Commemorazione Dalla Chiesa. Sottosegretario all’Interno: “ Dare sviluppo per togliere consenso alla mafia”
Dalla Chiesa:Fico, grave colpo per Stato
Il suo assassinio in piena guerra fredda. Fu mandato in Sicilia dopo i successi avuti contro le BR.
I suoi scontri con Adreotti rimasero nei cassetti. Molti i dubbi rimasti sulle indagini del tempo
Il 3 settembre 1982, Cosa Nostra ammazzò l’uomo inviato a Palermo per combatterla, ma senza poteri. Con lui morirono la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo. Fico: “Non fu protetto dallo Stato. Era consapevole che la lotta alla mafia è impari se non vi concorrono tutte le forze sane della società”. La presidente del Senato: “Simbolo dell’Italia migliore. Nella lotta partigiana a quella alla mafia, sempre al servizio del Paese”
Lo uccisero poco dopo le 21, mentre a bordo di una A112 bianca, assieme alla moglie Emanuela Setti Carraro, rientrava a casa. Era il 3 settembre 1982, quando Cosa Nostra ammazzò il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa in via Carini a Palermo con 30 colpi di kalashnikov. Assieme a loro i killer colpirono anche l’agente di scorta Domenico Russo, che seguiva la coppia a bordo di una seconda auto. Trentasei anni fa, il prefetto inviato in Sicilia per combattere la mafia dopo anni di lotta al terrorismo conclusi con gli arresti dei vertici delle Brigate Rosse, senza che in quattro mesi gli venissero concessi i poteri che richiedeva a gran voce per lottare contro la “piovra” (poi dati al suo successore Emanuele De Francesco) cadde vittima di un agguato. “Mentre Roma discute, Palermo è espugnata”, disse, citando Sallustio, nei giorni successivi il cardinale Salvatore Pappalardo.
Per l’omicidio Dalla Chiesa sono stati condannati come mandanti i vertici dell’epoca di Cosa Nostra (Totò Riina e Bernardo Provenzano, Michele Greco e Pippo Calò, Nenè Geraci e Bernardo Brusca) e, solo nel 2002, gli autori materiali Nino Madonia, Vincenzo Galatolo, Raffaele Ganci e Giuseppe Lucchese, oltre ai collaboratori di giustizia Calogero Ganci e Francesco Paolo Anzelmo. “Mi mandano a Palermo con gli stessi poteri del prefetto di Forlì”, aveva accusato poche settimane prima in un’intervista a Giorgio Bocca.
“Nella lotta alle organizzazioni terroristiche e mafiose condotta con inflessibile vigore e nella consapevolezza del rischio estremocui essa lo esponeva, il generale Dalla Chiesa ha dato esempio eccezionale di fedeltà ai valori della democrazia, di difesa della legalità e dello stato di diritto, sino al prezzo della vita”, ricorda il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. “Il suo impegno generoso e intelligente ha fatto sì che strumenti e metodi innovativi – ha aggiunto – rendessero più incisiva l’azione della Repubblica contro le più pericolose forme di criminalità”. Dal sacrificio suo e delle altre vittime “della barbara violenzamafiosa, che susciteranno sempre dolore e indignazione profondi, le istituzioni e la società traggono tutt’oggi energia e determinazione per riaffermare i valori della convivenza democratica – conclude Mattarella – nell’assoluto ed irrinunciabile rifiuto della cultura della violenza, della prevaricazione e della sopraffazione, tipiche di ogni azione criminale”.