Totò Riina adorava passare le sue vacanze a Tonnarella e a Triscina.
Dal 1972 al 1988 , Riina e suoi parenti più stretti, si facevano “i bagni” in tutti sensi nella zona tra Mazara del Vallo e Castelvetrano.
Totò Riina e i corleonesi , che avevano messo le mani sui lavori della Diga Garcia ,si impossessarono di molte cave di sabbia di Triscina , attraverso l’aiuto di Ciccio Messina Denaro e di alcuni prestanomi
Il cemento si fa con la sabbia. E la sabbia delle bellissime dune di Triscina era ottima per gli affari di Riina e compagni. Alla fine degli anni 70 e fino alla latitanza di Ciccio Messina Denaro, Riina controllava molte cave di sabbia. Ci sono relazioni investigative dei Carabinieri, finite chissà dove, che attestano gli incontri di Riina e Don Ciccio a Castelvetrano prima dell’omicidio Lipari . I due, addirittura, si prendevano tranquillamente il caffè in un bar di Piazza Principe di Piemonte. A fare da testa di ponte era sempre Angelo Siino che aveva saputo costruire ottime relazioni con politici e imprenditori locali. La sabbia serviva e, infatti in 20 anni, da Triscina sono partiti migliaia di camion pieni alla volta dei cementifici. Ogni camion valeva tanti soldi e alcune famiglie di Castelvetrano hanno guadagnato milioni e milioni di lire nella gestione delle cave. Le relazioni investigative dell’epoca evidenziavano il grande interesse della mafia per le cave di sabbia. Nessuno intervenne. Mentre si costruivano centinaia di case abusive, con il cemento dei mafiosi che usavano la “rina” , mentre si rovinava uno dei migliori ambienti naturali del Mediterraneo, politica , istituzioni e magistratura guardavano altrove. Affari d’oro per Riina e gli amici compiacenti. Il giro della sabbia era per pochi
Tra un bagno al mare e un omicidio Riina e Bagarella si venivano a rilassare a Triscina e Tonnarella
La foto che “l’Espresso” pubblicò in esclusiva qualche anno fa lo dimostra. Una foto che potrebbe risalire all’estate del 1979 –
Come dice lo stesso Riina, intercettato nella cella di Opera, in quel periodo stava «in villeggiatura» con tutta la famiglia e con suo cognato Bagarella fra Mazara e Triscina – Lo stesso mare e la stessa spiaggia in cui adesso “villeggia” il capomafia trapanese latitante Messina Denaro…
A guardarli così, in una foto quasi ingiallita e inedita, sembrano una famiglia normale. Invece il protagonista di questo eccezionale documento è Totò Riina (a sinistra), il capo di Cosa nostra, l’uomo che ha ordinato migliaia di omicidi, molti dei quali li ha pure eseguiti di persona, e poi le stragi. E con lui il cognato, Leoluca Bagarella, assassino di professione, sanguinario per passione.
Le cave di sabbia furono un grosso business . Riina e Don Ciccio fecero accordi con aluni imprenditori locali. Alcuni nomi sono riscontrabili nelle inchieste degli anni 90. Altri proprietari , o gestori di cave a Triscina l’hanno fatta franca. Alcuni, non sono stati mai menzionati nelle inchieste e hanno detto ai figli (saggiamente) di fare altro. Studiare e fare politica. E cosi fecero, diventando professionisti e anche consiglieri comunali
La foto che “l’Espresso” pubblicò in esclusiva sembra scattata con una Polaroid e potrebbe risalire all’estate del 1979.Entrambi in questo periodo erano latitanti. Il 21 luglio di quell’anno Bagarella aveva ucciso il commissario Boris Giuliano, sparandogli alle spalle. A settembre verranno assassinati il giudice Cesare Terranova e il maresciallo Lenin Mancuso.
Riina è rimasto in fuga per 24 anni, fino all’arresto del gennaio 1993. Come ha sostenuto Tommaso Buscetta, soltanto un potere superiore, una “entità”’, poteva assicurargli una latitanza così lunga e serena. Riina l’ha condivisa con la moglie, Ninetta Bagarella, e i quattro figli: Maria Concetta, nata nel 1974, Giovanni (1976), Salvatore Giuseppe (1977) e Lucia (1980). Tutti, incredibilmente, partoriti in una clinica di Palermo e registrati all’anagrafe.
Nel periodo di questa foto, Riina viveva a Mazara del Vallo, in una villetta a pochi passi dal lungomare. Era protetto dai boss trapanesi, suoi alleati fidati da sempre.A Triscina si sentiva al sicuro. Il capo dei capi, tra un bagno e una sbirciatina alle cave con il suo amico Ciccio, disponeva omicidi e intrallazzava con politici e burocrati grandi affari.
Non temeva nessuno, neanche i poliziotti. A Castelvetrano, in quegli anni , in molti sapevano di questa presenza. Nessuno denunciava. Neanche i funzionari dello Stato.
Nasceva, così , sotto gli occhi di Totò Riina e dei poliziotti, la più grande area abusiva della Sicilia.
I corleonesi e i Messina Denaro erano gratificati. La “rina” di Triscina era il pizzo da pagare. Chi costruiva doveva comprare il cemento per un minimo di anti sismicità. E da chi poteva comprare se tutto il mercato del cemento era sotto il controllo della mafia? Non si scappava. Il libero mefcato era un sogno di qualche povero pazzo.
Quindi , la mafia locale, per 20 anni e più , guadagnò in vari passaggi, portando soldi ai corleonesi. La sabbia estratta a pochi soldi veniva data ai cementifici, i cementifici imponevano il prezzo a “cartello” a tutti e tutti, gli amici loro, ingrossavano il conto in banca. Ovviamente, i castelvetranesi ne avevano una parte. La torta più grande toccava a loro. Furono loro a creare il mercato della “rina”. Infatti, quando fu dato l’ordine da Riina, molti contadini che possedevano queste due infruttuose si videro arrivare richieste d’acquisto inattese. Soldi alla mano li diedero per una mangiata di pasta. a Riina la sabbia serviva. Tutto accadeva nel silenzio più assoluto. Se per errore, qualche pattuglia, fermava le bitumeri, la scusa era sempre buona: “siamo vuoti e ci stiamo ritirando”. Al limite, un semplice verbale per le gomme usurate
Dovrebbe parlare quella strada tra Triscina e Castelvetrano: quanti mezzi pesanti hanno visto passare in quegli anni: la strada se li ricorda, le istituzioni del tempo hanno fatto in fretta a dimenticare
Fonte : L’Espresso
Il Circolaccio