L’abc della Trattativa, compendio ragionato sull’indagine del secolo
Chi sono i principali protagonisti, i testimoni e gli imputati dell’inchiesta sui presunti accordi Stato-Mafia. Dopo la sentenza di Palermo sono tanti gli interrogativi. Abbiamo ricevuto diversi commenti anche contrastanti tra loro. Esiste una vera esigenza, oltre ogni rito processuale. Sapere la verità. Uno Stato di Diritto può riconoscere il diritto a trattare a dei barbari senza legge? E’ possibile che questa trattativa sia stata solo voluta dai Carabinieri? Esiste davvero il papello? Quante verità e quante bufale si possono già contare?
Ricostruiamo le varie fasi e fatevi una vostra opinione. La verità serve sopratutto ai giovani di questa terra. Giovani che devono credere nello Stato di diritto e non in uno STato complottista
Chi erano i protagonisti
Ciancimino Vito. Ex sindaco di Palermo e ex assessore ai lavori pubblici all’epoca del Sacco dei Corleonesi. Nel ’93 viene confermata in Cassazione la sua condanna al maxiprocesso per associazione mafiosa. Nel dicembre ’92 è intanto arrestato per il pericolo di fuga. Nel gennaio ’93, interrogato dalla procura di Palermo, spiega di essere stato in contatto dall’agosto ’92 con i carabinieri per aver cercato di aiutare a rintracciare il covo di Totò Riina. In vita non ha mai parlato di patti occulti o trattative tra Stato e Mafia.
Ciancimino Massimo. Figlio di Vito Ciancimino, detto “Junior” dalla stampa, è condannato per il riciclaggio del “tesoro” del padre nel dicembre 2008. Massimo è il primo testimone chiave a parlare di trattativa, a partire da un interrogatorio a Palermo il 7 aprile 2009. Cambierà numerose versioni, ma non ha mai ancora consegnato l’originale del papello ai pm. Nell’ottobre del 2009 consegna però alcune fotocopie del documento (vedi papello). Il 30 dicembre 2009 la sua condanna per riciclaggio in appello viene ridotta in virtù della collaborazione con la procura. Nel febbraio 2010 parla per la prima volta al processo Mori a Palermo. In aprile scrive un libro con Francesco La Licata, il bestseller don Vito, che è causa di uno scontro tra le procure di Palermo (che lo ritengono attendibile) e quella di Caltanissetta (che non gli crede). In ottobre viene intercettato dalla squadra mobile di Reggio Calabria mentre a Verona scambia 100 mila euro con assegni per 70 mila euro con Girolamo Strangi, esponente della potente ‘ndrina Piromalli. In quello stesso mese a Palermo, Ciancimino accusa anche l’allora capo del Dis, Gianni De Gennaro, di aver avuto un ruolo nella trattativa. A Gennaio 2011 De Gennaro lo querela, e in aprile viene arrestato dalla procura di Palermo per calunnia. Ma visto che nel suo giardino di casa vengono trovati anche 13 candelotti di dinamite, all’accusa si aggiunge quella di detenzione di esplosivi. Nel 2011, intercettato in carcere mentre parla con la moglie, Junior ammette candidamente di aver consegnato ai magistrati qualche «patacca». Oggi è uno degli indagati per la trattativa.
Mori Mario: Generale dei Carabinieri, ha fondato nel ’90 il Ros e, tra l’altro, ha coordinato le indagini che hanno condotto alla cattura di Totò Riina. Tra il ’91 e il ’92 avvia, insieme all’allora capitano Giuseppe De Donno, un’indagine sul sistema degli appalti gestito dalla mafia in Sicilia, “Mafia e appalti”. L’inchiesta è seguita anche da Giovanni Falcone e in seguito da Paolo Borsellino: il 20 luglio ’92, giorno dopo la strage di via d’Amelio, la procura di Palermo (pm Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato) chiede l’archiviazione dell’inchiesta Ros che viene accordata, sotto il silenzio mediatico assoluto, il 15 agosto del ’92. Dal ’98 Mori è il comandante del Ros, poi dal 2001 (e fino al 2006) dirige il Sisde. Nel 2005 si apre il primo processo in cui è imputato (insieme al capitano “Ultimo”) per la mancata perquisizione del covo di Riina: l’anno seguente sono assolti perché i fatti non costituiscono reati (sentenza mai impugnata). Nel 2006 si avvia il processo per la mancata cattura di Provenzano, che poi sfocia con le indagini sulla trattativa. Mori dichiara da sempre di aver avuto solo colloqui investigativi con Vito Ciancimino, dall’agosto ’92, insieme al capitano Giuseppe De Donno.
