sez. III, sentenza n. 3164 del 28 giugno 2017).
Di conseguenza, un provvedimento di scioglimento disposto ai
sensi dell’articolo 143 del decreto legislativo n. 267/2000 è illegittimo
solo se si dimostra la complessiva illogicità della valutazione
dell’insieme degli elementi acquisiti in sede istruttoria, da
considerare in connessione tra loro (v. Consiglio di Stato, n. 4578/2017
supra cit.); “[…] il giudizio di sussistenza di elementi tali da giustificare,
secondo un criterio di probabilità logica, l’affermazione del rischio che
l’ente locale, negli organi elettivi o nella compagine amministrativa, sia
sottoposto a condizionamenti da parte della criminalità organizzata,
deve scaturire dall’esame complessivo di tutti gli elementi rilevanti […]
la legittimità del decreto di scioglimento, sotto il profilo della logicità e
rispondenza agli elementi di fatto raccolti nel procedimento sottostante,
deve essere valutata sulla base degli elementi disponibili in quel
momento” (così Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 4285 dell’11
settembre 2017).
È stato, altresì, ribadito che “è la semplice presenza di “elementi”
su “collegamenti” o “forme di condizionamento” che consentano di
individuare la sussistenza di un rapporto fra gli amministratori e la
criminalità organizzata, a giustificare lo scioglimento, anche laddove
non vi sia una puntuale dimostrazione della volontà degli amministratori
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di assecondare gli interessi della criminalità organizzata, o non
sussistano ipotesi di responsabilità personali, anche penali, degli
amministratori o dei funzionari” (v. Consiglio di Stato n. 4285/2017
cit.).
Ancora, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di
confermare anche che, in caso di scioglimento conseguente a fenomeni
di infiltrazione e/o condizionamento di tipo mafioso, non occorre la
comunicazione di avvio del procedimento, in quanto la stessa
natura dell’atto di scioglimento dà contezza dell’esistenza, oltre che
della gravità, dell’urgenza di provvedere, alle quali si aggiungono
evidenti ragioni di ordine e sicurezza pubblica sottese all’adozione del
provvedimento dissolutorio.
Con specifico riguardo, invece, alla legittimazione ad agire, i
giudici di Palazzo Spada, nel corso del 2017, hanno avuto modo di
ribadire che inconferente appare il richiamo all’articolo 9 del decreto
legislativo n. 267 del 2000, a mente del quale ciascun elettore può far
valere in giudizio le azioni ed i ricorsi spettanti al comune o alla
provincia “in quanto la misura dissolutoria di cui all’art. 143, mentre
incide sulle situazioni soggettive dei componenti degli organi elettivi, i
quali, per effetto di essa, vengono a subire una perdita di status, non
altrettanto incide su quella dell’ente locale, titolare di posizioni
autonome e distinte, che, anzi, nella misura vede uno strumento di
tutela e di garanzia dell’Amministrazione. E, pertanto, l’azione popolare
in questa sede proposta per impugnare lo scioglimento [..] e la nomina
di una Commissione straordinaria per la provvisoria gestione del
medesimo, risulta inammissibile per difetto di legittimazione, perché lo
strumento offerto dall’art. 9 del TUEL non può essere articolato per far
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valere azioni che non sono di spettanza dell’ente locale nell’interesse del
quale si dichiara di agire” (cfr. Tar Lazio, sez. I, sentenza n. 12424 del
15 dicembre 2017).
Parimenti, è stato confermato l’orientamento giurisprudenziale per
il quale è ammissibile l’impugnazione dei decreti di scioglimento di cui
all’articolo 143 proposta da ex amministratori locali, ossia da
soggetti già cessati dalle rispettive cariche a causa delle dimissioni del
sindaco. “In proposito, è sufficiente richiamare il costante indirizzo
giurisprudenziale secondo il quale, in disparte la circostanza che la
durata della gestione commissariale ex art. 143, d.lgs. n. 267 del 2000
è più ampia di quella prevista in caso di scioglimento per dimissioni, non
può negarsi che le persone fisiche, già componenti o titolari degli organi
disciolti, abbiano interesse, se non alla conservazione del pregresso
assetto amministrativo (in quanto già disgregato per altra causa),
all’esatta qualificazione della fattispecie di scioglimento, atteso il ben
diverso presupposto fattuale rappresentato dal condizionamento ab
externo da parte della criminalità organizzata (Tar Lazio, sez. I, 2 marzo
2015, n. 3428; 19 maggio 2008, n. 4463). Deve, quindi, riconoscersi un
interesse concreto ed attuale dei ricorrenti a che il giudice adito affermi
l’illegittimità del provvedimento impugnato per non essere legittime le
affermazioni che legano la loro gestione e, ancora di più, le loro persone
alla criminalità organizzata di stampo mafioso” (così Tar Lazio, sez. I,
sentenza n. 3749 del 22 marzo 2017).