Trattativa. Esistono diverse versioni sul patto occulto. La più celebre è quella riportata da Massimo Ciancimino ai giudici: ma le versioni sono numerose e in costante modifica. Anche sul significato attribuito alla parola, le versioni dei testimoni sono discordanti.
Trattativa/1. All’inizio, Junior sostiene che il patto stato mafia sia intercorso tra il padre Vito e gli ufficiali dei carabinieri Mori e De Donno, ma a partire dal giugno-luglio ’92. Paolo Borsellino sarebbe morto perché la ostacolava. Secondo Junior il padre fa da intermediario con Riina, che presenterebbe allo Stato un papello di richieste per consegnarsi.
Trattativa/2. Nelle versioni successive (a partire dalla seconda metà del 2009), Junior sostiene che oltre ai carabinieri per lo Stato trattava un certo “Signor Franco”, uomo dei servizi deviati. Inoltre per la mafia, al posto di Riina, in un secondo momento l’interlocutore della trattativa sarebbe stato il boss Bernando Provenzano.
Trattativa/3. Nel 2010 compaiono nuovi protagonisti. Per lo Stato ci sarebbero quindi: Mori, De Donno, il Signor Franco e due politici, gli ex ministri Nicola Mancino e Virginio Rognoni. A partire dal ’93-’94, invece, secondo Junior al posto di don Vito subentra Marcello Dell’Utri.
Signor Franco. Uno dei principali protagonisti della trattativa. Forse si chiama invece «Carlo. Non lo so se si chiamava Franco o Carlo, ma assicuro che un nome lo aveva», come dice Junior ai pm di Palermo durante gli interrogatori. Misterioso agente dei servizi segreti ancora mai identificato. A maggio 2010 Junior lo riconosce nella foto pubblicata da un giornale. Viene smentito: l’uomo indicato è un dirigente della Bmw. Prende buca anche al secondo tentativo: in luglio 2010, Junior lo riconosce nel volto di Moshe Gross, ex console israeliano. Gli accertamenti investigativi lo rismentiscono clamorosamente. Infine Junior indica Gianni De Gennaro come uomo vicino al signor Franco.
Papello. Sarebbe secondo l’accusa la prova principe della Trattativa e conterrebbe le richieste della mafia allo Stato, tra cui “l’abolizione del 41 bis” ma anche “la defiscalizzazione della benzina in Sicilia come ad Aosta”. Ciancimino ne consegna in più occasioni diverse fotocopie. Nel settembre 2010 una perizia della polizia scientifica per i pm esclude però che nessuno nel ghota mafioso, da Riina a Provenzano, passando per Bagarella, sia effettivamente l’autore del papello (lo escludono i riscontri calligrafici. La stessa perizia esclude che anche i pizzini dattiloscritti di Provenzano consegnati da Junior ai pm siano effettivamente del boss, per l’incompatibilità tra le macchine da scrivere). Ad oggi i periti non hanno ancora rintracciato l’autore.
Contropapello. Documento consegnato in fotocopia ai pm da Junior. Poiché don Vito, secondo Junior, avrebbe considerato “minchiate” le richieste contenute nel papello di Riina da presentare allo Stato, le avrebbe riviste e riscritte in un secondo documento. Secondo la perizia della polizia scientifica presentata ai pm nel 2010, tuttavia, se in questo caso la calligrafia è certamente quella di don Vito, la fotocopia del contropapello risale a epoca più recente (forse il 2001). Secondo il pentito Giovanni Brusca, il papello inoltre sarebbe stato un foglio protocollo di due pagine. Quello in mano ai pm è una pagina A4.
Photoshop. Un blogger, Enrico Tagliaferro, è il primo a dimostrare nel suo libro Prego dottore! che Massimo Ciancimino abbia compiuto dei “copia” e “incolla” della grafia del padre, per montare con Photoshop le fotocopie di alcuni documenti consegnati ai pm e spacciati come prove della trattativa. Una seconda perizia presentata al processo Mori, stavolta dei Ris dei Carabinieri per conto della difesa, conferma che molti dei documenti (una lettera a Fazio per esempio, dove si parla della trattativa) presentati da Ciancimino come prova ai pm, e sempre in fotocopia, siano in realtà frutto di manipolazioni recenti grazie a Photoshop.
Datazione del papello. Se per la procura di Palermo e Ciancimino il papello risale al giugno ’92, il blogger Tagliaferro con un’accurata indagine ha dimostrato che ciò sarebbe impossibile. Nel papello infatti si parla dell’abolizione del 41 bis. Ma il provvedimento per il carcere duro, avviato nel giugno ’92, tecnicamente all’epoca si chiamava “306”, mentre sui giornali si parlava di “isolamento duro”. Il 41 bis è un termine che entra in uso successivamente al 20 luglio, e quindi il papello necessariamente dovrebbe, se esistesse davvero, essere postumo a quella data.
Pubblici ministeri:
Antonio Ingroia: Procuratore aggiunto di Palermo. Di lui si racconta che fosse il pupillo di Paolo Borsellino (non esistono dichiarazioni specifiche del giudice in vita da citare purtroppo). Nel ’93 interroga con Giancarlo Caselli a Rebibbia Vito Ciancimino, che gli dice chiaramente di aver incontrato Mori e De Donno dall’agosto ’92, ma non parla assolutamente di trattativa. Il primo a usare questo termine, è proprio Ingroia, nella requisitoria del processo Contrada del ’96: «Saranno altre indagini a svelare la trama di quel patto scellerato». Le apre lui stesso l’anno successivo, il ’97, con l’indagine su Mori e Ultimo per la mancata perquisizione del covo di Riina. Prende un buco colossale e al processo nel 2006 Mori e Ultimo sono assolti perché il fatto non costituisce reato: la mancata perquisizione in realtà fu inizialmente solo ritardata e con l’avallo del capo di Ingroia, Caselli. Ingroia non si arrende e apre un nuovo processo a Mori, ma per la mancata cattura di Provenzano a Mezzojuso: peccato che il suo teste principale, Michele Riccio, si confermi un «bugiardo ontologico» (definizione del tribunale di Brescia), e in aula carabinieri (Antonio Damiano), dirigenti della Dia (Pappalardo), magistrati (Giuseppe Pignatone) testimonino che Riccio in realtà a Mezzojuso non c’è andato per arrestare Provenzano e che parlò genericamente di piste per l’arresto di Provenzano, ma mai arrivava a nulla di concreto. Ingroia non si arrende di nuovo e apre l’inchiesta sulla trattativa (2009): la data genericamente usata da spartiacque nella storia della giudiziaria italiana coincide con le prime dichiarazioni di Massimo Ciancimino alla trasmissione Annozero di Michele Santoro e appunto al pm Antonio Ingroia.
Politici:
Martelli Claudio. Ex Guardasigilli (nel 1992), volle Falcone come direttore del dipartimento Affari Penali del ministero di Grazia e Giustizia. Sulla trattativa è uno dei principali testimoni, ma ha assunto diverse posizioni sul tema: «Liliana Ferraro mi comunicò che il capitano De Donno le aveva riferito che Vito Ciancimino aveva una volontà di collaborazione che si sarebbe attuata se avesse avuto delle “garanzie” politiche. Liliana Ferraro gli rispose molto opportunamente di riferire subito al magistrato Paolo Borsellino. Confermo che Ferraro stessa poi ne ha parlato con Paolo Borsellino» (intervista ad Annozero, 7 ottobre 2009). «Intuii che Borsellino sapesse della trattativa fra Stato e boss per fare cessare la stagione delle stragi e di recente me lo ha confermato Liliana Ferraro» (stralcio di deposizione di Martelli ai pm riportata da Repubblica, 15 ottobre 2009). «Se solo avessi avuto sentore di una trattativa di un pezzo dello Stato con un pezzo della mafia avrei fatto l’inferno e l’avrei denunciato pubblicamente» (deposizione in aula, processo Mori, 6 aprile 2010). «Ricordo perfettamente di averne parlato con il Ministro degli Interni Mancino lamentandomi del comportamento del Ros» (ai pm di Palermo, novembre 2011). «Non ricordo se parlai con il ministro Mancino del fatto che il Ros cercasse una sponda politica per le sue condotte. Verosimilmente il Ros cercava solo di tutelarsi. Avevo saputo dalla dottoressa Ferraro che aveva riferito a Borsellino del suo incontro con il capitano De Donno. Non ho mai comunque posto in connessione questo fatto con la strage di via D’Amelio» (confronto con Mancino davanti ai pm di Palermo 11 aprile 2011). «Mi sono convinto che la trattativa non era l’eccezione ma la regola. Trattativa è termine riduttivo: fu convivenza, coabitazione tra lo Stato e la mafia» (a Mentana su La7, 16 luglio 2012). «La parola trattativa è impropria e comunque non ho mai immaginato che ci fosse un tavolo a cui sedevano di qua i mafiosi di là lo Stato e si mettessero a negoziare, questa è una visione ridicola» (a Mentana, stessa trasmissione, poco dopo).