Quanto all’ampiezza dei poteri spettanti al giudice amministrativo
nell’esame dei provvedimenti di scioglimento in questione, è stato
confermato che il sindacato di legittimità del giudice amministrativo è di
tipo estrinseco, senza possibilità di valutazioni che, al di fuori del
DIPARTIMENTO PER GLI AFFARI INTERNI E TERRITORIALI
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travisamento dei fatti o della manifesta illogicità, possano muoversi sul
piano del merito amministrativo (v. Consiglio di Stato, sez. III, sentenza
n. 5782 del 7 dicembre 2017).
Significativa risulta poi una pronuncia riguardante i rapporti tra
politica ed amministrazione, lì dove è stato espressamente enunciato
il principio generale per “la conclamata irregolarità amministrativa,
sintomo e talora prova della colpevole trascuratezza nella difesa
dell’interesse pubblico, quasi come un vero e proprio abbandono della
funzione amministrativa, sia oggettivo elemento che, in un contesto
territoriale ove i sodalizi mafiosi operano, renda più facilmente
permeabili a questi ultimi l’amministrazione della cosa pubblica, e la
mancata attivazione di misure per il ripristino della legalità costituisca –
a parte la responsabilità dei funzionari – elemento costitutivo della
responsabilità “istituzionale” degli organi politici dell’ente locale,
rilevante ai fini dell’art.143 T.U.E.L.” (in questi termini Consiglio di
Stato, sezione III, ordinanza n. 3978 del 21 settembre 2017).
Inoltre, il Consiglio di Stato, con riguardo all’apparato
burocratico dei comuni ed al cattivo funzionamento dello stesso, al
quale può associarsi un difetto di controllo da parte dell’apparato
politico, ha osservato che “l’art. 143 consente l’adozione della misura
dissolutoria di cui al comma 1 anche in presenza della permeabilità e del
condizionamento dei soli apparati burocratici dell’Ente […] Peraltro, è
stato ritenuto in giurisprudenza che sebbene l’assetto organizzativo
dell’ente locale assegni ai dirigenti compiti di amministrazione attiva,
decisionali e di responsabilità, da esercitarsi in autonomia rispetto agli
organi elettivi, nondimeno non rende tali ultimi organi estranei al
ripetersi di irregolarità ed illeciti di gestione. Restano, invero, fermi, ai
DIPARTIMENTO PER GLI AFFARI INTERNI E TERRITORIALI
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sensi dell’art. 107 del d.lgs. n. 267 del 2000, i compiti di indirizzo e,
segnatamente, di controllo “politico-amministrativo”, che se non va
esercitato partitamente per ogni singola determinazione
provvedimentale, deve investire trasversalmente l’operato dei funzionari
con qualifiche dirigenziali (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 25 gennaio 2016,
n. 256). Infatti, l’esatta distinzione tra attività di gestione ed attività di
indirizzo e di controllo politico-amministrativo non esclude che il non
corretto funzionamento degli apparati dell’amministrazione sia
addebitabile all’organo politico quando non risultano le attività di
indirizzo e di controllo dirette a contrastare tale cattivo funzionamento”
(cfr. Consiglio di Stato n. 4578/2017 cit.).
1.3 La declaratoria di incandidabilità ai sensi dell’articolo 143,
comma 11, del TUOEL
Per quanto concerne i procedimenti finalizzati alla declaratoria di
incandidabilità ex articolo 143, comma 11, del decreto legislativo n. 267
del 2000, nell’anno 2017 sono intervenute 17 pronunce, di cui 10 di
primo grado, 1 di secondo grado e 6 della Corte di Cassazione.
In particolare, per quanto riguarda i giudizi di primo grado, tutti
e 10 si sono conclusi con la declaratoria di incandidabilità di taluni
degli ex amministratori locali indicati nella proposta ministeriale; il
riferimento è ad ex amministratori dei comuni di Nardodipace (CZ),
Lavagna (GE), Castelvetrano (TR), Brescello (RE), Casavatore (NA),
DIPARTIMENTO PER GLI AFFARI INTERNI E TERRITORIALI
24
Palazzo Adriano (PA), Scafati (SA), Canolo (RC), Marano di Napoli (NA),
Municipio X di Roma Capitale (RM).
Quanto, poi, all’unico giudizio di secondo grado, va segnalato
che si è concluso in senso favorevole al Ministero dell’Interno, con la
declaratoria di incandidabilità di amministratori comunali del comune di
Borgia (CZ).
Con riferimento, invece, alle pronunce rese dalla Suprema Corte
di Cassazione, 3 si sono concluse con la conferma della incandidabilità
e 3, invece, si sono concluse in senso opposto.