ANTONIO SUBRANNI: CHI È IL GENERALE CONDANNATO
Dall’arresto di Riina all’accusa di essere al servizio della mafia. Passando per Alfano, Impastato e Borsellino
La vedova Borsellino sta male, per questo mi accusa. Non è un virgolettato e non può esserlo, visto che Antonio Subranni questa frase non sembra avesse voluto pronunciarla, a leggere l’intervista pubblicata dal Corriere della Sera in un articolo a firma di Felice Cavallaro. Perché subito dopo aver detto “Forse ha un Alzheimer”, scrive il Corriere, il generale “punciutu” – secondo, a quanto pare, l’accusa – dice:
No, no, niente. Cancelli. Ne parleremo quando sarò chiamato a Caltanissetta
PER FORTUNA – E per fortuna, viene da dire. “Le insinuazioni del generale Antonio Subranni non meritano alcun chiarimento. Si commentano da sole”: Agnese Piraino Leto, vedova di Paolo Borsellino, replica cosi’ alle dichiarazioni dell’ex comandante del Ros riportate oggi dal Corriere della Sera in una dichiarazione riportata da molte Agenzie di stampa. Subranni si richiama a un passaggio di un verbale del 2010 nel quale la signora Borsellino riferisce una confidenza del marito. Da lui avrebbe appreso che Subranni era in rapporto con ambienti mafiosi e che era stato ‘punciutu’, punto, in un rito di affiliazione a Cosa nostra.
COMINCIARE MALE – E dire che la sua carriera di segugio in Sicilia non è cominciata benissimo. Indagando sulla morte di Peppino Impastato, propese per la pista del terrorismo invece che per quella mafiosa, rivelatasi poi quella giusta. Ma Subranni è anche il comandante dei Ros che arrestarono, guidati dal capitano Ultimo, Totò Riina. Ovvero un uomo condannato per aver fatto uccidere Borsellino. Se è vero che il giudice ha riferito alla moglie che era “punciuto”, la seconda circostanza fa a pugni con la prima, a rigor di logica. Anche se, si sa, pure la mafia è divisa, e a volte il nemico del mio nemico è mio amico. Il Corriere riferisce ancora parte del colloquio avuta con Subranni:
«Le date ovviamente sono fondamentali. Sarà importante capire quando la signora Borsellino ha riferito quelle frasi. L’ha fatto subito dopo la strage di via D’Amelio, dopo qualche anno, dopo tanti anni? Ne ha parlato al processo che si tenne a Caltanissetta? Bisognerà vedere se ci sono dichiarazioni diverse da quelle assunte recentemente ».
Non vuole svelare gli argomenti a sua difesa il generale, ma è ovvio che farà pesare la data della rivelazione fatta dalla vedova, il 27 gennaio 2010. In effetti, non parlò di «Subranni “punciutu”» né dopo la strage, né al processo spazzato via dalla revisione. Non a caso Subranni un’altra frase la mastica, amaro:
«Potrebbe esserci un problema di memoria. Forse può essere considerato un’attenuante il fatto che la signora non stia benissimo, ma quella ricostruzione resta falsa, come dirò ai magistrati appena vorranno ascoltarmi». Stop. «È già troppo». Fine conversazione nella città dove Subranni è tornato a fine carriera. La stessa di due giudici che non si amano, Corrado Carnevale e Piero Grasso.
VITE PARALLELE – Tutte vite parallele con destini incrociati alla voce mafia. Tutte storie strane, nelle quali c’è – è vero – chi ha ricordato soltanto oggi, ma c’è anche chi sembra esagerare, da ex uomo di Stato, in maniera rispettosa nei confronti di una vedova che si vuole far passare addirittura per malata. Di Subranni poi si potrebbe anche leggere il ritratto al vetrolio in presentazione scritto da Sandra Amurri sul fatto, che comincia subito mettendola sul famigliare:
I l padre è indagato dalla Procura di Caltanissetta per associazione mafiosa nell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, interrogato dalla Procura di Palermo come indagato di reato connesso nell’inchie – sta sulla trattativa Stato-mafia, si è avvalso della facoltà di non rispondere. È al centro dell’inchiesta sul depistaggio dell’assassinio di Peppino Impastato. La figlia, Danila, portavoce dell’ex ministro della Giustizia Angelino Alfano, oggi segretario del Pdl. Il figlio, Ennio, ricopre un ruolo apicale al Roc (reclutamento operativo centrale dei servizi segreti). Il padre si chiama Antonio Subranni, Generale dei carabinieri, comandante dei Ros (raggruppamento operativo speciale) dal ‘90 al ‘93. Poi nominato capo segreteria del Cesis (Comitato Esecutivo per i Servizi di Informazione e Sicurezza) ed infine consulente della Commissione Antimafia, promosso di grado è andato in pensione come Generale di Corpo d’Armata
Fonte: Giornalettismo, Tempiabc, documenti is
Il Circolaccio