Vanno rimarcati gli orientamenti assunti dalla Suprema Corte
di Cassazione proprio con riferimento alla misura della incandidabilità
prevista dal comma 11 dell’articolo 143 del decreto legislativo n. 267
del 2000.
La Corte, infatti, ha avuto modo, di recente, di sottolineare che
“l’incandidabilità temporanea e territorialmente delimitata rappresenta
una misura interdittiva volta a rimediare al rischio che quanti abbiano
cagionato il grave dissesto possano aspirare a ricoprire cariche identiche
o simili a quelle rivestite e, in tal modo, potenzialmente perpetuare
l’ingerenza inquinante nella vita delle amministrazioni democratiche
locali […] non solo il procedimento giurisdizionale volto alla
dichiarazione di incandidabilità è autonomo rispetto a quello penale, ma
anche diversi ne sono i presupposti, perché la misura interdittiva di cui
all’art. 143, comma 11, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli
enti locali non richiede che la condotta dell’amministratore integri gli
estremi dell’illecito penale di (partecipazione ad associazione mafiosa o
di concorso esterno nella stessa) perché scatti l’incandidabilità alle
elezioni, rileva la responsabilità dell’amministratore nel grave stato di
DIPARTIMENTO PER GLI AFFARI INTERNI E TERRITORIALI
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degrado amministrativo causa di scioglimento del consiglio comunale, e
quindi è sufficiente che sussista, per colpa dello stesso amministratore,
una situazione di cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle
ingerenze esterne e asservita alle pressioni inquinanti delle associazioni
criminali operanti sul territorio”; ma, soprattutto, la stessa Corte ha
statuito che “la misura interdittiva della incandidabilità
dell’amministratore responsabile delle condotte che hanno dato causa
allo scioglimento del consiglio comunale conseguente a fenomeni di
infiltrazione di tipo mafioso o similare nel tessuto istituzionale locale,
privando temporaneamente il predetto soggetto della possibilità di
candidarsi nell’ambito di competizioni elettorali destinate a svolgersi
nello stesso territorio regionale, rappresenta un rimedio di extrema ratio
volto ad evitare il ricrearsi delle situazioni che la misura dissolutoria ha
inteso ovviare, e a salvaguardare così beni primari dell’intera collettività
nazionale – accanto alla sicurezza pubblica, la trasparenza e il buon
andamento delle amministrazioni comunali nonché il regolare
funzionamento dei servizi loro affidati, capaci di alimentare la
“credibilità” delle amministrazioni locali presso il pubblico e il rapporto di
fiducia dei cittadini verso le istituzioni – beni compromessi o messi in
pericolo, non solo dalla collusione tra amministratori locali e criminalità
organizzata, ma anche dal condizionamento comunque subito dai primi,
non fronteggiabile, secondo la scelta non irragionevolmente compiuta
dal legislatore, con altri apparati preventivi o sanzionatori
dell’ordinamento” (così Corte di Cassazione, Sezioni Uniti Civili, n. 1747
del 30 gennaio 2015).
Sulla scorta dell’orientamento reso dalle Sezioni Unite, la
giurisprudenza successiva, formatasi nel corso dell’anno 2017, ha
DIPARTIMENTO PER GLI AFFARI INTERNI E TERRITORIALI
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ulteriormente specificato che “È ben vero che il provvedimento di
declaratoria dell’incandidabilità è collegato a quello di scioglimento
previsto dal richiamato art. 143, ma è altrettanto vero che
l’incandidabilità dei singoli amministratori non è automatica,
imponendosi, soprattutto perché viene interessato un fondamentale
aspetto di notevole rilevanza costituzionale, quale il diritto correlato
all’elettorato passivo, che siano automaticamente e distintamente
valutate le posizioni dei singoli soggetti interessati, allo scopo di
evidenziare collusioni o condizionamenti, che, secondo l’insegnamento
delle Sezioni unite di questa Corte, abbiano determinato, per colpa
dell’amministratore “una situazione di cattiva gestione della cosa
pubblica, aperta alle ingerenze esterne e asservita alle pressioni
inquinanti delle associazioni criminali operanti sul territorio” […] Deve
pertanto confermarsi che, ai fini della pronuncia di incandidabilità non si
richiede necessariamente la prova di comportamenti idonei a
determinare la responsabilità personale, anche penale, degli
amministratori o ad evidenziare il loro specifico intento di assecondare
gli interessi della criminalità organizzata, risultando invece sufficiente
l’acquisizione di elementi idonei a far presumere l’esistenza di
collegamenti con quest’ultima o di forme di condizionamento tali da
alterare il procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi
o amministrativi del comune o della provincia, da compromettere il
buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione o il regolare
funzionamento dei servizi pubblici, o da arrecare pregiudizio alla
sicurezza pubblica” (così Corte di Cassazione, sez. I, sentenze nn.
19407 e 19408 del 3 agosto 2017).